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David Braha
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Israele tra passato, presente e futuro 06/05/2010

Pubblichiamo l'intervista di David Braha a Menachem Hofnung, esperto di politica israeliana e professore di Scienze Politiche alla Hebrew University of Jerusalem, dal titolo " Israele tra passato, presente e futuro ".


Menachem Hofnung, David Braha

Appena due settimane fa si è celebrato il sessantaduesimo anniversario della fondazione dello Stato d’Israele. In questi 62 anni il sistema politico israeliano è profondamente cambiato. Qual è stata la sua evoluzione, e quale direzione sta prendendo per il futuro?

I maggiori cambiamenti sono avvenuti in primo luogo nel sistema dei partiti. Per i primi trent’anni il sistema politico israeliano è stato caratterizzato da un partito dominante che vinceva tutte le elezioni e riusciva sempre a formare delle coalizioni di governo molto stabili. Tuttavia negli ultimi trent’anni circa il sistema è diventato complessivamente più instabile, e ciò è dovuto a diversi fattori. Innanzitutto i partiti che partecipano alle elezioni, compresi quelli che le vincono, diventano sempre più piccoli; in secondo luogo c’è un cambiamento profondo all’interno dell’elettorato. Se prima gli elettori erano ‘fedeli’ al proprio partito, oggi il pubblico ha un’opinione estremamente instabile, forse tra le più instabili nel mondo democratico, in quanto cambia il proprio voto da un turno elettorale all’altro. Un ulteriore cambiamento, sempre in relazione all’elettorato, è una notevole crescita dell’astensionismo. Ma probabilmente ciò che maggiormente caratterizza il sistema politico israeliano negli ultimi anni è il fatto che le differenze ideologiche tra destra e sinistra si stanno ‘appiattendo’: se prima i due blocchi erano ben definiti ed avevano linee politiche profondamente diverse, oggi tali divergenze sono diminuite drasticamente. Basta vedere come sia il Likud, partito di centro-destra, che Israel Beitenu, considerato di destra, si trovino entrambi all’interno di un governo che accetta l’idea di creare uno Stato Palestinese e che è pronto ad intavolare trattative di pace. Tuttavia è difficile poter prevedere come il sistema politico si evolverà nel futuro proprio perché, come detto, l’elettorato è instabile. Molto dipenderà dallo sviluppo di questioni di attualità: di solito quando la situazione di sicurezza peggiora, tale cambiamento avvantaggia i partiti di centro-destra; al contrario, se dovessero finalmente partire delle trattative di pace, l’ordine di priorità politiche si svilupperebbe soprattutto intorno a temi sociali, il ché porterebbe ad una tendenza dell’elettorato verso il centro-sinistra.
 
Una delle caratteristiche principali di Israele è quella di essere una democrazia senza però possedere una Costituzione. Come si è evoluta tale questione, e in quale direzione si sta procedendo? Israele avrà una Costituzione?

Per rispondere a questa domanda inizierò dalla fine. Al momento non sembra che nel prossimo futuro ci saranno grandi cambiamenti per quanto riguarda la stesura di una Costituzione. Israele ha fatto grandi passi in avanti in questo campo soprattutto al livello della giurisdizione, nel senso che al giorno d’oggi ci sono maggiori controlli ed equilibri di potere rispetto al passato. Se guardiamo indietro nella storia, nei primi decenni le critiche verso l’operato della Knesset erano minime, si tendeva piuttosto a criticare l’operato del governo. Lentamente, e negli ultimi decenni, si è sviluppata però anche la tendenza a criticare le azioni e le decisioni prese dal parlamento, nonostante ciò avvenga in maniera ancora inferiore rispetto ad altri paesi democratici. Questi cambiamenti, supportati soprattutto dalla stesura delle Chukei Hayesod (Leggi di Base) nel 1992, sono causa di grandi divisioni all’interno dell’opinione pubblica israeliana, in quanto il potere dei tribunali è aumentato notevolmente, ai danni della classe politica eletta dal popolo. Per questo, negli ultimi anni, ci sono stati tentativi da parte della politica di limitare l’impatto del potere giudiziario su legislatura ed esecutivo, e restituire maggiore autonomia ai politici: ci sono stati tentativi di limitare il potere della Corte Suprema, vi sono state proposte di creare una Corte Costituzionale etc. Se tali tentativi dovessero effettivamente funzionare, ciò potrebbe anche influire su una possibile stesura di una Carta Costituzionale. Ma il vero problema che impedisce l’adozione di una Costituzione, è l’opposizione da parte dei partiti religiosi. Essi infatti non sono pronti ad ammettere che un’eventuale Costituzione supporti la visione secondo la quale potere ed autorità provengano da, e siano basati su un’unione fra uomini piuttosto che da Dio stesso. E questo è un argomento sul quale è impossibile raggiungere un accordo. Per questo, nel prossimo futuro, è inverosimile che Israele avrà una Costituzione.
 
In Israele vi è una certa tensione tra l’assetto democratico del paese e l’affermazione che esso è uno stato ebraico. Quali sono gli aspetti principali di tale tensione, e come si è evoluto l’equilibrio creatosi tra questi due caratteri?

Secondo me non c’è motivo di tensione se si afferma che uno stato è ebraico e democratico allo stesso tempo. Anche gran parte della popolazione, religiosa e non, comprende questo concetto: dal momento che Israele come stato è caratterizzato da simboli e da elementi ebraici, si deve riuscire a mantenere in piedi un sistema nel quale le decisioni vengano prese ugualmente in maniera democratica. Il problema però è che esiste una crescente porzione della popolazione religiosa, soprattutto all’interno di correnti ortodosse e nazionaliste, secondo la quale democrazia ed ebraismo non possono andare d’accordo. Nel momento in cui le leggi degli uomini o decisioni prese a maggioranza entrano in contraddizione con certe norme, regole, e valori religiosi, allora sorge una tensione notevole. Purtroppo, questo problema appare per ora senza soluzione. Ciò che in verità fa sì che la questione non laceri profondamente il paese, almeno per ora, è un altro problema, forse ancora maggiore. Il fatto che una seconda minoranza del paese, quella araba che non accetta il carattere ebraico dello Stato d’Israele, sta aumentando molto rapidamente sul piano demografico. Tutto ciò riflette una situazione altamente instabile che nel futuro potrebbe esplodere, portando a scontri e divisioni molto peggiori di quelle a cui assistiamo oggi.

L’ultima domanda riguarda, appunto, il processo di pace ed il rapporto con i palestinesi. Quali sono le eventuali e possibili prospettive in questo contesto? Pensa che si arriverà alla creazione di uno Stato Palestinese?

Uno Stato Palestinese nascerà sicuramente. Questo tuttavia potrebbe ancora richiedere del tempo. Parte di questo problema è dovuto al fatto che gli stessi palestinesi hanno difficoltà a definire cosa vogliono per davvero. Se ciò che vogliono fosse solo uno stato, probabilmente a quest’ora un accordo già sarebbe stato raggiunto. Hanno ricevuto una proposta molto vantaggiosa da parte di Olmert nel 2008, la quale includeva una restituzione di gran parte dei territori precedenti al ’67, con qualche piccola variazione nei confini. Tuttavia tale offerta non ricevette alcuna risposta. In molti ancora discutono sul perché, ma tutt’oggi non è stata ancora data una risposta chiara. Tuttavia anche all’interno di Israele esiste una forte indecisione se tentare la pace prima con la Siria o con i palestinesi. Ma, dalla parte di Israele, ciò che rende ancora più complesso continuare lungo il tracciato di un processo di pace, è l’esperienza negativa del disimpegno unilaterale da Gaza nel 2005. Al giorno d’oggi negli insediamenti in Cisgiordania vivono circa trecentomila israeliani e qualunque governo, per quanto forte, si troverebbe letteralmente impossibilitato a sgomberare una popolazione di tali dimensioni.


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