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Mordechai Kedar
L'Islam dall'interno
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L’Occidente sta perdendo i suoi alleati in Medio Oriente 27/10/2013
 

L’Occidente sta perdendo i suoi alleati in Medio Oriente
Commento di Mordechai Kedar

(Traduzione dall'ebraico di Sally Zahav, versione italiana di Yehudit Weisz)

 

Fin dagli anni settanta il mondo si era abituato alla divisione in Medio Oriente tra i Paesi schierati con l’Occidente - Arabia Saudita, Emirati del Golfo, Egitto, Giordania, Tunisia, Marocco e Israele, a cui potremmo aggiungere la Turchia - e quelli sotto il controllo dell’Unione Sovietica: Siria, Libia, Iraq e Yemen del Sud. Il Libano allora era tra l’incudine democratica e il martello siriano.
Il crollo dell’Unione Sovietica alla fine degli anni ’80 non aveva portato grandi cambiamenti all’orientamento politico, e i Paesi che erano fedeli al blocco occidentale guidato dagli Stati Uniti sono rimasti tali fino a poco tempo fa, quando si è costituito un nuovo blocco nemico guidato dall’Iran e sostenuto da Russia e Cina. Più la minaccia iraniana si fa pressante e più i Paesi filo occidentali dipendono dagli aiuti americani. Ultimamente però la coalizione filo-occidentale ha iniziato a sgretolarsi, e due Paesi chiave, Arabia Saudita ed Egitto, stanno cercando una nuova stampella politica da quando hanno percepito che quella americana non è altro che “una canna rotta” (Isaia 36:6).
A questo elenco possiamo aggiungere alcuni altri Paesi, in particolare la Turchia e gli Emirati del Golfo.

 Arabia Saudita

 Con una mossa senza precedenti, il Regno saudita ha rifiutato di diventare membro dell’Organizzazione più potente al mondo, il Consiglio di Sicurezza dell’ONU, che ha l’autorizzazione a trattare i problemi di sicurezza del mondo e che, investito della sua autorità, ha persino il potere di dichiarare guerra contro un Paese che vìoli le sue risoluzioni. E’ inevitabile che sorga la domanda: perché l’Arabia Saudita si è rifiutata di diventare membro dell’organismo che è forse l’unico in grado di affrontare il progetto nucleare iraniano? Perché l’Arabia Saudita non ha colto l’occasione di influire sugli eventi in Siria dall’interno del Consiglio di Sicurezza? Perché non ha sfruttato la massima visibilità sulla scena internazionale al fine di agire contro Israele?
Apparentemente il motivo è quello pubblicato dal Ministero degli Esteri saudita, in cui viene espressa un’esigenza etica: il Regno non accetterà di far parte del Consiglio di Sicurezza fintanto che questo non si sottoporrà a riforme che l’ autorizzino a raggiungere il proprio scopo, quello di preservare la pace nel mondo. L’apparato obsoleto, le pratiche dispendiose, e l’uso del doppio standard impediscono al Consiglio di Sicurezza di svolgere il proprio ruolo. Sono citati molti esempi: non è stato ancora risolto il problema palestinese, sorto 65 anni fa, nonostante tutte le guerre che ne sono derivate e che continuano a minacciare la pace di tutta la regione e del mondo; il Consiglio di Sicurezza dell’ONU consente al dittatore siriano di continuare, da quasi tre anni, a massacrare i suoi cittadini senza imporre sanzioni efficaci; né è riuscito a raggiungere l’obiettivo di trasformare il Medio Oriente in un’area priva di armi di distruzione di massa, per la sua incapacità di controllare in modo efficace i programmi nucleari militari. Nonostante che i sauditi, nel loro annuncio ufficiale, non citino l’Iran in particolare, è chiaro che il riferimento non è a Israele, da cui non si sentono minacciati, ma all’Iran, i cui programmi nucleari sono fonte di grande preoccupazione.
Tuttavia, sarebbe dovuto essere proprio il pericolo dell’armamento nucleare iraniano a dover spingere l’Arabia Saudita a diventare membro del Consiglio di Sicurezza: l’adesione avrebbe potuto concedere ai sauditi un ruolo attivo nelle decisioni da prendere contro l’Iran, quindi perché non partecipare?
In parte, i motivi sono riferibili al modo in cui i sauditi osservano il recente allineamento tra le grandi potenze internazionali, ma occorre anche considerare l’abituale cultura dell’onore, tipica del Medio Oriente: senza questo non si comprende il comportamento dei sauditi, fieri figli del deserto.
Prima di tutto, un uopmo d’onore non diventa membro di un club in cui è considerato di serie “B”. Nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU ci sono membri di classe “A”, i cinque membri permanenti (USA, Russia, Gran Bretagna, Francia e Cina) che posseggono armi nucleari e potere di veto, e poi ci sono membri di classe “B”, i dieci paesi con l’adesione temporanea, a cui è vietato possedere armi nucleari e che non hanno il potere di veto. L’Arabia Saudita in nessun modo accetterebbe di essere membro di classe “B” di una qualsiasi organizzazione, e preferisce non aderire perché l’importanza dell’onore supera ogni altro aspetto.
In secondo luogo, l’uomo d’onore non vuole essere considerato uguale a quei Paesi di cui non accetta le politiche e ai quali non vuole essere ossequiente. I sauditi sanno bene che nel Consiglio di Sicurezza dovrebbero comportarsi secondo i dettami degli americani, anche se non sono per nulla d’accordo con la politica dell’Occidente in generale e di Obama in particolare, riguardo a una vasta gamma di problemi. I sauditi non vogliono essere identificati con il sostegno americano a Israele, con la pacificazione con l’Iran in cambio di concessioni da parte di Obama, con l’immobilità dell’Occidente nei confronti di Assad, l’infedele assassino di musulmani.
I sauditi inoltre, non sono d’accordo con l’aiuto degli USA ai Fratelli musulmani in Egitto, infatti  sostengono Sisi con tutte le loro forze, mentre gli americani spingono Sisi, l’assassino di massa che appicca il fuoco alle moschee, a restituire il potere alla Fratellanza musulmana, che invece i sauditi detestano. Oltre a tutti questi disaccordi, i sauditi sono particolarmente adirati con gli Stati Uniti per il fallimento americano nel bloccare il programma nucleare iraniano, soprattutto dopo le innumerevoli promesse fatte dal Presidente Obama negli ultimi cinque anni, quando diceva che non avrebbe mai consentito all’Iran di costruire la bomba nucleare. Dal punto di vista dei sauditi ha infranto la promessa, e quindi è stato cancellato dall’elenco delle persone gradite. Recentemente Obama li ha resi furiosi con i suoi tentativi di pacificazione con gli iraniani, in particolare con la sua patetica offerta di incontrare Rohani, mentre quest’ultimo era negli USA per il Consiglio Generale dell’ONU. Rohani ha rifiutato l’invito ma alla fine, sulla strada verso l’aeroporto, ha accettato di ricevere una telefonata da Obama.
Obama non si è soltanto  umiliato, ma, dal punto di vista dei sauditi, ha inflitto un duro colpo al loro onore. Il terzo motivo del rifiuto da parte dei sauditi a diventare membri del Consiglio di Sicurezza, è che l’Arabia Saudita agisce per contrastare la sicurezza di molti Paesi: è l’Arabia Saudita che finanzia il terrorismo sunnita in Iraq, i suoi miliardi servono per finanziare le centinaia di milizie jihadiste in Siria, inoltre i sauditi pagano molti petro-dollari per diffondere l’islam wahhabita radicale in Europa, Africa, Asia e America.
Far parte del Consiglio di Sicurezza sarebbe in contraddizione con le attività saudite che in realtà minano la sicurezza di molti Paesi, questo potrebbe metterli in situazioni imbarazzanti. E l’imbarazzo è l’ultima cosa che un uomo mediorientale è disposto a tollerare, oltre alla vergogna.
Il governo del Regno saudita preferisce agire dietro le quinte, esercitare la propria influenza in gran segreto, e agire non visto, perché è lì che risiede la sua forza. Un seggio nel Consiglio di Sicurezza porrebbe l’Arabia Saudita al centro dell’attenzione, cosa non coerente con il loro stile,  preferiscono agire ed esercitare la loro influenza senza esporsi. Posseggono tutto e perciò hanno molto da perdere. Un seggio nel Consiglio di Sicurezza non aggiungerebbe nulla alla loro reputazione e aumenterebbe l’attrito con le nazioni del mondo, attrito che li metterebbe a disagio dati i loro punti di vista conservatori e separatisti.

Le Organizzazioni per i diritti umani

I Paesi occidentali vantano la loro stretta osservanza dei diritti umani, all’interno dei loro territori e in altri Paesi. Consentono  ad alcune organizzazioni non-governative di agire liberamente in questo campo, e alcune di queste organizzazioni per i diritti umani ricevono benefici economici, aiuti governativi ed esenzioni dalle tasse sulle donazioni. I Paesi occidentali usano i bilanci che pubblicano queste organizzazioni per impostare le loro politiche, nonostante queste relazioni provengano da una ben specifica agenda culturale dei membri dell’organizzazione e dei loro finanziatori.
Amnesty International,che ha sede a Londra, la scorsa settimana ha pubblicato un rapporto particolarmente duro sull’Arabia Saudita. Secondo il rapporto, l’Arabia Saudita non agisce secondo le raccomandazioni delle Nazioni Unite (cioè dell’Occidente) per tutto quel che riguarda i diritti umani e le libertà civili, e dal 2009 ha sempre più intensificato l’oppressione sugli attivisti per i diritti umani con arresti arbitrari, torture e processi nei quali i diritti degli imputati non sono garantiti. In Arabia Saudita le donne e i lavoratori stranieri sono maltrattati, e i membri di religioni non islamiche sono continuamente perseguitati. I responsabili di Amnesty per le zone del Medio Oriente e del Nord Africa accusano l’Arabia Saudita di infrangere tutte le promesse fatte per migliorare la situazione dei diritti umani, usando aiuti economici e influenza politica. Il rapporto è stato presentato pubblicamente durante il Consiglio per i Diritti Umani a Ginevra, e il fatto che sia stato presentato davanti al mondo intero ha scatenato le ire dei sauditi, che accusano Amnesty e il Consiglio di un doppio standard.
I sauditi sono molto adirati nei confronti di Amnesty e dell’Occidente in generale “ Guarda questi ipocriti: viaggiano per lavoro su auto che usano carburante saudita, girano il mondo volando in prima classe con benzina saudita, siedono in uffici di lusso rinfrescati tramite l’elettricità prodotta con gas saudita, gestiscono i loro Paesi tramite banche che vivono grazie al denaro dei sauditi e con tutto questo sputano sul petrolio saudita che permette loro di vivere così bene e criticano i sauditi aspramente.”
Il problema è particolarmente sentito quando la critica dell’Occidente tocca la condizione delle donne e i loro diritti in Arabia Saudita. Il divieto alle donne di camminare per strada senza essere accompagnate da un uomo, il divieto alla guida, al voto o ad essere elette, è una questione culturale e religiosa, e i sauditi non vogliono assolutamente accettare i dictat del colonialismo culturale occidentale che vuole valutare i loro valori e tradizioni, secondo i canoni occidentali.
Il saudita è stupito: “ Per quale motivo gli infedeli occidentali, materialisti e permissivi, pensano di essere migliori di noi?”
Il giudizio negativo sugli sciiti della parte orientale dell’Arabia deriva dal fatto che per i wahabiti gli sciiti sono una sorta di eresia al loro interno. L’onnipresente sospetto che gli sciiti guardino all’Iran, rende l’Arabia diffidente nei confronti dei residenti nella zona orientale, dove, sotto i piedi degli sciiti, sono situati i giacimenti petroliferi. Il regime saudita ha sempre il sospetto che l’Iran stia cercando di minacciarlo con l’aiuto della minoranza sciita; chi ha dato il diritto ad Amnesty di ficcare il naso in questioni così sensibili per la sicurezza nazionale saudita? Di recente una serie di organizzazioni per i “diritti umani” e in modo particolare Amnesty, ha cominciato a criticare il modo con cui gli Stati Uniti usano i droni nella lotta contro al-Qaeda e suoi affiliati in Pakistan e in Yemen. Le organizzazioni sostengono che in questi attacchi non vengano uccisi solo terroristi, ma anche cittadini innocenti. Lo sforzo fatto dagli Stati Uniti per localizzare i terroristi ed eliminarli non impressiona le organizzazioni che anzi tendono a portare in giudizio per crimini di guerra personaggi pubblici coinvolti nelle operazioni con i droni. L’Arabia Saudita protesta anche per il terrorismo di al-Qaeda nella Penisola Araba, ed in modo particolare da coloro che trovano rifugio nello Yemen. A intervalli di qualche settimana, gli Stati Uniti eliminano gli jihadisti in Yemen, apparentemente con la collaborazione dell’intelligence saudita. Ma qui arrivano le organizzazioni occidentali dalle anime candide che chiedono di interrompere le operazioni dei droni contro al-Qaeda, il nemico dell’Occidente e dell’Arabia Saudita.
E’ così che si comporta l’Occidente? E’ così che possiamo contare sull’Occidente? Con una mano combatte il terrorismo e con l’altra cerca di legare le mani che lo stanno combattendo?
L’ipocrisia occidentale scoraggia del tutto i Sauditi a collaborare con noi. Le attività delle organizzazioni occidentali come Amnesty fanno sorgere il dubbio ai sauditi di quanto siano stretti i loro rapporti con l’Occidente. Se i Paesi occidentali permettono ad Amnesty di operare al loro interno contro l’Arabia Saudita e la rendono un bersaglio per le frecciate di critiche ingiustificate ed illegittime (dal punto di vista saudita), e se le organizzazioni occidentali agiscono contro la lotta al terrorismo, allora perché l’Arabia Saudita dovrebbe mantenere rapporti di amicizia con i Paesi occidentali?
Forse dovrebbero stringere legami con la Russia e con la Cina, paesi che non opprimono l’Arabia con noiose questioni sui diritti umani e non seccano la casa reale con argomenti che non hanno alcun significato, come i diritti delle donne e quelli dei lavoratori stranieri?

Egitto

Gli Stati Uniti stanno perdendo la loro influenza anche in questo paese per l’appoggio dato a Morsi e alla Fratellanza Musulmana. Hanno congelato parte del loro sostegno economico annuale , cosa che ha fatto molto arrabbiare gli egiziani. Anche se l’esercito egiziano può continuare a funzionare malgrado l’interrotta fornitura di armamenti americani, con questo taglio di aiuti Obama ha offeso pesantemente gli egiziani,  molto fieri del loro paese e della storia millenaria del loro popolo.
Solo per un confronto: da quanto esistono gli Stati Uniti?
Continua il sostegno americano ai Fratelli Musulmani nonostante l’esercito – che aveva tolto loro il potere – stia combattendo la Fratellanza con ogni mezzo possibile e nonostante l’aperto appoggio dato all’esercito da parte di molti settori della popolazione egiziana.
Recentemente è stato annunciato che Putin potrebbe visitare l’Egitto, e questo non significa che vuole solo navigare sul Nilo o visitare i musei. Tutti sanno che la visita avrebbe una valenza politica, e che l’Egitto di Sisi sta cercando oggi una nuova stampella, visto che quella americana è stata abbastanza deludente per i militari, vecchi e nuovi governanti della Terra del Nilo.

Turchia

 Dal quando Erdogan è salito al potere, nel 2002, la Turchia ha progressivamente svoltato verso una politica islamica simile a quella dei Fratelli Musulmani. La Turchia rifiutò di partecipare alla guerra della Nato contro Saddam Hussein nel 2003 ed è furiosa e offesa per le obiezioni politiche dell’Europa riguardo al suo ingresso nell’Unione. Il suo rapporto negativo verso Israele è fondato sulla visione islamica che nega per principio che gli ebrei possano vivere sovrani nel proprio Paese, invece che come “ dhimmi “ ( cittadini di seconda categoria ) sotto l’egida dell’islam.
Di recente è stata pubblicata la notizia che l’intelligence turca ha svelato una rete di spionaggio israeliana che operava in Iran, e facendo questo, ha violato la fiducia così essenziale per l’intelligence e la cooperazione sulla sicurezza. Di conseguenza gli Stati Uniti hanno bloccato la consegna dei droni alla Turchia, poichè se i turchi svelano agenti israeliani all’Iran, potrebbero sicuramente rivelare all’Iran anche i segreti dei droni americani. La conclusione è che anche per quanto riguarda la Turchia - che è ancora un membro della NATO – ci sono dei dubbi a considerarla come parte integrante della coalizione occidentale.

 Israele

 In Israele c’è un numero sempre crescente di cittadini che non credono che la soluzione dei due Stati – che il governo americano sta cercando di promuovere con tutte le forze – porterà una vera pace tra noi ebrei e gli arabi. La separazione tra Gaza e Ramallah non finirà in un futuro prevedibile, e il problema del terrorismo da Gaza non si risolverà, anche se Israele dovesse abbandonare Giudea e Samaria. Inoltre, nessuno al mondo, neppure Obama, può promettere che uno Stato arabo in Giudea e Samaria non diventi un altro Stato di Hamas, sia tramite elezioni come accadde nel gennaio del 2006, sia con una violenta presa del potere come accadde a Gaza nel giugno 2007.
Gli americani che stanno spingendo le due parti ad una soluzione  due Stati, stanno mettendo in pericolo l’esistenza di Israele, e molti israeliani dicono: se questo è il comportamento dei nostri amici, cosa farebbero i nostri nemici?
A questo bisogna aggiungere alcuni fattori: lo spirito antisemita che sta inondando le istituzioni accademiche negli Stati Uniti, nascosto dietro slogans anti Israele; il “ politicamente corretto” occidentale che permette a tutti di attaccare Israele ma non i suoi nemici; il fatto che l’Islam sta guadagnando forza in Europa e negli Stati Uniti e influenza le politiche occidentali in Medio Oriente; la costante diminuzione in numero, potere e sostegno degli ebrei americani.
Per tutte queste ragioni, non è del tutto chiaro se Israele abbia tutte le ragioni per continuare a rimanere nel campo occidentale. Con la famiglia regnante in Arabia Saudita furiosa con gli Stati Uniti e l’Occidente; con il regime in Egitto in urto con gli Stati Uniti e in cerca di altri partners; con la Turchia che si comporta come se fosse schierata con l'Iran; quando tanti israeliani hanno la sgradevole sensazione che gli Stati Uniti e l’Europa stiano agendo contro gli interessi di Israele, non è chiaro se gli Stati Uniti e l’Europa rappresentino ancora una coalizione favorevole allo Stato ebraico. Sulla base di quella che sembra la disintegrazione della coalizione occidentale nella regione, forse Israele dovrebbe sviluppare le sue relazioni con le potenze emergenti nel mondo, come la Cina, anche se ad alcuni americani potrebbe non piacere.

 Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
Link:
http://eightstatesolution.com/
http://mordechaikedar.com/


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