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Mordechai Kedar
L'Islam dall'interno
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Il discorso con cui Abu Mazen si è scavato la fossa 17/01/2018

Il discorso con cui Abu Mazen si è scavato la fossa
Analisi di Mordechai Kedar

(traduzione dall’ebraico di Rochel Sylvetsky, versione italiana si Yehudit Weisz)

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Abu Mazen

Mahmoud Abbas, leader dell'Organizzazione per la Liberazione della Palestina, e Presidente dell’Autorità Palestinese, questa settimana ha pronunciato un discorso grondante rabbia contro il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, arrivando al punto di lanciargli la maledizione più aspra della lingua araba: “Possa la tua casa essere distrutta”. Questa imprecazione non riguarda soltanto la persona che abita nell’edificio, ma augura a tutti i membri della sua famiglia di essere gettati in mezzo alla strada a vivere in miseria, umiliazione e disprezzo. Solo chi ha familiarità con la cultura mediorientale può comprendere il vero significato di questa maledizione. La domanda che sorge spontanea è: cosa è successo che ha portato Abbas al punto di bruciare i ponti con il Presidente degli Stati Uniti ed a rilasciare un discorso in cui si tagliano i legami con il Paese che finanzia l'UNRWA, spingendo anche il Presidente degli Stati Uniti ad assumere una posizione decisamente negativa sulla “questione palestinese”? "Gerusalemme, capitale della Palestina", è un'idea nata dopo la Guerra dei Sei Giorni, che è stata ulteriormente sviluppata dopo gli accordi di Oslo firmati nel settembre del 1993. Arafat lo trasformò in un mantra, mentre l’Israele ufficiale di Shimon Peres, Yossi Beilin, Alon Liel non ha fatto nulla per fermarlo. Ci avevano spiegato che l'espressione era stata coniata per un pubblico arabo palestinese, cioè solo per “uso interno”. Arafat urlava giorno e notte: “Milioni di martiri sono in marcia verso Gerusalemme! ” , ma ci dissero di ignorarlo, che quelle erano parole vuote, solo un sogno irrealizzabile. Il mondo, guidato dall'Europa, ha collaborato con questo castello di carte palestinese, finanziandolo con miliardi di dollari nel corso degli anni, nella speranza di trasformarlo in una vera struttura concreta, semplicemente ignorando la realtà.

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L'Europa ha sostenuto la creazione di uno "Stato palestinese amante della pace al fianco di Israele" dimenticando il fatto che l'ideologia dell'OLP richiede la distruzione dello Stato ebraico e che il suo logo include la mappa di quella "Palestina" che dal Mar Mediterraneo arriva fino al fiume Giordano . Il mondo ha perpetuato il "problema dei profughi palestinesi" a dispetto del fatto che non sia rimasto un solo rifugiato di tutti gli altri Paesi che esistevano negli anni '40. Persino la Germania, che aveva assorbito e riabilitato i residenti dei Sudeti espulsi dalla Cecoslovacchia, non ha chiesto che il mondo arabo facesse lo stesso e assorbisse i "profughi palestinesi"; questo anche se il loro problema è nato dal tentativo dell'invasione di Israele da parte degli eserciti arabi, proprio il giorno dopo la dichiarazione dell’ indipendenza dello Stato di Israele. L'Europa aveva imposto alla Germania la responsabilità per la creazione del problema dei profughi dei Sudeti e quindi la sua soluzione, ma ha ignorato la responsabilità degli stati arabi per i rifugiati palestinesi. Questo doppio standard è ciò che ha perpetuato il problema dei profughi arabi palestinesi, trasformandolo in merce di scambio e base centrale nei negoziati tra Israele e suoi vicini, tanto da spingere Ehud Barak ad approvare nei negoziati di Taba nel 2001, un “ritorno simbolico” di decine di migliaia di questi rifugiati, e non era il solo a sostenere questa idea. Il mondo non ha riconosciuto Gerusalemme come capitale di Israele e ha permesso alla nostra capitale di trasformarsi in un’ altra importante merce di scambio nei "colloqui di pace", il cui unico scopo - secondo l’approccio arabo – era quello di piegare, indebolire e ridurre lo Stato di Israele al collasso: di conseguenza, perduta ogni speranza, gli ebrei sarebbero stati costretti ad abbandonare la regione per tornare nei Paesi in cui avevano vissuto, prima di venire a ricostruire la loro antica Patria.

Trump e il castello di carte

Poi è arrivato Donald Trump, un uomo d'affari che si occupa di costruzioni, non di castelli di carta, di grattacieli destinati a durare per generazioni. Ha capito che la struttura palestinese è fatta di carta, lasciata in piedi solo perché il mondo sta andando avanti con la leadership europea, i circoli di sinistra americani, gli stati arabi e alcuni israeliani che soffrono di esaurimento e depressione. Trump ha capito che la struttura ideologica palestinese è piena di falle e ha deciso di estrarre due carte fondamentali da questa struttura effimera: la carta di Gerusalemme e la carta dei rifugiati. Dal momento in cui Trump ha riconosciuto Gerusalemme come capitale israeliana, i palestinesi - sia Hamas sia OLP - hanno iniziato a svolgere attività frenetiche, disordini sul terreno e manovre politiche nei corridoi internazionali. Hanno capito che Gerusalemme come capitale di Israele è una sorta di polizza assicurativa per lo stato ebraico. Per gli ebrei, Gerusalemme è reale, sostenuta dalla storia e dalla religione ebraica, mentre non è altro che "fake news" per il mondo arabo e musulmano. Gerusalemme, tuttavia, non è ancora la capitale di una "Palestina" non definita e rimane un teorico pomo della discordia, così da poter essere tirato fuori dal castello di carte palestinese senza che Abbas bruci i ponti con gli Stati Uniti. E allora Trump ha giocato la carta dei rifugiati dal castello di carta, annunciando che avrebbe smesso di finanziarli, sostenerli perpetuandoli. Quell'atto è mille volte più forte di quello di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele, perché la questione dei rifugiati è stata capitalizzata per settanta anni, con miliardi di dollari versati, tutti destinati a essere sprecati.

L’UNRWA gestisce un massiccio sistema di finanziamenti, scuole e servizi di assistenza che funzionano grazie al denaro americano, la cui abolizione sicuramente limiterà la capacità delle organizzazioni di dare nuova vita al "problema dei rifugiati". Senza finanziamenti adeguati, i "rifugiati" saranno spinti ad essere assorbiti nelle aree in cui si trovano, all'interno del mondo arabo e al di fuori di esso. Il "problema dei rifugiati" e la sua minaccia per Israele potrebbero persino scomparire. Abbas non può lasciare che ciò accada per diverse ragioni: in primo luogo, lui stesso è un rifugiato nato a Safed nel 1935, la sua legittimità come leader palestinese si basa su questo. Secondo, i rifugiati per vivere sono diventati dipendenti dagli aiuti stranieri e togliendoglieli, li costringerà a lavorare come tutti gli altri. Terzo, ogni rifugiato il cui finanziamento è cessato deciderà di risolvere il proprio problema in maniera indipendente: alcuni emigreranno in altri Paesi, altri saranno assorbiti nelle loro attuali posizioni e il problema dei rifugiati scomparirà dopo tutti questi decenni passati a tenerlo in vita, con enormi quantità di sovvenzioni europee e americane. Abbas capisce che il suo castello, privo di Gerusalemme e dei rifugiati, sta per crollare e con esso scompariranno tutti i piani per distruggere Israele. La sensazione di aver perso la bussola è ciò che gli ha fatto perdere la calma e abbandonare la discrezione che ha sempre caratterizzato il suo comportamento, portandolo a tornare nelle profondità della cultura araba con un’imprecazione rivolta a Trump: " Possa la tua casa essere distrutta ". Ha usato le peggiori maledizioni arabe, esprimendo il desiderio che la casa di Trump venga distrutta, la sua famiglia buttata in strada, per vivere nella povertà e nella vergogna, trasformandosi in senzatetto che dipendono dalla carità dei passanti. Non c'è espressione più appropriata che evidenzi la disperazione e la delusione di Abbas, mentre assiste al crollo del castello di carte arabo palestinese, una volta che Trump ha rimosso la sua Gerusalemme abitata da rifugiati. Il discorso pronunciato da Abbas ai membri dell'Olp è stato un potente specchio dei suoi sentimenti, che vedono il progetto palestinese di fronte a una minaccia esistenziale, con un Israele forte e risoluto, fiorente e di successo, democratico ed economicamente sano, che si oppone a una controparte palestinese culturalmente, ideologicamente, personalmente e politicamente divisa, in cui l'inimicizia tra OLP e Hamas ostacola ogni speranza di progresso. Abbas appartiene a una società divisa in tribù, famiglie allargate e gruppi che non hanno mai realmente adottato l'idea di un ethos nazionale palestinese e non hanno mai abbandonato la tradizionale lealtà familiare. Quel castello di carte ideologico non può sopravvivere senza le carte di Gerusalemme e dei rifugiati. Abbas inoltre non ha il mondo arabo alle sue spalle. Al contrario, la questione iraniana ha spinto molti stati arabi ad avvicinarsi a Israele, dal momento che le nazioni arabe sono impantanate in una infinità di problemi al loro interno, quello dei palestinesi è vissuto oggi come nient'altro che un fastidio. Il discorso di Abbas di questa settimana, ha scavato la sua stessa fossa, ha simboleggiato il crollo, la morte e la sepoltura della "questione palestinese". Questo è il momento per trovare una soluzione pronta per l'uso - sulle linee della "Soluzione Emirati" - l'unico modello socio-politico che funziona con successo in Medio Oriente.


Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
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