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Mordechai Kedar
L'Islam dall'interno
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L’oppressione della minoranza araba in Iran 30/05/2016
L’oppressione della minoranza araba in Iran
Analisi di Mordechai Kedar

(Traduzione dall’ebraico di Rochel Sylvetsky, versione italiana di Yehudit Weisz)

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Hassan Rohani

L’Occidente ignora ciò che sta accadendo alle numerose minoranze in Iran, un paese che comprende un gran numero di gruppi etnici: persiani, azari, curdi, turkmeni, beluci, arabi e altro ancora. Il gruppo più numeroso, quello dei persiani, è anche al potere e costituisce il 60% della popolazione. La Guida Suprema Ali Khamenei è un Azari.

A Sud dell’Iran, nella regione del Khuzistan, vive un gruppo di minoranza araba, ma è proprio lì, sotto ai suoi piedi, che si trova la maggior parte delle risorse petrolifere e dei giacimenti di gas. Questi arabi sono sciiti, esattamente come la maggior parte dei persiani, ma il governo li tratta con disprezzo. In passato, la regione era chiamata Arabistan alludendo al gruppo etnico che vi abita, ma dopo la Conquista Persiana nel 1925, per nascondere il suo carattere arabo i persiani l’hanno chiamata Khuzistan. Oggi quella regione si chiama Ahwaz, col nome della sua capitale. La sua superficie è di oltre 60.000 chilometri quadrati, tre volte tanto quella dello Stato di Israele, ma la sua popolazione è di 4,5 milioni, la metà di quella di Israele. Sebbene lì vi sia concentrata gran parte delle riserve di gas e di petrolio dell’Iran, la maggior parte della popolazione araba che ci vive non ne ricava alcun beneficio, anzi ne è danneggiata. I leader arabi non riconoscono quel gruppo arabo come una minoranza etnica, gli viene persino proibito l’uso ufficiale e pubblico della lingua araba.

Gli arabi iraniani non sono autorizzati a intraprendere alcuna attività politica o culturale che potrebbe far sorgere una qualche idea di solidarietà. Il governo iraniano ha costruito delle dighe sui due fiumi principali della regione, al fine di portare l’acqua ad altre regioni in Iran, per lo più persiane. Di conseguenza, i terreni agricoli in prossimità dei fiumi sono senza acqua e molti abitanti dei villaggi arabi si sono trovati senza alcuna fonte di reddito. La maggior parte di loro si è trasferita nelle città dove vivono in estrema povertà. I giacimenti petroliferi della regione di Ahwaz attirano società occidentali e cinesi che trivellano, producono e raffinano petrolio, ne consegue un tale inquinamento che è pericoloso rimanere nella regione. Il regime iraniano è indifferente alla sofferenza di questa popolazione, costringendola nel 2005 a dimostrare per il suo riconoscimento come collettività e per la cessazione delle operazioni il cui scopo è depauperare la regione delle risorse naturali. La risposta del regime è stata quella di disperdere i manifestanti, uccidendone centinaia.

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Esistono numerose organizzazioni clandestine attive tra la popolazione araba del Khuzistan, in prima linea c’è il Consiglio Patriottico di Ahwaz, il quale non fa mistero del suo obiettivo di liberare l’area dall’occupazione iraniana. Nell’agosto del 2013 l’Iran aveva ucciso sei cittadini di Ahwaz. La notizia era stata data usando il termine “i nemico dell’Iran”, quindi che erano stati giustiziati a causa di cosiddetti “attacchi terroristici”; in realtà erano solo dei semplici studenti delle università iraniane, che al massimo avevano partecipato a manifestazioni non violente. Le esecuzioni nella regione non sono un evento raro. In centinaia sono stati impiccati ed esposti per le strade quale deterrente per chi sogna l’indipendenza o lotta per i diritti civili.

Quest’anno, il 6 marzo, un leader religioso arabo di nome Bakr Al Naami, è stato arrestato dal regime iraniano. Viveva ad Ahwaz e non è ancora venuto alla luce nessun segnale di dove si possa trovare. Il governo non dice nulla e nega persino l’arresto, anche se non pochi testimoni oculari hanno visto uomini della sicurezza in abiti civili fare irruzione nella sua casa, catturarlo e allontanarsi velocemente con lui in una macchina appartenente al servizio di sicurezza interna. I servizi di sicurezza l’avevano già arrestato diverse volte e tenuto in isolamento per mesi. L’ultima volta hanno anche sequestrato tutti i suoi libri e i telefoni. Il regime lo considera una persona che “diffonde propaganda anti-regime”, insulta l’islam, sostenendo che dopo aver abbandonato gli sciiti, si è unito ai sunniti, organizzando letture del Corano, preghiere e festività secondo le consuetudini dei paesi arabi sunniti. La famiglia di Al Naami si è rivolta ad organizzazioni internazionali, anche a Ahmed Shahid, il funzionario incaricato degli affari iraniani al Consiglio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, ma senza alcun risultato. Secondo una delle organizzazioni clandestine che lavorano per liberare gli arabi dal giogo iraniano, il “Movimento per la lotta araba per un’Ahwaz Libera”, la persecuzione della minoranza araba sta diventando sempre più attiva, il regime entra con la forza nelle case degli attivisti e arresta molti di loro, donne comprese: di recente un’attivista è stata arrestata per tre giorni e dopo il rilascio è stata messa agli arresti domiciliari, con la proibizione di comunicare. Il governo iraniano ha messo sulla sua pagina Facebook dei testi falsi, destinati a provare la sua colpevolezza. Il suo arresto ha portato ad un’ondata di proteste tra la popolazione araba in Iran ed è stato divulgato in tutto il mondo. Ciò ha costretto gli iraniani a liberarla e metterla agli arresti domiciliari, una dimostrazione che il regime teme la pubblicità negativa.

Questa sensibilità probabilmente deriva dal timore del regime iraniano che possa aumentare il sentimento anti-governativo nella minoranza araba e che potrebbe diffondersi ad altre minoranze, soprattutto ai curdi ed ai beluci, versando olio sul fuoco delle tensioni tra i persiani e tutte le minoranze del Paese, cosa che potrebbe intaccare la stabilità del governo. I portavoce delle organizzazioni della regione di Ahwaz, nel riferirsi al regime, usano termini come “governo di occupazione” e “territori occupati”. Il mondo cosiddetto “illuminato” normalmente ignora la politica del regime iraniano nell’ Ahwaz, così come ignora la maggior parte degli omicidi di massa e delle guerre nel mondo islamico e arabo. I rifugiati migranti fuggono in massa verso l’Europa o gli Stati Uniti, ma l’Occidente non alza un dito per porre fine ai disastri in corso. Inoltre, il regime iraniano, nonostante l’ oppressione delle minoranze - arabi, curdi e beluci - è diventato il beniamino dell’Occidente, nell’ attesa di fare affari con il Paese che ha appena avuto miliardi versati nelle sue casse che si stavano prosciugando.

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Oppositori politici in Iran

Invece di inasprire le sanzioni contro il regime degli Ayatollah, l’Occidente ha tradito le minoranze perseguitate in Iran e ha permesso agli Ayatollah di poter fare tutto ciò che vuole nei confronti delle minoranze locali. Il mondo non si preoccupa di rendere noto ciò che accade in Iran, ma anche se lo avesse fatto, non avrebbe comunque agito. Il destino della gente oppressa e sfortunata, condannata a vivere sotto la forca del regime iraniano, non desta interesse. La storia giudicherà i leader occidentali per il loro silenzio e per aver dato priorità agli affari economici con l’Iran, a scapito della vita e del benessere di milioni di persone oppresse, costrette a vivere in condizioni che nessuno in Occidente potrebbe tollerare. Non esiste ipocrisia più grande.

Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
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