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Mordechai Kedar
L'Islam dall'interno
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In Iraq, l’Iran sconfigge gli Stati Uniti 04/11/2012

In Iraq, l’Iran sconfigge gli Stati Uniti 
Analisi di Mordechai Kedar

(Traduzione dall’ebraico di Sally Zahav, versione italiana di Yehudit Weisz)

Nel marzo del 2003 le forze della coalizione internazionale, sotto la guida degli Stati Uniti, avevano invaso l’Iraq per rovesciare il regime dittatoriale di Saddam Hussein, e  liberare il mondo dal pericolo delle sue armi chimiche, che aveva già utilizzato nel 1988 per combattere gli iraniani nella sanguinosa guerra iniziata nel 1980. Poco prima che l’Occidente invadesse l’Iraq nel 2003, Saddam aveva trasferito tutti i containers di armi chimiche e biologiche in Siria perchè non fossero trovati dalle forze occidentali, così come aveva mandato i suoi caccia in Iran poco prima della guerra di liberazione del Kuwait dall’occupazione irachena nel gennaio del 1991.

Saddam fu sconfitto, il regime del male che aveva instaurato era caduto con lui e il popolo iracheno poteva finalmente respirare. Sono nati centinaia di giornali, stazioni radio e canali televisivi, senza censure, era permesso affrontare qualsiasi argomento, la critica era libera, persino nei confronti dell’occupazione da parte dell’Occidente. Per la prima volta dopo decenni, agli sciiti in Iraq è stato possibile creare organizzazioni e partiti su base etnica e anche dimostrare pubblicamente il lutto in occasione dell’anniversario della morte di Hussein bin Ali, nota come la “Strage di Kerbala” risalente al 680 dC. Gli sciiti, che rappresentano la maggioranza dei musulmani in Iraq sentirono, giustamente, che il futuro gli apparteneva.

 Tuttavia, due forze si opponevano: la prima è stata la popolazione sunnita, la minoranza che aveva dominato la maggioranza sciita sotto il ferreo regime di Saddam. I sunniti  si appellarono al più ricco sponsor sunnita del mondo, i sauditi, che offrirono solidarietà e finanziamenti per aiutare i loro fratelli, ormai diventati i nuovi oppressi in Iraq. La seconda forza è stato l’afflusso di gruppi jihadisti , fuggiti dall’inferno di fuoco che gli americani scagliavano su quel che era rimasto di al-Qaeda in Afghanistan. Erano giunti in Iraq per combattere da lì contro gli infedeli, cristiani e sciiti insieme. “Al-Qaeda della Terra dei Due Fiumi”, sotto il comando di Abu Musab al-Zarqawi, seminò morte ovunque, per le strade, nei mercati, nelle moschee e nelle chiese, nel tentativo di minare il governo della maggioranza sciita, dopo che la coalizione straniera vi aveva investito  sangue e denaro.

Per combattere Al Qaeda era nata una milizia sciita, non meno crudele di quella di al-Qaeda, chiamata “L’Esercito di Maometto”, guidato da Muqtada al-Sadr, rampollo di una nobile famiglia sciita e buon amico di Hassan Nasrallah. Denaro, armi e munizioni di questa milizia erano tutti provenienti dall’Iran, e i suoi membri si erano addestrati per uccidere e sabotare nei campi di addestramento della Guardia Rivoluzionaria Iraniana. Poco tempo dopo che la coalizione occidentale aveva preso il controllo dell’Iraq, i suoi soldati si trovarono sotto il fuoco incrociato tra sciiti e sunniti, tra l’Esercito di Maometto e al-Qaeda. Le due parti combatterono contemporaneamente l’una contro l’altra e contro la coalizione , che ha dovuto a sua volta difendersi da entrambe. L’Occidente ha combattutto con maggiore forza Al-Qaeda, riuscendo a debellarla quasi totalmente, mentre l’Esercito di Maometto sciita, nonostante le perdite subìte, continua ancora oggi ad essere una forza influente nella politica interna irachena. Abu Musab al-Zarqawi è stato eliminato, mentre Muqtada al-Sadr è ancora vivo e potente.

 Non bisogna dimenticare che la guerra tra le forze della coalizione e l’insurrezione irachena è stata influenzata da considerazioni politiche ed economiche: dato che l’Arabia Saudita fornisce petrolio ai paesi occidentali, gli americani non hanno mai esercitato vere e proprie pressioni sui sauditi affinchè non sostenessero maggiormente la rivolta sunnita che aveva ucciso così tanti soldati americani. D’altra parte, nonostante le molte prove che gli americani avevano sul coinvolgimento dell’Iran nella fazione sciita, non l’avevano mai ritenuto, per via dei rifornimenti d’armi all’Iraq, responsabile delle perdite americane. La Casa Bianca, sia ai tempi di Bush e poi con Obama, aveva paura di aprire un nuovo fronte con l’Iran mentre l’esercito degli Stati Uniti sprofondava nella palude afgana e nell’inferno iracheno.

I paesi della coalizione decisero così di uscire dall'Iraq, dopo la morte di troppi loro soldati. Uno dopo l’altro, presero la decisione di ritirarsi, lasciando in grave pericolo le forze che rimanevano, mentre gli iracheni continuavano ad uccidersi l’un l’altro, oltre a continuare gli attacchi contro le forze della coalizione che erano rimaste nel paese. Alla fine del 2011 gli Stati Uniti hanno ritirato le proprie truppe dall’Iraq, secondo la promessa elettorale di Obama, e hanno lasciato dietro di sé un fragile e fatiscente sistema politico, risultato di dispute infinite tra i vari gruppi: etnico (arabi, curdi, turkmeni), tribale (la società in Iraq comprende più di settanta tribù), religioso-tribale (ci sono otto diverse religioni in Iraq, sunniti, sciiti, sufi, salafiti, e alcune dottrine cristiane), che non sono mai riusciti a superare le loro differenze per diventare un popolo unito, con una coscienza nazionale comune.

I politici iracheni sono corrotti fino all’osso, e sono motivati ​​da considerazioni tribali, familiari ed economiche, che non hanno niente a che fare con il bene comune del Paese. Molti di loro sono accusati di essere coinvolti con il terrorismo, al punto che Tariq al-Hashimi, il deputato sunnita del primo ministro sciita Nuri al-Maliki, è dovuto fuggire dall’Iraq a causa di voci e “testimonianze”, che lo accusavano di avere organizzato anni prima feroci attacchi contro gli sciiti. Gli organi di sicurezza e della magistratura - esercito, polizia, intelligence, e tribunali - sono costantemente sospettati di servire interessi particolari, e le loro attività sono percepite come illegali dalla popolazione.

 Il vacillante sistema politico iracheno ha consentito all’Iran di sfruttarne la debolezza per corrompere la classe politica, eliminarne alcuni e  minacciarne i rimanenti, che hanno dovuto comportarsi in conseguenza, secondo gli ordini imposti da Teheran, persino quando le forze di coalizione erano ancora in Iraq. Il controllo iraniano sugli iracheni è stato rafforzato più volte dopo la partenza degli americani, che non sono più sul suolo iracheno per difenderne il fragile sistema. Oggi è l’Iran che decide effettivamente ciò che si deve fare in Iraq, ne detta il programma ai politici, soprattutto in questioni inerenti alla guerra in Siria.

 La forza dell’influenza iraniana e il controllo sull’Iraq si manifesta in diversi modi. Circa un anno fa, l’Iran aveva inviato numerosi cecchini in Siria per aiutare l’esercito di Assad a sconfiggere una rivolta. Alcuni dei cecchini iranian, fatti prigionieri dall’Esercito Siriano Libero, e filmati, hanno detto in perfetto persiano chi li aveva mandati in Siria e perché, e il video clip - prova documentaria del coinvolgimento iraniano nel soffocare gli aneliti di libertà dei siriani - ha suscitato aspre critiche contro Teheran. Di conseguenza, gli iraniani hanno richiamato i loro cecchini dalla Siria e hanno chiesto all’Iraq di  inviare al loro posto cecchini iracheni,  nel caso  fossero stati catturati, negli interrogatori avrebbero parlato arabo e non persiano.

 Ma la questione non è limitata ai cecchini, perché negli ultimi mesi sono stati numerosi gli sciiti che dall’Iraq si sono infiltrati a sostegno di Assad nel massacrare i sunniti siriani, mentre la maggioranza sciita al governo in Iraq ignora quelli che entrano illegalmente nel paese. D’altra parte, ci sono anche infiltrati sunniti dall’Iraq in Siria, per sostenere i fratelli che combattono con forza il regime dittatoriale di Assad. Il governo siriano sta raccogliendo oggi ciò che ha seminato tra il 2003 e il 2008, quando si offrì di fare da ponte per consentire a jihadisti Hezbollah di passare dal Libano all’Iraq, per impadronirsi del paese. Ora, gli jihadisti iracheni, uccidono i siriani al servizio degli iraniani. L’Iraq è oggi una parte strettamente unita alla coalizione sciita sotto la leadership dell’Iran, e sta combattendo una vera e propria guerra contro la coalizione sunnita, i cui membri sono  Turchia, Qatar, Arabia Saudita, Giordania e altri paesi sunniti del Golfo.

Un’altra questione che conferma il controllo iraniano sull’Iraq è quella economica: poiché l’economia siriana è nel caos, Assad non ha denaro per pagare gli stipendi a soldati e ufficiali. Così ha chiesto aiuto all’Iran, preoccupato che i suoi soldati senza stipendio avrebbero disertato. l’Iran ha ordinato al governo iracheno di trasferire ad Assad decine di milioni di dollari in contanti ogni mese, al fine di finanziare l’esercito, l’intelligence e le bande di assassini di “Shabbiha” il cui compito è quello di mantenere Assad vivo e al potere. Un’altra questione economica riguarda le sanzioni che sono state imposte all’Iran, per le quali la dittatura degli ayatollah è stata espulsa dal sistema di clearing internazionale denominato “SWIFT”. Di conseguenza, i soldi non possono essere trasferiti direttamente in Iran . I clienti che ancora comprano petrolio e gas dall’Iran, trasferiscono i pagamenti a imprese governative irachene, queste ultime trovano poi il modo di trasferire il denaro in Iran.

A Baghdad, nel marzo di quest’anno, si è tenuta una conferenza al vertice dei leader dei paesi arabi, ma per ordine del Primo Ministro, Nouri al-Maliki, tutti i soldati iracheni e gli agenti di sicurezza sono stati tolti dal controllo dell’aeroporto internazionale di Baghdad e sostituiti da iraniani. Chi ha organizzato tutti i preparativi per la conferenza al vertice è stato l’uomo più potente di Baghdad: l’ambasciatore iraniano che è anche uno dei membri anziani della Guardia Rivoluzionaria di Theran. E’ stato lui che ha stabilito l’ordine dei lavori, chi avrebbe preso la parola e chi no, e, di conseguenza, circa la metà dei governanti arabi non è venuta al vertice perché sapevano chi ne era alla guida. La ragione del coinvolgimento iraniano alla conferenza del summit arabo era la volontà degli ayatollah di mostrare al mondo che dopo il tragico periodo di terrorismo e di morte che regnava in Iraq durante l’occupazione americana, un periodo di calma e serenità era sceso sotto l’egemonia iraniana sulla Terra dei Due Fiumi.

 E’ importante notare che gli Stati Uniti hanno avuto con l’Iran, prima del loro ritiro,una serie di valutazioni  sul modo in cui il paese avrebbe dovuto essere gestito. Ma queste discussioni non hanno prodotto alcun risultato, per la semplice ragione che gli iraniani avevano capito che gli Stati Uniti erano sotto pressione a causa della promessa del presidente Obama di ritirarsi dall’Iraq durante il suo primo mandato, e dal momento in cui l’aveva detto, gli Stati Uniti hanno perso la capacità di premere sull’Iran. Nel corso degli ultimi due anni, molti politici iracheni sono andati in pellegrinaggio a Teheran, quando gli iraniani più eminenti raramente vanno a Baghdad. A dimostrazione del potere relativo tra Iraq e Iran, perché nelle relazioni internazionali vale la famosa regola che il meno importante va in visita più sovente dal più importante, mentre il più importante va di rado da quello che conta meno. ( quante volte i presidenti degli Stati Uniti hanno visitato Israele, rispetto alle volte in cui i primi ministri di Israele si sono recati a Washington per ottenere un po’di attenzione dalla Casa Bianca  ?) Durante le numerose visite dei politici iracheni a Teheran, sono stati firmati accordi di “cooperazione”, il che significa che l’Iraq è legato al carro iraniano. E' il generale iraniano Sulaimani Qassem, oggi è il comandante della forza “Quds”,  a fare molte dichiarazioni sull’Iraq, per cui gli iracheni sono convinti che è lui a governare l’Iraq per mezzo dei suoi spietati soldati che di fatto opprimono la popolazione nella più totale illegalità. Non tutti gli iracheni accettano di buon grado il dominio iraniano, e non tutti gli sciiti lo vogliono, ma coloro che si oppongono all’Iran rischiano la vita e quella dei loro famigliari: due anni fa Mithal al-Alusi, un politico sunnita iracheno e membro del parlamento, fondatore del Partito della Nazione Democratica Irachena, che rivendica la separazione tra religione e stato, aveva visitato Israele. La sua visita  e il  programma laico di azione politica, hanno avuto come conseguenza t vari tentativi di ucciderlo e, in uno di questi attentati, due dei suoi figli che erano in macchina con lui, sono stati assassinati.

L’unione dell’Iraq con l’Iran trasforma la Terra dei Due Fiumi in un trampolino di lancio per allargare l’egemonia iraniana su Kuwait, Bahrein, Qatar ed Emirati fino a raggiungere il gioiello della corona della penisola arabica: l’Arabia Saudita. Il sogno degli Ayatollah è riportare l’egemonia sciita alla Mecca e a Medina, restituendo così agli sciiti la corona del dominio dell’“Ahl al-Bayt” - i membri della famiglia - di Maometto. Tornerebbero così al loro stato di leadership islamica, che era stata rubata dal quarto califfo, Ali bin Abi Talib, a metà del VII secolo. Quando l’Iran avrà il completo controllo del Golfo, più della metà delle riserve del petrolio e del gas mondiale sarà nelle sue mani, e  sarà  in grado di influire sull’economia mondiale, e in particolare sull’Europa eretica, permissiva e materialista. L’Iraq è un anello essenziale della catena che l’Iran avvolge attorno al collo degli Stati del Golfo e del mondo in generale.

 È per ottenere questo che il mondo decise nel 2003 di liberare l’Iraq dalla dittatura di Saddam? Era questo l’obiettivo per il quale i paesi occidentali hanno sacrificato la vita di più di quattromila dei loro soldati? Era giustificato investire più di un miliardo di dollari quando poi l’Iraq è diventato parte della coalizione iraniana? Il presidente degli Stati Uniti ha preso in considerazione questo fatto quando ha ritirato le truppe dall’Iraq un anno fa? Il motivo del ritiro era mantenere una promessa fatta durante la campagna elettorale precedente, in modo che potesse essere usato come argomento in quella attuale ? allora le considerazioni politiche e di sicurezza erano state giudicate di secondaria importanza.

 Il presidente degli Stati Uniti può non aver preso in considerazione la possibilità che l’Iraq sarebbe diventato un satellite dell’Iran, ma questo dimostrerebbe solo la sua ignoranza nelle questioni più importanti e critiche relative alla sicurezza nazionale americana. Il problema è che sono stati in molti ad avvertirlo di questa possibilità, anche su molti media. Articoli pubblicati prima che gli Stati Uniti ritirassero le forze armate dall’Iraq, avevano chiaramente messo in guardia circa la possibilità che in seguito ad un ritiro, l’Iraq, lacerato e nel caos, instabile e indebolito, sarebbe diventato facile preda per gli iraniani. La rivista Newsweek l’aveva scritto esplicitamente già nel mese di ottobre del 2010, più di un anno prima del ritiro delle forze americane. Purtroppo ci sono stati quelli che hanno preferito ignorare questi avvertimenti, chiaramente perché la campagna elettorale era in arrivo.

 Cosa avrebbero potuto fare gli Stati Uniti per evitare questo scenario? Come poteva il sistema internazionale essere rassicurato che l’Iraq sarebbe stato ricostruito come uno stato in grado di resistere alle pressioni iraniane? Le risposte a queste domande sono state indirizzate dall’autore di questo articolo al Dipartimento di Stato degli Stati Uniti due anni fa, nel mese di ottobre del 2010, con una corrispondenza con uno dei consiglieri che dovrebbero capire qualcosa sulle questioni nel mondo islamico. In quei giorni il Presidente degli Stati Uniti affrontava una serie di discussioni sulla strategia americana in Afghanistan e in Iraq, e la corrispondenza con quel consulente aveva lo scopo di suggerire un’altra possibile soluzione ai problemi inerenti a questi due sfortunati  paesi. La soluzione che avevo proposto si basava sulla revoca dei confini artificiali delimitati dalle potenze coloniali e creare entità politiche omogenee, e quindi stabili, mediante la divisione di questi stati in base alle loro componenti etniche e tribali, come è stato per gli Emirati del Golfo.

Nella discussione che seguì, il consigliere del Dipartimento di Stato respinse l’idea di dividere l’Afghanistan e l’Iraq in entità omogenee fuori da ogni controllo,  affermando che per stabilizzare questi due stati occorreva che vi si sviluppasse una coscienza nazionale. A mio parere, lui non è il solo sognatore di utopie del Dipartimento di Stato, perché ci sono molte persone che non permettono ai fatti di screditare le loro teorie, e anche quando tutti i loro bei progetti crollano davanti ai loro occhi, credono ancora che ci sia un modo per rilanciarli e realizzarli con successo. Sembra che queste persone abbiano un certo grado di influenza sui responsabili delle decisioni alla Casa Bianca, e quindi tutto ciò che gli Stati Uniti elaborano al fine di stabilizzare l’Iraq e l’Afghanistan è buono in teoria, ma in pratica non funziona.

È giunto il momento in cui la politica di Washington deve essere diretta da persone realistiche, in grado di vedere la realtà del mondo in modo tale da promuovere gli interessi del Mondo Libero, persone che sappiano che non devono arrendersi all’Iran, il più grande nemico dell’Occidente.

Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
Link:
http://eightstatesolution.com/
http://mordechaikedar.com/


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