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Diplomazia/Europa e medioriente
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La cecità dei leader arabi israeliani 16/03/2021
La cecità dei leader arabi israeliani
Analisi di Michelle Mazel


Arab lawmaker rejects hint that Arab arson behind fires | The Times of  Israel
Aiman Oudeh

Ora che il Paese si sta preparando a votare per la quarta volta in due anni, l'insicurezza è la preoccupazione numero uno degli arabi israeliani. Certo, non ci sono mai stati così tanti studenti arabi nelle università; gli arabi israeliani sono sempre più rappresentati nella maggior parte dei settori dell'economia; hanno accolto favorevolmente gli Accordi di Abramo che aprono loro nuovi orizzonti. Tuttavia, nelle città e nei villaggi, si parla solo della violenza quotidiana, delle armi di ogni tipo che si possono trovare in quasi tutte le case e del timore di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Purtroppo, l'elenco di civili innocenti colpiti da un proiettile non destinato a loro è molto lungo. Come il caso di quei due ragazzi tranquillamente seduti su una panchina presi di mira da due aggressori. Il maggiore, un adolescente di quindici anni, è morto prima di raggiungere l'ospedale; il suo compagno dodicenne è ancora tra la vita e la morte. Come sempre, il responsabile è indicato con una sola voce: è la polizia. La polizia israeliana, che non farebbe il proprio lavoro e che non cercherebbe di arginare la spirale di violenza nella società araba. Le grandi manifestazioni che, ogni settimana, vengono organizzate per protestare contro la sua incuria, di solito si concludono con scontri con le forze di polizia incaricate di controllare e di prevenire gli eccessi. Il che non fa che rafforzare il risentimento e la sfiducia, soprattutto perché i leader dei principali partiti arabi vengono a sfilare in testa ai cortei e ad infiammare i cuori delle persone. Non ci si può aspettare che l'uno o l'altro di questi rappresentanti eletti dal popolo, prenda la parola per invitare la comunità da cui loro provengono a riflettere sulle cause del fenomeno. Soprattutto in questo periodo elettorale, non correrebbero il rischio di evocare la cultura della vendetta, le faide di cui nessuno ricorda l'origine, ma che fanno sì che ancora oggi i membri di due clan o di due famiglie continuino ad uccidersi e ogni nuovo attacco ne pretende un altro.  Di sicuro non parlerebbero mai dei cosiddetti delitti d'onore: l'omicidio della ragazza o della donna il cui comportamento avrebbe portato vergogna alla famiglia. Più di ogni altra cosa, eviterebbero di ricordare che la polizia verrà ad indagare invano: tutti dichiareranno di non saperne nulla. Un po’ per rispetto delle tradizioni, un po' per il timore di essere accusati di "collaborare" con una polizia odiata e molto per paura di rappresaglie. La stessa paura che fa continuare a operare nella totale impunità, le bande di trafficanti che terrorizzano le popolazioni. Se le forze dell'ordine possono vantare un discreto successo, è grazie ai mezzi tecnologici a loro disposizione e in particolare ad una fitta rete di telecamere di sorveglianza. C'è ancora un barlume di speranza in questo quadro cupo. I sondaggi sono unanimi nel prevedere un drastico calo del sostegno ai partiti arabi tradizionali i cui membri, una volta eletti, perdono interesse verso le proprie comunità e continuano a concentrarsi sulla "questione palestinese", arrivando a votare contro gli Accordi di Abramo. Sempre più elettori cercano un partito che promuova i loro interessi. Resta da attendere il verdetto delle urne.

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Michelle Mazel scrittrice israeliana nata in Francia. Ha vissuto otto anni al Cairo quando il marito era Ambasciatore d’Israele in Egitto. Profonda conoscitrice del Medio Oriente, ha scritto “La Prostituée de Jericho”, “Le Kabyle de Jérusalem” non ancora tradotti in italiano. E' in uscita il nuovo volume della trilogia/spionaggio: “Le Cheikh de Hébron".


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