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Mordechai Kedar
L'Islam dall'interno
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La cultura della menzogna: bugie e figuracce mediorientali 23/09/2010

 La cultura della menzogna: bugie e figuracce mediorientali
di Mordechai Kedar
(traduzione e adattamento di Antonella Donzelli e Avi Kretzo)

I fatti che vengono descritti di seguito sono difficili da leggere, ma anche da scrivere. Si tratta di una delle questioni più delicate della cultura mediorientale, sulla quale è molto facile generalizzare. Quindi, qui parleremo di alcuni eventi che mostrano la gravità della situazione in tutta l’area, ricordando che anche noi in Israele non siamo immuni dalle menzogne. Soltanto pochi giorni fa, nel giorno di “Kippur” (dell’Espiazione, n.d.t.), abbiamo chiesto perdono a Dio per aver mentito o giurato il falso. Storie di tangenti e corruzione venute alla luce di recente - come il caso Galant - ci dimostrano che anche noi israeliani dobbiamo migliorare.


Il problema dell’affidabilità dei mass media arabi è noto, soprattutto quando si tratta di paesi totalitari con un regime accentratore, in cui i mezzi radiotelevisivi e la stampa sono obbligati a rappresentare la linea ufficiale del governo e a non  mettere in imbarazzo il capo dello Stato. In paesi come Siria, Egitto, Giordania e Libia, giornali e media elettronici hanno una missione permanente: costruire al sovrano unico la legittimità di governare e del suo modo di gestire il paese. I media celebrano le sue decisioni e azioni, nascondendo errori e fallimenti.


Basti come esempio la bugia progettata (e poi smascherata) dal presidente egiziano Gamal Abd El Nasser e del re di Giordania Hussein (il padre dell’attuale re Abdallah, n.d.t) durante la Guerra dei Sei Giorni, nel 1967, dopo che avevano scoperto che le loro forze aeree erano state eliminate dall’aviazione israeliana, quando ancora si trovavano sulle piste. Per la vergogna, i due leader avevano stabilito di pubblicare la notizia che i loro aerei non erano stati distrutti dall’aviazione israeliana, ma da quella della Sesta flotta americana. La conversazione durante la quale essi avevano concertato questa frottola era stata intercettata dall’intelligence israeliano ed era stata trasmessa da “Kol Israel” (Radio Israele, n.d.t.) che rivelò pubblicamente la menzogna. Inutile sottolineare la doppia brutta figura derivata ai due governanti: quella dell’eliminazione delle loro forze aeree e quella per la scoperta della loro bugia.


Sempre durante la Guerra dei Sei Giorni, la stazione radiofonica “Kol ha-raam mi-Kair” (emittente di propaganda egiziana in lingua ebraica, n.d.t.) trasmetteva notizie sensazionali (false) di questo tenore: “Su tutti i fronti le nostre forze riportano vittorie sul nemico sionista”. Queste ridicole dichiarazioni venivano diramate proprio mentre le truppe egiziane fuggivano a piedi nudi dal deserto del Sinai, mentre l’esercito giordano veniva respinto dalla Giudea e dalla Samaria (West Bank) e quello siriano subiva una disfatta sulle alture del Golan, da dove per anni aveva sparato sui kibbuz e sulle comunità israeliani nelle valli del Giordano e attorno al lago di Tiberiade.


La Siria ha firmato il trattato per impedire la proliferazione di armi nucleari: questa impegno le impone di riferire all’Agenzia Internazionale dell'Energia Atomica tutte le sue attività nucleari. Ebbene: secondo fonti straniere, nella notte del 6 settembre del 2007 Israele ha bombardato in Siria un impianto e tutto indica che si trattava di un reattore nucleare di progettazione della Corea del Nord e di cui l’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica non conosceva l’esistenza. Dopo il bombardamento il governo siriano ha rimosso tutti i detriti e ha ripulito il suolo circostante. Il presidente Bashar Assad ha dichiarato in un’intervista che quello in questione era una edificio militare in disuso, ma una delegazione di controllo dell’Agenzia Internazionale dell’Energia Atomica che ha visitato il sito ha scoperto residui di materiale radioattivo, che la Siria non avrebbe dovuto possedere, senza segnalarlo all’Agenzia. In questi giorni l’Agenzia ha intimato al governo siriano di trasferire il dossier sul nucleare al Consiglio di Sicurezza dell’Onu, come ha già fatto con l’Iran, dopo che era stato appurato che anch’esso svolgeva attività nucleari vietate.

La bugia più grande di tutte, però, riguarda l’esistenza di un popolo palestinese, alla quale il mondo ha voluto credere senza esitazione. Questo popolo non è menzionato in nessun libro o giornale pubblicato prima del 1920; la Terra d’Israele era parte di una vasta area denominata "Al-Sham" (termine che significa “La grande Siria”, n.d.t.), che comprende il territorio oggi occupato da Libano, Siria, Giordania e Israele. Gli abitanti della regione erano tutti "Shami" e in essa vagavano senza limiti. Parte di essi risiedevano in poche città e in piccoli villaggi rurali, ma non sono mai stati definiti “popolo palestinese", esattamente come i loro fratelli del Nord non venivano identificati come "popolo siriano" e "popolo libanese", né quelli ad Oriente del fiume Giordano come "popolo giordano." Soltanto la fondazione degli stati nel corso del XX secolo ha creato questi "popoli”, la cui identità nazionale ancor oggi è meno sentita rispetto alla tradizionale fedeltà al clan, alla tribù o all’appartenenza etnica, mentre l’immagine dello stato moderno ai loro occhi appare debole.


Quando gli arabi che abitavano in Terra d’Israele hanno compreso che gli ebrei, basandosi sulla loro storia,  erano ritornati nell’antica patria, hanno sviluppato un racconto storico secondo il quale essi sono i discendenti dei Filistei, figli dei Gebusei, e quindi sono "palestinesi" e hanno diritto di precedenza sulla terra e su Gerusalemme, prima ancora degli ebrei.

Il fatto che tutti i libri di storia araba, nonché mondiale, documentino che le tribù arabe hanno invaso la Terra d’Israele soltanto nel VII secolo d.C., nell’ambito delle conquiste islamiche, non insinua il dubbio circa l’esistenza storica del "popolo palestinese" quale il mondo è ormai abituato a considerare. Il mondo intero ignora abitualmente anche il fatto che molti palestinesi portano nomi che testimoniano il loro paese d’origine come: AlMasri (l’Egiziano, in quanto Masar significa Egitto, n.d.t.), AlAraqi (proveniente dall’Iraq, n.d.t.), AlKhorani (da Khoran, regione della Siria meridionale), ecc. Inoltre, il dialetto saudita più comunemente parlato dai beduini nel Negev, nella Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, indica la loro recente provenienza e gli abitanti del villaggio di Jiser Alzarka, tra Hadera e Haifa, sono sudanesi arrivati qui nel XX secolo.


Anche una mezza verità è considerata una sorta di bugia. I media arabi danno informazioni lacunose e tendenziose su quanto sta accadendo tra Israele e i suoi vicini e il fatto si ripete soprattutto quando è in corso un conflitto armato. Durante l’operazione "Piombo fuso", l’informazione araba - anche quella relativamente “libera” come Al Jazeera – ha descritto nei dettagli ciò che stava accadendo a Gaza, nascondendo però deliberatamente ciò che i kibbuz e le città israeliani vicini a Gaza avevano subito negli otto anni precedenti l’operazione. Ciò ha creato l’impressione che Israele, un bel mattino, si fosse svegliato e avesse deciso all’improvviso di andare in guerra contro i pacifici abitanti di Gaza. E questa è proprio la conseguenza che i paesi arabi hanno tratto.
Anche la scorsa settimana, la radio BBC in arabo - stazione araba a tutti gli effetti, finanziata e guidata  dal gruppo dei media governativi britannici – ha riferito di un attacco dell’aviazione militare israeliana contro tunnel di Hamas per il contrabbando e delle vittime del bombardamento. Ciò senza spiegare che si è trattato di una reazione israeliana ad alcuni missili Grad e a colpi di mortaio - alcuni contenevano proiettili al fosforo - lanciati da Gaza verso alcuni impianti delle città israeliane di Ashkelon e Ashdod. Queste omissioni dei media arabi non sono casuali e ad esse si aggiungono i pregiudizi anti israeliani che dominano l’informazione occidentale, anche se non sono equiparabili ai livelli di spudorata menzogna diffusi dai mezzi d’informazione arabi.
Va ricordata anche la malafede dell’agenzia Reuters, smascherata durante la seconda guerra del Libano, che in un suo servizio fotografico ha mostrato Beirut sotto i bombardamenti delle forze aeree israeliane: peccato che le colonne di fumo fossero state moltiplicate grazie ai miracoli di Photoshop. In questa stessa guerra, Hezbollah ha manipolato le informazioni in uscita dal Libano attraverso il divieto assoluto di riprendere i suoi combattenti e di distribuire eventuali foto scattate. Lo scopo di ciò era dare l’impressione che Israele stesse combattendo contro civili inermi e non contro guerriglieri armati.
Un altro episodio che ha fatto scalpore è stato quando, durante la stessa guerra, Israele ha attaccato la casa di un attivista di Hezbollah a Kfar Kana, distruggendola parzialmente. (Non si tratta della cittadina di Kfar Kana, famosa per il miracolo di Gesù, che si trova in territorio israeliano, ma di un villaggio arabo sciita nel sud del Libano, n.d.t.). Durante quell’attacco alcuni bambini sono rimasti uccisi sotto l’edificio e i fotografi hanno ripreso le immagini dei cadaveri sotto le macerie da diverse angolazioni, per dare l’idea che erano state uccise decine di bambini.

Hamas ha migliorato la sua tecnica della “moltiplicazione” proprio durante l’operazione “Piombo Fuso”, fotografando le sue vittime in più occasioni e in diversi luoghi: dove erano state colpite, durante il recupero delle salme, all’ingresso e anche all’uscita dall’ospedale. I combattenti uccisi sono stati poi immortalati dalle fotocamere, per l’ennesima volta, durante i funerali, così Hamas è riuscito a convincere il mondo che nell’operazione ci sono stati circa 1400 morti, mentre il numero corretto ammonta a circa un terzo.
Una caso analogo si è verificato nel 2002, durante l’operazione “Scudo Difensivo”, quando nel campo profughi di Jenin sono state uccise circa 50 persone, per la maggior parte combattenti, mentre i portavoce palestinesi hanno parlato di circa 500 morti, cioè, dieci volte in più. Ovviamente il mondo ha accettato la versione palestinese, senza esitare e senza controllare.


Alcuni giorni fa il più importante quotidiano egiziano è stato sorpreso mentre smerciava una bugia grossolana. Si tratta del giornale governativo Al Ahram, che martedì 13 settembre ha riferito dell’avvio dei colloqui a Sharm El-Sheikh, previsti per il giorno successivo. Il giornale ha pubblicato una fotografia scattata durante l’incontro tenutosi a Washington il primo settembre, in cui erano iniziati i negoziati diretti tra Netanyahu e Abu Mazen. All’evento erano stati invitati da Obama anche il presidente egiziano Mubarak e il re di Giordania, Abdallah II. Nella foto scattata in quell’occasione appaiono i cinque leader che si avviano verso la conferenza stampa: Obama in testa, ai suoi lati, leggermente indietro, Netanyahu e Abu Mazen, e più indietro, ai lati del gruppo, il Mubarak e Abdallah. Nella fotografia pubblicata da Al Ahram il 13 settembre, appaiono gli stessi personaggi, ma con un ordine diverso: questa volta Mubarak è in testa, Abu Mazen è dietro di lui e Obama, il padrone di casa, è al suo fianco e un lievemente arretrato rispetto a lui. È evidente che il giornale egiziano ha manipolato con Photoshop la fotografia originale, per mostrare Mubarak come leader nei negoziati (si vedano le due fotografie, n.d.t.).

Mordechai Kedar è lettore di arabo e islam all' Università di Bar Ilan a Tel Aviv. Nella stessa università è direttore del Centro Sudi (in formazione) su Medio Oriente e Islam. E' studioso di ideologia, politica e movimenti islamici dei paesi arabi, Siria in particolare, e analista dei media arabi.
Link:
http://eightstatesolution.com/
http://mordechaikedar.com/

 


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