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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Angelo Pezzana
Israele/Analisi
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E' sull'economia la frattura tra destra e sinistra in Israele
Oggi il presidente Moshe Katzav inizia le consultazioni per decidere a chi dare l'incarico di formare il nuovo governo. Come vuole la procedura, sentirà tutti i segretari dei partiti che sono riusciti ad entrare nella Knesset e poi scioglierà la riserva. Chiedersi a chi toccherà è una domanda retorica, anche perché il partito di maggioranza relativa è Kadima, quindi sarà sicuramente Ehud Olmert a ricevere l'incarico. Ma il presidente deve sentire tutti prima di decidere, e intorno ai prossimi tre giorni di consultazioni hanno già incominciato a diffondersi voci, ufficiali ma anche di corridoio. Amir Peretz di Avodà sta cercando di far pesare di più i suoi 20 seggi in confronto ai 29 di Kadima, per cui sta avendo incontri semi clandestini con alcuni partiti minori (i due religiosi e quello dei pensionati) affinché facciano il suo nome e non  quello di Olmert. Un suggerimento accompagnato con promesse di giusto compenso nel caso fosse poi quello il risultato, cosa però alquanto improbabile per almeno due motivi. Peretz non guida il partito uscito vincente dalle elezioni e in aggiunta non si capisce bene alla testa di quale coalizione potrebbe porsi, visto che Kadima non accetterebbe mai di essere il numero due, il Likud anche vista la opposta posizione politica e l'Israel Beitenu di Avigdor Lieberman pure, giudicato dai laburisti  un partito razzista per eccellenza. Come potrebbero, per puro calcolo, utilizzarne adesso i voti ?. Per cui la manovra di Peretz  va vista  come una sorta di tentativo per aumentare il peso dei propri seggi nelle trattative con Olmert sulla attribuzione dei ministeri. Soprattutto nella divisione dei posti più appetibili, primo fra tutti quello delle finanze. E' sulla riforma dell'economia israeliana che si verificherà la battaglia più dura e su questo tema è probabile che la coalizione di centro sinistra rischierà la frattura prima ancora di nascere. Nel balletto delle soffiate ai giornali o delle indiscrezioni viene detto tutto e il contrario di tutto. Il ministro del turismo Avraham Hirshson (del governo precedente, ma ancora in carica fino alle nuove nomine)  ha negato che Olmert abbia l'intenzione di rifiutare il ministero delle finanze ad Amir Peretz, mentre Binyamin Ben Eliezer, laburista, se ne fa portavoce ufficiale, ritenendolo addirittura più importante di quello della sicurezza. Sono due Israele che si fronteggiano, e dal prevalere dell'uno o dell'altro si capirà se lo Stato ebraico continuerà sulla strada dell'economia liberale e liberista oppure ritornerà alla vecchia politica dello Stato socialista, quella scelta che fu alla radice della nascita dello Stato ma che dopo appena vent'anni fu alla causa della bancarotta economica. Begin, sconfitto politicamente da Ben Gurion, si prese la rivincita sul piano economico. Una rivincita destinata a durare ancora oggi, quando il grande esperto del campo in Avodà è Bravermann, l'ex presidente della prestigiosa università di Beer Sheva, che è sì stato eletto con Peretz ma le cui idee in economia sono identiche a quelle di Olmert ed è sostenuto non a caso dalla federazione degli industriali. E' a lui che Olmert pensa, se proprio dovrà dare quella poltrona alla sinistra, non certo a quel vetero sindacalista di Peretz. Per riportarlo a più miti consigli Olmert gli ha fatto sapere che Liebermann potrebbe entrare nella coalizione, cosa più che possibile sul piano delle idee che i due hanno in comune, ma impossibile nei fatti, perché Avodà non accetterà mai di averci a che fare, l'ha detto e stradetto durante tutta la campagna elettorale. Una situazione fluida, come si vede, dove le mosse dell'uno si valutano sulle reazioni dell'altro, nell'attesa di capire se quel benedetto 61 per cento ( e possibilmente parecchio di più per garantire la stabilità e sottrarsi quindi ai ricatti dei piccoli gruppi), sarà raggiungibile e a quale prezzo. Nell'attesa Israele guarda con preoccupazione il terrorismo che se in questi giorni non ha l'etichetta di Hamas ma quella delle Brigate di al Aqsa, il braccio armato del Fatah, che è poi  il partito di Abu Mazen. "Frange impazzite", ha dichiarato il rais, e sarà pur vero, ma intanto, che si nascondano sotto una sigla o sotto un'altra, guai per Israele abbassare la guardia. Altro che sottovalutare come fa la sinistra l'importanza della sicurezza e quindi della difesa. E' un lusso che Israele non può ancora permettersi.

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