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Mordechai Kedar
L'Islam dall'interno
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Il movimento BDS è in difficoltà? 21/01/2017
 

Il movimento BDS è in difficoltà?
Analisi di Mordechai Kedar

(Traduzione dall'ebraico di Rochel Sylvetsky, versione italiana di Yehudit Weisz)

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Negli ultimi dieci anni Israele ha dovuto affrontare il movimento BDS (Boicottaggio, Disinvestimenti, Sanzioni), i cui obiettivi comprendono il ritiro degli investimenti dallo Stato ebraico e la rottura delle relazioni con Israele da parte degli organi accademici, culturali ed economici.
L’obiettivo del movimento BDS è quello di costringere Israele ad abbandonare i “territori palestinesi” e di creare uno Stato palestinese, ma le vere motivazioni di base che si celano dietro le attività del movimento sono l’odio verso Israele e gli ebrei, e il desiderio espresso apertamente di cancellare Israele dalla carta geografica del Medio Oriente.

 Per molto tempo il movimento sembrava relegato ai margini e la sua influenza era scarsa. Ma nel corso degli ultimi due anni, soprattutto dopo l’Operazione militare “Scudo protettivo” a Gaza e la conseguente pubblicità negativa, il movimento ha incrementato le propria attività, le donazioni sono cresciute in modo significativo così come anche il numero dei volontari. Il successo dell’organizzazione è stato particolarmente evidente nei campus universitari nord americani, canadesi ed europei, per il gran numero di musulmani e arabi iscritti in quelle università e per il fatto che attualmente va di moda mettere tutto nel calderone dei diritti umani (fintanto che non stiamo parlando di ebrei, è così), in aggiunta al tradizionale antisemitismo e al considerare Israele uno Stato illegittimo, fuorilegge e un pericolo per la pace mondiale.

Lo Stato di Israele, gli ebrei ed i sostenitori di Israele in tutto il mondo, si sono resi conto di quale sia il vero obiettivo del BDS ed hanno deciso di combatterlo. Il governo di Israele ha persino istituito quadri ufficiali e stanziato fondi per questa lotta. Le attività anti-BDS si articolano su diversi livelli e in vari luoghi, dove Israele ha raccolto significativi successi. Un esempio: quindici Stati degli USA hanno approvato delle leggi contro le aziende che boicottano Israele, anche in Canada sono state approvate leggi simili e in Europa ci sono state iniziative in questo senso. La domanda è: chi controllerà che queste leggi vengano applicate? e in che modo? Nonostante la crescente attività del movimento BDS e i suoi vari successi, molti artisti si sono rifiutati di annullare le loro esibizioni in Israele, perché hanno ritenuto che era sbagliato collegare l’arte con la politica o l’arte con problemi legati al nazionalismo.

 Per la maggior parte delle forze economiche che decidono di investire in Israele, da un punto di vista puramente finanziario, è un bene per i loro bilanci ; non troncano il loro rapporto con Israele, perché ciò che conta per loro è il profitto e quindi ignorano quei problemi che esulano dalle loro attività economiche.
Il movimento è ancora forte nei campus, ma ha un buon numero di problemi anche lì, in particolare per le divergenze di opinione tra i suoi attivisti e l’Autorità Nazionale Palestinese, su come agire e sulla definizione degli obiettivi.
Un esempio è quello che è successo a Boston lo scorso novembre, in occasione della conferenza annuale dell’Associazione Studi sul Medio Oriente (MESA), un’organizzazione accademica internazionale con migliaia di membri che fanno ricerca sulla realtà mediorientale. Col passare del tempo, questa organizzazione ha adottato un programma politico anti-americano ma anche antisionista, con toni antisemiti. Il risultato è che pochi anni fa, un buon numero di ricercatori hanno lasciato quell’organizzazione e hanno fondato l’ASMEA, un’associazione molto meno politica e più equilibrata, per lo Studio del Medio Oriente e dell’Africa.

Il principale sito web palestinese, Donia Al Watan, ha pubblicato un articolo in cui si afferma che a Boston, lo scorso novembre, il suggerimento di boicottare Israele era stato messo all’ordine del giorno della conferenza annuale, nonostante il fatto che l’organizzazione MESA avesse molti membri israeliani che giudicavano questa azione un fatto negativo. Opponendosi al boicottaggio, hanno sostenuto che vi sono paesi arabi - non solo l’Egitto e la Giordania - che hanno relazioni con Israele, per cui dove era la logica nel boicottaggio da parte di un’organizzazione accademica internazionale? Anche gli americani e gli europei hanno sostenuto che Israele è uno Stato legittimo, dunque il boicottaggio è irragionevole e al massimo dovrebbero essere boicottate le comunità e le aziende in Giudea e Samaria.

La divergenza nasce dalla definizione della parola “occupazione”. Gli americani e gli europei usano questo termine in seguito all’esito della Guerra dei Sei Giorni del 1967, mentre arabi e musulmani tendono a utilizzarlo facendolo partire sin dalla Guerra per l’Indipendenza di Israele del 1948. Alla conferenza, nel suo complesso, le attività anti-israeliane non sono state organizzate a livello centrale, tutti hanno lavorato individualmente, senza coordinarsi con altri attivisti, e neppure in modo significativo con l’Autorità Nazionale Palestinese. Questo è stato evidente in una dimostrazione decisa dalle forze a favore del BDS di fronte agli uffici della Hewlett- Packard (HP), volta a ottenere che l’azienda non lavorasse più con Israele e- cosa più importante- bloccasse la vendita dei propri prodotti agli stabilimenti che lavorano per il Ministero della Difesa israeliano.
Il problema sta nel fatto che la HP è una impresa che dà lavoro a circa 350.000 uomini e donne in tutto il mondo, un buon numero dei quali è negli Stati Uniti. Un boicottaggio potrebbe portare a difficoltà economiche e al licenziamento di lavoratori, cosa su cui nessun americano sarà d’accordo, per non parlare della rabbia conseguente da parte della nazione americana e del suo neo-eletto Presidente, che parla continuamente della necessità di aumentare il numero di posti di lavoro negli Stati Uniti. Affrontare Trump dal lato sbagliato è l’ultima cosa che il governo dell’ANP vorrebbe durante questo periodo così delicato, ma gli attivisti del BDS non vedono né comprendono le complesse considerazioni che riguardano l’Autorità palestinese.

Un altro problema che il BDS deve affrontare è la classica accusa secondo cui ciò che motiva i suoi attivisti sono l’antisionismo e l’odio verso gli ebrei solo perché ebrei, anche se non prendono parte alla politica di Israele. E’ difficile per gli attivisti del BDS negarlo, e appare particolarmente vero quando sono i musulmani o i membri arabi del movimento ad essere accusati di questi pregiudizi; è un’accusa fastidiosa perché essere etichettato come antisemita, nel senso di essere anti-ebreo, è ancora giudicato negativamente in Europa e Nord America.
L’autore dell’ articolo su Donia Al Watan giunge alla conclusione che l’attivista BDS dovrebbe concentrarsi su limitate questioni locali, come l’abusivismo edilizio nelle comunità ebraiche di Giudea e Samaria, sul modo in cui il governo israeliano si comporta. E, aggiunge, il BDS dovrebbe abbandonare l’arena internazionale, dove porta più danni che benefici per i palestinesi.

Stiamo assistendo al lento declino del BDS? Forse, ma è troppo presto per riposare sugli allori. Un’operazione a Gaza, una guerra con Hezbollah o una conflagrazione più grande in Giudea e Samaria ( molti pensano sia solo una questione di tempo) possono facilmente immettere sangue nuovo nelle arterie invecchiate del movimento.
Israele non deve fermare le sue attività anti-BDS neppure per un minuto e combatterlo ogni luogo in cui ha fatto breccia. E’ possibile che la lotta contro il BDS sarà più facile durante l’amministrazione Trump, più ben disposta nei confronti delle aspettative di Israele, ma non dimentichiamo che, dopo quattro/ otto anni, il partito democratico potrebbe fare ritorno alla Casa Bianca, con una politica verso Israele molto diversa da quella di Trump.

Israele deve estendere, ampliare e approfondire i suoi sforzi di informazione contro il BDS, in modo che si rafforzi fra ebrei e non ebrei la sensazione della giustezza delle sue ragioni. Israele deve realizzare un notiziario online ufficiale, in inglese e in altre lingue straniere,-non una grande spesa rispetto ai canali satellitari- e iniziare a trasmettere non-stop notizie e commenti su quanto sta accadendo, questo al fine di portare il mondo a rendersi conto di non essere responsabile per quanto avviene nella regione, per la violenza tribale interetnica che sta lacerando il Medio Oriente, trasformando quelle popolazioni in vittime e rifugiati.

 Per anni Israele ha trascurato l’importanza della diplomazia pubblica, ovvero l’ informazione -quella che una volta si chiamava hasbarà- mettendola nelle mani di persone la cui agenda politica, sociale e culturale rispecchia gli errori di coloro che hanno firmato i deliranti “Accordi di Oslo”: il liberalismo, il secolarismo, e un tentativo di firmare trattati con i nostri nemici anche se non portano una vera pace; questa si ottiene invece solo se gli arabi e i musulmani accettano il nostro diritto di vivere in uno Stato, di cui la nostra storica ed eterna capitale è Gerusalemme. Il vuoto creato dai governi israeliani dalla firma degli accordi di Oslo del 1993 in poi, è stato riempito da organizzazioni che lavorano in Israele e fuori, che si prodigano con sforzi sinceri di diplomazia pubblica per il popolo ebraico e il diritto alla sua terra. Senza in alcun modo togliere nulla alla loro importanza, tengo a precisare che un Paese non può lasciare un problema di tale rilievo nelle mani di privati, anche se sono più efficienti ed efficaci. La maggioranza che governa il paese prende atto della realtà, non le chimere di un “Nuovo Medio Oriente”, per cui è fondamentale che metta il tema della diplomazia pubblica nelle mani di persone che credono nella giustezza della causa del popolo ebraico nella sua Patria storica e Gerusalemme, sua capitale eterna.

Solo un approccio deciso e convinto, è in grado di influire su coloro che non condividono il nostro destino, il nostro futuro e stile di vita, che possono influenzare la nostra esistenza. Quando le spie inviate da Mosè tornarono dalla loro missione, dissero agli Israeliti che la gente del posto li vedeva come piccoli insetti e che tali si erano sentiti anche loro. Se anche noi ci vediamo come insetti, allora anche gli altri ci vedono come tali. Il problema comincia con noi, è dentro di noi, per cui anche la soluzione del problema inizia a partire da noi. La lotta contro il BDS non è diversa.

Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
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