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David Braha
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Rivolte di piazza ed illusioni democratiche 16/02/2011

Rivolte di piazza ed illusioni democratiche
di David Braha


David Braha

Dopo un’intera notte di festeggiamenti per caduta dell’“ultimo faraone”, Hosni Mubarak, l’alba del 12 Febbraio 2011 ha rappresentato per la folla di Piazza Tahrir – e probabilmente per l’intero Medio Oriente – l’inizio di una nuova era. Ma ad appena due giorni dalle dimissioni del presidente egiziano i media internazionali hanno già fatto calare il sipario su una questione che è ancora ben lontana dall’essere risolta. Ovviamente, tutti noi non possiamo far altro che solidarizzare con un popolo che pretende l’emancipazione da un despota; non possiamo non gioire nell’apprendere che il volere della gente è ancora capace di prevalere su un regime autoritario. Allo stesso tempo però bisogna fare molta attenzione, perché la storia ci insegna che questo “volere del popolo” non sempre è sinonimo e garanzia di un futuro migliore. I Nazisti furono democraticamente eletti dalla maggioranza della popolazione all’inizio degli anni ’30; rivoluzioni come quella bolscevica del 1917, o come quella iraniana del 1979, hanno dato successivamente vita a regimi ancora peggiori di quelli che intendevano sostituire.

Il punto è che i recenti sviluppi politici e le rivolte in diversi paesi musulmani – prima la Tunisia, poi l’Egitto e, per ultimo, l’Iran – andrebbero collocati in un contesto molto più ampio di quello a cui sono stati finora accostati. In un certo senso, essi rappresentano solo la punta dell’iceberg di una questione che va ben oltre gli stessi Mubarak, Ben Ali, Ahmadinejad, ed i loro oppositori nelle piazze: il problema della democrazia nel mondo islamico. I dati parlano chiaro: quasi tutti gli stati a maggioranza musulmana presentano regimi autoritari nei quali l’elite dirigente amministra il proprio paese nel caro vecchio stile medioevale in cui il leader è – ed ha – tutto, a discapito della gente che non è – e non ha – nulla. In tutti questi casi inoltre, quando viene nominata, la democrazia viene calpestata e svuotata del suo reale valore ideologico, quasi fosse una parolaccia. Elezioni pseudo democratiche vengono sfruttate come facciata per mascherare la vera essenza di tali regimi; e sempre più spesso diventano meri pretesti per legittimare l’assunzione del potere agli occhi del mondo. Lo abbiamo visto con Ahmadinejad, che nel 2009 venne confermato Presidente della Repubblica Islamica a seguito di un voto “democratico”; o con Hamas, il quale alle elezioni dell’ANP superò “democraticamente” Fatah. E l’elenco potrebbe continuare ancora a lungo. Ma resta la domanda: si può forse dire che in questi casi la democrazia alle urne abbia comportato anche un minimo progresso all’interno delle società civili in questione? Assolutamente no. Ed è esattamente questo il fulcro del problema: non si può ridurre la democrazia al semplice svolgimento di libere elezioni a suffragio universale.

La creazione di un regime democratico necessita di basi molto più solide sulle quali appoggiarsi; necessita di una cultura politica che tenda all’istituzione di un regime liberale che assicuri libertà e diritti – sia individuali che collettivi – nel rispetto di una legge uguale per tutti. Tutto questo, purtroppo, nel mondo islamico non esiste; e se esiste, si trova ancora ad uno stato embrionale. In questi paesi la democrazia è vista come un prodotto dell’Occidente, e quindi come un’illegittima importazione. Ciò non significa che Islam e democrazia siano intrinsecamente incompatibili: anche tutte le nostre società e le nostre religioni erano, fino a qualche secolo fa, quanto di più antidemocratico potesse esistere. Eppure col tempo ci siamo evoluti dalla barbarie politica nella quale abbiamo stagnato per secoli, arrivando a costruire società ancora imperfette ma decisamente migliori per tutti. Ma è esattamente per questo che è inutile illudersi: le rivolte di piazza delle ultime settimane non possano portare a qualcosa di migliore nel giro di pochi mesi. Perché la democrazia non nasce dal nulla: per trionfare ha bisogno di tempo, di lotte, di trasformazioni e, purtroppo, anche di sangue. Quello che ci si potrà aspettare dai prossimi mesi, se non anni, saranno quindi cambiamenti che porteranno a regimi simili o addirittura peggiori di quelli che già conosciamo e che, in questi giorni, stanno barcollando. Per il vero miglioramento, purtroppo, bisognerà attendere.

Un giorno, senza dubbio, la democrazia dominerà anche nel mondo islamico. Ma la realtà dei fatti è che, molto probabilmente, quando quel giorno arriverà nessuno di noi sarà lì a testimoniarlo. Le recenti dimostrazioni rappresentano quindi solo il punto di partenza, in un percorso ancora lungo e tortuoso: in questo ha ragione Barack Obama nell’affermare che la transizione è appena iniziata. In fondo la Francia non è diventata la repubblica democratica semi-presidenziale che conosciamo oggi all’indomani della presa della Bastiglia.
dav.braha@gmail.com


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