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David Braha
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La miopia di Obama 27/04/2010
" La miopia di Obama "

È fresca di stampa la notizia secondo la quale i negoziati indiretti tra Israele e i Palestinesi potrebbero iniziare a breve sotto l’egida dell’Amministrazione Obama. Entro breve il Presidente USA riceverà a Washington il collega dell’ANP Abu Mazen; poi sarà il turno del Premier israeliano Netanyahu. Ma ci si può aspettare qualcosa di nuovo da questo timido tentativo di riavviare i negoziati di pace tra le due parti? Paradossalmente molto dipenderà non tanto da ciò che diranno israeliani e palestinesi, le cui posizioni sono ormai note da tempo, quanto da ciò che proporrà la stessa Casa Bianca. Ecco il perché.

Se, come è avvenuto dal suo insediamento fino ad oggi, Obama riproporrà la solita questione degli insediamenti come cardine per la soluzione della questione israelo-palestinese, allora tanto Abu Mazen quanto Netanyahu potrebbero risparmiarsi la fatica del viaggio oltreoceano senza temere di perdersi nulla. Quando il mese scorso il governo israeliano ha annunciato la costruzione di 1600 nuove abitazioni a Gerusalemme Est nel corso della visita del Vice Presidente USA Joe Biden, l’Amministrazione ha alzato la voce, ma ugualmente non è riuscita ad ottenere nulla da nessuna delle parti: gli israeliani hanno dichiarato, nonostante le scuse da parte di Netanyahu, che la costruzione non si sarebbe interrotta, e gruppi di giovani palestinesi hanno ugualmente messo a ferro e fuoco alcuni quartieri della città. Ciò sta ad indicare il fatto che per quanto la questione degli insediamenti sia importante in chiave di una futura soluzione del conflitto, questi rappresentano solo una dimensione secondaria di un problema che ha radici molto più profonde: considerarli una questione prioritaria non aiuterà di certo a portare Israele e palestinesi ad un tavolo di pace, ma non farà altro che spingerli ancora più lontani gli uni dagli altri. E soprattutto, se la strategia di Obama e del suo team fino ad ora non ha ripagato, per quale motivo improvvisamente, dopo un anno e mezzo, dovrebbe iniziare a farlo?

Piuttosto il problema serio che dovrebbero porsi a Washington è il fatto che, a queste condizioni, nessuna delle due parti sembra essere interessata alla ripresa dei negoziati. Da una parte Israele chiede un ritorno al tavolo senza alcun tipo di precondizione; dall’altra i palestinesi, che non possono chiedere di meno di ciò che fino ad ora gli Stati Uniti hanno preteso, si sono allineati alle richieste di Obama che, così facendo, ha fornito loro una scusa per evitare trattative dirette con Israele. La conseguenza di tutto ciò è reciproca frustrazione, e tanto pessimismo riguardo al futuro. Nonostante infatti una netta maggioranza sia di israeliani che di palestinesi appoggi la soluzione dei “due popoli, due stati”, i sondaggi rivelano che sono in pochi ormai quelli che, da entrambi i lati, vedono una luce alla fine del tunnel.

Come si può uscire quindi da questo circolo vizioso? È difficile da dire, ma un primo passo potrebbe venire proprio da parte di Obama. Invece di continuare ad insistere sull’obiettivo limitato e minoritario del congelamento delle costruzioni negli insediamenti, e se si rendesse conto che non sono questi il vero ostacolo per la pace, potrebbe risolvere il primo di una lunga lista di problemi che forse, in un futuro che ora appare quanto mai lontano, porterebbe ad un riavvicinamento tra israeliani e palestinesi: la sua stessa politica miope, la politica di uno che vede solo ciò che gli sta più vicino ed ignora, o si perde, l’immagine nel suo aspetto complessivo.


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