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Mordechai Kedar
L'Islam dall'interno
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La Giordania e l’Islam radicale 05/07/2012

La Giordania e l’Islam radicale
Analisi di Mordechai Kedar
(traduzione dall'ebraico di Sally Zahav, a cura di Giovanni Quer)


Mordechai Kedar

Dall’inizio delle rivolte conosciute come “la primavera araba”, iniziate a Tunisi nel dicembre 2010, uno slogan in particolare si propone come un mantra, urlato da manifestanti e oppositori e scritto su muri e volantini: “il popolo farà cadere il regime”, divenendo il simbolo retorico del mondo arabo nell’ultimo anno e mezzo. L’uso intensivo e frequente di questo slogan rappresenta la grandezza del movimento che ha portato alla crisi dei regimi in Tunisia, Egitto, Libia, Yemen e forse anche della Siria.
La Giordania, pur essendo riuscita finora a rimanere fuori dal vortice delle rivoluzioni che ha travolto gli altri Stati arabi grazie all’abilità di re Abdallah II, deve affrontare due problemi: il conflitto tra la casa reale hascemita e la maggioranza palestinese, su cui abbiamo già avuto modo di soffermarci in un precedente articolo (05/03/2012, “Giordania, la patria alternativa?” http://www.informazionecorretta.it/main.php?mediaId=&sez=320&id=43663 ), e l’avanzamento dell’Islam politico radicale, come dimostrano le vittorie elettorali dei “Fratelli Musulmani” in Egitto, Tunisia e Marocco.
Il problema non è nuovo al Regno Hascemita di Giordania, che ha saputo tenere a bada i gruppi islamici radicali attivi sul proprio territorio alle volte reprimendoli (arresti e torture) e altre tollerando le loro attività a scopo sociale, la cui influenza era tuttavia marginale poiché inserite nelle strutture amministrative gestite dal governo. Il fattore principale di cui tener conto è costituito dalle frequenti modifiche alla legge elettorale, che ha permesso finora di dare un’idea di pluralismo, legittimità e apertura in conseguenza al “processo elettorale democratico”, mantenendo al contempo intatta la struttura politica.
Le elezioni in Giordania sono sempre state fonte di tensioni tra il regime e le varie forze politiche per tre ragioni principali: a) l’aspettativa mai realizzata degli elettori giordani è di vedere un organo di eletti con reali competenze; b) le elezioni dovrebbero rispecchiare il volere del popolo, le sue tendenze politiche, culturali e sociali, ma in Giordania non è mai ancora successo; c) solitamente chi viene eletto rappresenta gli interessi dei tradizionalisti e delle tribù beduine, mentre i modernisti sono sempre lasciati in disparte.
Circa due settimane fa il parlamento giordano ha approvato una nuova legge elettorale che ha aumentato il numero di deputati da 120 a 140, mentre gli elettori potranno scegliere tra due schede elettorali: una per il rappresentante della regione e un’altra per la lista nazionale, cui sono stati però assegnati solo 17 seggi, in modo da preservare la supremazia dei rappresentanti delle tribù locali sui movimenti ideologici nazionali. Inoltre la stessa legge ha aumentato le quote rosa, da 12 a 15 seggi, scatenando critiche sia dai modernisti e dalle organizzazioni femministe, che ne vorrebbero di più, sia dagli islamisti, che vorrebbero invece ancora meno donne in parlamento.
Nonostante il re non abbia ancora approvato la legge, l’opposizione è già scesa in piazza in molte città giordane, chiedendo cambiamenti costituzionali che rispecchino la volontà del popolo, con un parlamento e un governo dai poteri reali. Com’è avvenuto in Egitto (gennaio 2011) e in Siria (marzo e aprile 2011), anche in Giordania le manifestazioni sono state organizzate di venerdì, dopo la preghiera, fomentate dai sermoni in moschea, che accendono il furore di popolo contro il regime corrotto e illegittimo, riferendosi anche alla precaria situazione economica.
Zaki Bani Irshid, il capo della frangia giordana dei Fratelli Musulmani, è intervenuto nei comizi delle manifestazioni, dicendo: “è ora e tempo che anche noi giordani esultiamo come hanno esultato gli egiziani”. Ali Abu al-Sukar, del partito “Azione Islamica” emanazione dei Fratelli Musulmani, ha dichiarato in un’intervista: “come ha vinto la volontà del popolo egiziano, così vincerà anche la volontà del popolo giordano, che vedrà realizzate le proprie aspettative di riforma. Oggi la voce del cittadino giordano si diffonde in ogni angolo del Paese: non accetterà soluzioni di comodo né rinvii, non accetterà imbrogli né raggiri; il cittadino giordano si aspetta un cambiamento reale del regime”. Il messaggio di questa dichiarazione è che come in Egitto le folle sono riuscite a eliminare Mubarak per mettere al vertice del potere un membro dei “Fratelli Musulmani”, così accadrà anche in Giordania, dove alle manifestazioni hanno partecipato, proprio come in Egitto all’inizio della rivoluzione, anche i gruppi di sinistra.
Gli slogan urlati in piazza sono significativi: i manifestanti chiamavano il parlamento (consiglio dei rappresentanti, in arabo “majlis al-nuwaab”) “consiglio dei vermi” (bet al-duwaab); gli striscioni recavano scritte come “è iniziato il conto alla rovescia”, “la volontà dei popoli vincerà”, “congratulazioni Egitto”, “è arrivata la riforma, il corrotto fa il fagotto”. Il re, viste le avvisaglie dei pericoli, ha congelato la legge, ha deciso di dare un contentino ai manifestanti, rimandando la legge elettorale al parlamento con il consiglio di aumentare i seggi destinati alle liste nazionali a scapito dei seggi destinati ai rappresentanti locali.
Le manifestazioni si sono svolte senza scontri con la polizia, che tuttavia osservava i partecipanti in schieramento antisommossa, lasciando intendere che ogni deviazione dall’usuale avrebbe provocato un violento intervento. La critica contro le forze dell’ordine è sempre più frequente: le Nazioni Unite e molte altre associazioni per i diritti umani denunciano la crudeltà della polizia giordana e la tortura sistematica dei membri del gruppo islamico radicale “salafiya islamiya”, il cui fine è riportare la società musulmana ai valori dell’Islam originario, del VII secolo, così come di altri dissidenti.
Tra i manifestanti è stato arrestato e torturato un ragazzo di 16 anni, Layth al-Kalaalwa, membro del movimento “salafiya islamiya” che porta i segni delle sigarette spentegli sul corpo dai torturatori. Anche in Egitto, prima dello scoppio della rivolta, c’erano stati casi di torture e arresti di dissidenti, ma l’attenzione del pubblico si era concentrata sulla morte per tortura di un ragazzo di Alessandria, esasperando gli animi dei dissidenti che stavano preparandosi a scendere in piazza. Anche in Siria, all’inizio degli avvenimenti nel marzo 2011, i diversi media fecero circolare foto di bambini e ragazzi torturati dal regime, gettando benzina sul fuoco del popolo già in rivolta.
Al-Jazeera, che ha trasmesso la manifestazione di venerdì scorso in Giordania dal vivo, ha commentato gli accadimenti con: “il popolo vuole correggere le falle del regime”, che è una variante di ciò che i manifestanti urlavano, “il popolo farà cadere il regime”. L’emittente del Qatar vuole anche questa volta sfruttare i disordini interni in Giordania per inseguire lo stesso successo delle trasmissioni dal vivo durante gli scontri in Tunisia, Egitto, Libia, Yemen e Siria. Il re giordano avrà bisogno di grande abilità politica per affrontare sia i manifestanti sia Al-Jazeera, l’emittente televisiva jihadista del Qatar, i cui dirigenti soffrono di una seria forma di megalomania.

Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
Link:
http://eightstatesolution.com/
http://mordechaikedar.com/


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