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Mordechai Kedar
L'Islam dall'interno
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L’Egitto nella crisi più profonda 01/12/2012

L’Egitto nella crisi più profonda
Analisi di Mordechai Kedar

(Traduzione dall’ebraico di Sally Zahav, versione italiana di Yehudit Weisz)

Mohammed Morsi     

Da quando Mubarak è stato costretto a dimettersi nel febbraio 2011, la percezione di una nuova alba nuova si è diffusa in Egitto: parole roboanti e frasi quali “democrazia”, ​​“diritti civili”, “libertà” e “stato delle istituzioni”, una volta arrivate finalmente in Egitto, queste componenti della democrazia, sono diventate l’obiettivo dei discorsi politici. In quanto cittadini di uno stato che per più di duecento anni, ha calpestato i valori di indipendenza e sovranità, gli egiziani hanno atteso il loro turno per salire sul treno della democrazia per poterne godere i vantaggi; molti altri popoli lo hanno già fatto, per esempio in Europa orientale, dove sono stati rovesciati in solo pochi anni dittature e conquistate  libertà.

 Per la prima volta, nella storia dell’Egitto moderno, si sono svolte delle elezioni vere, non truccate, per il Parlamento e la Presidenza. Per la prima volta il popolo egiziano ha visto che il sogno di diventare uno Stato si stava avverando, con una costituzione e un diritto, basato su legge e ordine, non uno stato governato da un dittatore e dalla sua famiglia, dove ogni decisione è l’espressione di interessi personali, il cui governo autocratico nessuno sa se e quando avrà fine.

L’espressione immediata di queste speranze sarebbe dovuta essere un miglioramento per l’economia e un aumento del reddito pro capite. In un paese dove decine di milioni di persone vivono in quartieri senza piano regolatore, senza acqua corrente, fognature, elettricità o telefono, il benessere economico è una questione d’importanza vitale, in sua mancanza, la vita è troppo simile alla morte.

Ma più grande è la speranza, più grande è la delusione. Quasi due anni sono passati da quando ebbe inizio la “Primavera”, oggi l’Egitto si è incamminato lungo una china infida, pericolosa, per sprofondare nella palude delle rivolte politiche, civili, costituzionali e amministrative, privo di qualsiasi controllo su quanto sta succedendo, mentre il paese è sempre più vicino al baratro. La paralisi che si è impadronita del governo è un ostacolo a ogni progresso per l’emanazione della nuova costituzione, che avrebbe dovuto dare al paese una serie di regole condivise e vincolanti per la politica; la rabbia per la mancanza di queste regole spinge gli egiziani su posizioni spesso irrazionali.

Il presidente eletto, Muhammad Morsi, un rappresentante del movimento dei Fratelli Musulmani, in un primo momento aveva goduto di molto credito, ma in questi tempi difficili è ora percepito come un nuovo dittatore, per aver emanato alcune “dichiarazioni costituzionali” che gli concedono poteri totali rispetto alle altre autorità governative, in particolare per quanto riguarda il sistema legale. Ha destituito il Procuratore Generale, nonostante avesse dichiarato di non avere alcuna autorità per farlo. Secondo le “dichiarazioni”di Morsi, le sue decisioni non sono soggette a controllo giurisdizionale, neppure all’Alta Corte. Molti egiziani - anche quelli che avevano creduto in lui, che l’avevano sostenuto e votato - ora ritengono che se due anni fa erano riusciti a rovesciare un dittatore laico, l’hanno ora sostituito con un dittatore teocratico.

 In estate, quando aveva destituito il feldmaresciallo Tantawi e alti ufficiali militari, il suo prestigio era aumentato agli occhi della maggior parte del popolo, perché questo passaggio era stato interpretato come la fine del governo militare e l’inizio di uno civile. Anche la violenza dei militari nel reprimere le manifestazioni, anche quelle contro di lui, aveva accresciuto la sua popolarità, perchè fu vista come una forza capace di opporsi al potere dei militari. Malgrado ciò Morsi ha perso rapidamente una parte considerevole della fiducia popolare, per non aver riconvocato il Parlamento dopo che era stato sciolto dall’ Alta Corte e per non aver convocato il Comitato per redigere la Costituzione.

La lotta aperta di Morsi contro la corporazione degli avvocati ha suscitato l’ira degli oppositori come quella dei sostenitori: i suoi avversari respingono i tentativi di controllare il sistema giuridico che dovrebbe essere libero, professionale e senza alcuna influenza politica, mentre i suoi sostenitori sono in rivolta perché non ha controllato abbastanza questa élite professionale, che non è eletta, e che impone le sue regole allo Stato. Morsi è riuscito a evitare un conflitto con l’esercito solo perché non osa toccare i monopoli economici su cui i militari si arricchiscono. La ragione per cui Morsi non ha avocato a sè il controllo sul patrimonio dei militari è perché ha bisogno di prestiti in possesso dell’esercito, non esistendo una supervisione del Ministero del Tesoro o delle Finanze.

Una delle cause principali del fallimento dello Stato è lo scarso rendimento del mercato azionario del Cairo, che nei giorni scorsi è crollato di circa il 10 %, il che vuol dire che molti cittadini hanno perso una parte significativa dei loro risparmi. Inoltre, un forte calo del mercato rivela una svalutazione degli investimenti, una riduzione delle fonti di occupazione e di sostentamento anche per coloro che non investono nel mercato azionario. L’economia egiziana, che soffre gravemente della mancanza d’investimenti stranieri e di turismo, oggi dipende quasi esclusivamente da un’unica fonte di valuta forte: la tassa di passaggio del Canale di Suez. Questa è la ragione per cui lo Stato, non parla affatto di tagliare i rapporti con Israele. Infatti l’atmosfera carica di tensioni nell’ambito della sicurezza - anche se non si è deteriorata fino ad atti di ostilità – sta causando un aumento immediato delle spese di assicurazione per le navi che attraversano il canale, riducendo la redditività e quindi con gravi perdite da questa rilevante fonte di reddito. Un importante fattore economico è l’attuale difficoltà per l’Egitto di ottenere un prestito dalla banca internazionale senza che siano garantiti da altri paesi. L’Europa, che si sta dibattendo nei propri problemi economici, non può certo essere un garante per l’Egitto, mentre le sovvenzioni degli Stati Uniti esigono in cambio la garanzia politica sui rapporti con Israele e una stretta aderenza alle regole della democrazia. La mancanza di finanziamenti internazionali potrebbe costringere il governo egiziano a ridurre i sussidi sui prodotti alimentari, in particolare sul pane, 'Arifa, che rappresenta l’alimento base per i cittadini dello Stato. L’eventuale aumento del prezzo del pane, anche minimo, potrebbe spingere milioni di cittadini a scendere nelle strade e minacciare il governo con gli slogan della “rivoluzione della fame”. E’ successo più volte in passato, e l’ultima cosa di cui Morsi ha bisogno è quella di danneggiare la classe più povera del paese, cioè coloro che spendono la maggior parte del loro reddito per comprare i prodotti alimentari essenziali.

Il movimento dei Fratelli Musulmani, che aveva fatto la parte del leone per i seggi del Parlamento e per l’Ufficio di Presidenza, negli ultimi mesi ha perso in gran parte la stima che aveva prima, accusato di ambire solo al potere, e di godere dei vantaggi che ne derivano: la gestione dei bilanci e i lauti stipendi dei suoi dirigenti. Anche tra i sostenitori della Fratellanza vi è preoccupazione, dato che dal momento in cui essa è salita al potere, ha preso le distanze dal popolo ed è diventata classe dirigente, interessata solo a rimanere al potere a tutti i costi, a scapito della popolazione civile.

La sensazione della sconfitta politica, insieme con la fame, spinge di nuovo gli egiziani in piazza Tahrir, da dove, forse, potrebbe arrivare la libertà; ma le varie correnti  trasformano le manifestazioni in conflitti violenti, causando molti sacrifici in nome di un ideale ambiguo. E’ questa la libertà per cui hanno pregato? E’ questa la democrazia per cui hanno combattuto? E’ questo lo Stato rispettoso delle istituzioni in cui speravano? La delusione è maggiore tra i giovani, i liberali, la generazione laica, i laureati, coloro che con il proprio stesso corpo hanno rovesciato Mubarak. Hanno la sensazione che gli sia stata “ rubata la rivoluzione”, perché quello che hanno ottenuto al posto di Mubarak è il regime dei Fratelli Musulmani, da sempre sospettato di essere effettivamente controllato dalla “Guida generale” del movimento, che controlla il presidente eletto come un burattino.

 Le leggi presidenziali emanate da Morsi riportano l’Egitto a un’epoca di oscurantismo, perché già ai tempi della dittatura militare,  dal 1952, l’oppressione era totale e basata su atti governativi e leggi presidenziali. I gruppi liberali temono che la Confraternita intenda attuare la Shari’a islamica come legge ufficiale del paese, e temono che i rappresentanti del governo inizieranno a mettere soto controllo la condotta morale e controllare se quel che si beve e si mangia sia conforme alla legge islamica.

I copti, i nativi cristiani egiziani, sentono il cappio stringersi attorno al collo, da quando le loro attività sono state bloccate, le loro case bruciate, le chiese attaccate, gli uomini uccisi e le donne umiliate. Molti hanno lasciato il paese e cercano di riprendere altrove le loro attività, così come molti intellettuali, persino alcuni musulmani lasciano il paese,  in questi mesi hanno capito che l’Egitto sta scivolando rapidamente e in maniera incontrollata in una realtà amara e violenta, totalmente diversa da quello avevano sperato negli ultimi due anni. Ogni uomo d’affari, attore, artista e accademico, che lascia l’Egitto a causa della situazione, aumenta in chi resta il senso di desolazione e la paura di fare la fine dei topi sulla nave che affonda.

Molti settori della popolazione sono preda di una profonda delusione: il fallimento del Presidente nel convocare il Comitato Costituzionale, causa ritardi nel formulare le leggi della politica, e ognuna delle parti vede i danni arrecati agli obiettivi della rivoluzione. I religiosi si aspettano dalla Costituzione una garanzia che assicuri  regole  religiose che valgano per tutto il ciclo della vita, mentre i laici si aspettano che sia una barriera difensiva contro il controllo del potere religioso che vuole interferire nelle loro libere scelte di vita.

La delusione per il sistema che non funziona viene espressa pubblicamente, e gli slogan che compaiono sui cartelli nelle manifestazioni di questi giorni sono incredibilmente simili agli slogan di quelle di due anni fa contro Mubarak: “Vattene”, “La gente vuole rovesciare il regime”. Tuttavia, questa volta ci sono anche nuove parole d’ordine come: “Abbasso il governo di Badì” (la Guida Generale dei Fratelli Musulmani), “Abbasso, abbasso il regime della Guida”, “Disobbedienza civile”, “Annulla gli editti dittatoriali” e “Vogliamo una Costituzione”.

Un’altra questione che solleva le ire di molti, è quella delle assoluzioni e delle pene troppo lievi comminate agli ufficiali di polizia e dell’esercito, rei di aver ucciso manifestanti, e le assoluzioni di Mubarak e dei suoi figli per i reati commessi. Quasi ogni giorno viene richiesto di portare in tribunale i simboli del vecchio regime, anche per le questioni per cui sono già stati assolti.  E così che un sistema giudiziario dovrebbe funzionare? L’atmosfera turbolenta crea violenti scontri fisici tra i gruppi di manifestanti, e le proteste organizzate da gruppi con idee opposte producono scontri di estrema violenza. I manifestanti tentano di entrare negli uffici pubblici, nelle stazioni di polizia, nelle istituzioni economiche e nelle ambasciate occidentali mentre la polizia cerca di reprimere le violenze usando gas lacrimogeni, manganelli, e a volte anche sparando.
Ma la violenza della polizia acuisce la violenza dei manifestanti. La gente chiede  un’indagine sulla brutalità della polizia, ma questa richiesta, mai soddisfatta, aumenta la rabbia contro la violenza del regime , sordo alle reazioni dei cittadini.

 Le dimostrazioni non si limitano a piazza Tahrir al Cairo. Anche in altre città, come Alessandria, Asyut, Assuan e Suez, nei giorni scorsi ci sono state violente manifestazioni, ma l’esercito non è stato coinvolto: se ne sta in disparte a guardare e lascia che i gruppi si affrontino. Il Presidente cerca di calmare le acque, sostenendo che le misure antidemocratiche che ha preso, soprattutto le decisioni al di fuori del controllo giurisdizionale, sono provvisorie, e che saranno annullate non appena le altre istituzioni, in particolare il Parlamento, inizieranno a funzionare. Ma Morsi non convince nessuno, e alcuni membri dell’ opposizione hanno riportato le tende a piazza Tahrir, come per dirgli: “Non ci muoveremo di qua fino a quando non ti avremo rovesciato, come abbiamo già fatto con Mubarak”.

 Il fatto che la società egiziana viva in condizione di sovraffollamento, comporta che qualsiasi cosa venga detta ha una vasta diffusione. Le voci e le dichiarazioni si propagano tra la popolazione alla velocità della luce, e più bizzarro è il contenuto, più la gente ci crede. Le voci che circolano oggi dicono che sono i resti del regime di Mubarak quelli che stanno causando i problemi dell’era Morsi,  e che sono la causa del collasso del nuovo sistema perché tutti rimpiangano Mubarak. La voce più diffusa è quella che il presidente degli Stati Uniti abbia appoggiato il rovesciamento di Mubarak in modo da trasferire alla Fratellanza Musulmana la gestione dello Stato, altrimenti impossibilitato ad uscire dalla palude dei suoi problemi, ma che Obama avrebbe voluto causare la bancarotta politica della Fratellanza Musulmana screditandone l’ immagine.

Secondo questa teoria, tutto il processo dello scorso anno e mezzo, nel quale la Fratellanza ha conquistato il Parlamento e la Presidenza, faceva parte di un piano americano, e forse persino sionista, che mirava a far cadere la Fratellanza Musulmana in una trappola economica e amministrativa, dove si sarebbe dissanguata fino a morirne. Un’altra voce che si sente di frequente è che ogni volta che una manifestazione si trasforma in una violenta richiesta di massa, una parte dimostrava pacificamente, ma un' altra  contraria, si  infiltrava nella manifestazione creando provocazioni nei confronti della polizia e delle istituzioni pubbliche, con lanci di pietre e bottiglie Molotov, in modo di spingere la polizia a reagire con brutalità. Poi i media avrebbero rappresentato i manifestanti come violenti e barbari.

Ma la teoria cospirativa più aggiornata viene dal centro studi degli imam salafiti. Essa afferma che l’origine dei problemi dell’ Egitto deriva da ciò che rimane della cultura eretica dei Faraoni dentro la Terra dell’Islam, in modo particolare la Sfinge e le piramidi. "Colui che abita in Alto", vede queste statue e monumenti come simboli di idolatria e pensa che chiunque ne mantenga la continuità sta perpetuando l’eresia dei faraoni. Per questo Allah è furioso con l’Egitto, e provoca piaghe politiche ed economiche. La conclusione che si deve trarre da questa teoria, è che l’Egitto deve cancellare ogni residuo della cultura faraonica, compreso quello che è contenuto nei musei, perché solo allora la collera dell’Onnipotente sarà placata e l’Egitto guarirà delle sue malattie.

Abbiamo assistito a un approccio simile nell’Afganistan degli anni ’90, quando era stato colpito da una lunga siccità. Per placare l’ira del Creatore del mondo, i Talebani abbatterono due enormi, antiche statue di Budda, scavate nella montagna nella zona di Bamiyan, malgrado le proteste di tutto il mondo. Si può pensare che questo atteggiamento fanatico dei Talebani nei confronti delle culture che hanno preceduto l’Islam fossero in parte dovute e giustificabili per la guerra che il mondo intraprese contro di loro verso la fine del 2001, in seguito all’attacco agli Stati Uniti dell’11 settembre. Cosa accadrebbe in Egitto se la Sfinge e le piramidi venissero distrutte, così come chiedono i salafiti?

 L’Egitto oggi sembra un carro traballante, trainato da  forti e massicci cavalli che tirano in differenti direzioni: la Fratellanza Musulmana, i salafiti, i laici, quel che rimane del regime di Mubarak, i militari, la polizia, i servizi segreti, il Presidente e la “strada”, e a questi si aggiungono gli americani, gli europei , in modo particolare le Banche Internazionali. Sopravviverà il carro alle pressioni e resterà unito o si frantumerà in piccoli pezzi e ogni area dell’Egitto risolverà i propri problemi da sola?

 Il carro dell’Egitto uscirà intatto dalle sue difficoltà? Lo dirà il tempo. Che sia questa una “primavera araba” è difficile affermarlo.

Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
Link:
http://eightstatesolution.com/
http://mordechaikedar.com/


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