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Zvi Mazel/Michelle Mazel
Diplomazia/Europa e medioriente
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In pericolo il fronte sunnita contro l’Iran? 20/04/2019

In pericolo il fronte sunnita contro l’Iran? 
Analisi di Zvi Mazel

(Traduzione di Angelo Pezzana)

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La coalizione sunnita voluta da Trump

Circola la voce nel mondo arabo che l'Egitto si stia ritirando dalla progettata alleanza di difesa del Medio Oriente con il sostegno degli Stati Uniti, conosciuta come la "NATO araba", la risposta sunnita alla minaccia iraniana. 
Non ci sono state risposte ufficiali egiziane, ma secondo "fonti anonime", all'America e all'Arabia Saudita questa decisione è stata comunicata prima di una riunione del 9 aprile convocata a Riyadh da entrambi i paesi per discutere su come portare avanti il ​​progetto con tutti i paesi che dovrebbero prendere parte a quell'alleanza, Qatar incluso. 
L'Egitto però non vi ha partecipato. Il presidente Abdel Fattah al-Sisi, che si è recato a Washington due giorni dopo su invito del presidente Donald Trump, ha discusso della cooperazione strategica tra i due paesi con il suo ospite, secondo il comunicato emesso dalla Casa Bianca. Tuttavia non è stato menzionato alcun problema specifico. 
Anche se il Cairo si sia effettivamente ritirato dal progetto non è chiaro. 
Il presidente egiziano ha problemi più urgenti in questo momento. L'alleanza doveva includere i sei stati del Golfo - Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Oman, Kuwait e Qatar - oltre a Egitto e Giordania, una forza araba unita per opporsi all'Iran.
Il piano era stato presentato per la prima volta al presidente Barack Obama, che scelse però di continuare a negoziare un accordo nucleare con l'Iran senza prendere in considerazione gli interessi vitali di Arabia Saudita e Israele. 
L'accordo non aveva affrontato la minaccia iraniana in tutta la regione e gli sforzi compiuti dal regime per sviluppare missili che mettono a rischio non solo i paesi del Medio Oriente, ma anche l'Europa. Non aveva nemmeno preteso che Teheran mettesse fine al suo programma nucleare, solo la sospensione per 10 anni. 
La coalizione è stata nuovamente presentata a Trump, probabilmente poco prima o immediatamente dopo il summit arabo-islamico organizzato su sua iniziativa il 21 maggio 2017. Nel discorso principale, Trump aveva invitato tutti gli stati islamici a combattere l'estremismo islamico, le organizzazioni terroristiche islamiche e la minaccia iraniana. Promise il sostegno americano, firmò contratti per oltre 350 miliardi di dollari, inclusi 110 miliardi di dollari in armamenti per rafforzare la sicurezza saudita. 
Il progetto prevedeva a cnhe un esercito arabo unito per incoraggiare e consentire ai paesi arabi di difendersi, eliminando la necessità di inviare truppe americane in Medio Oriente. 
Negli ultimi due anni gli Stati Uniti hanno successivamente elaborato il piano, con l'intenzione di trasformarlo non solo in un'alleanza di sicurezza contro l'Iran sotto la guida americana, ma in un patto strategico che comprendesse la cooperazione politica ed economica tra i suoi membri. 
Secondo un memorandum segreto della Casa Bianca rivelato da Reuters un anno fa, un'alleanza così imponente avrebbe anche contribuito a frenare la crescente influenza della Russia e della Cina nella regione. 
Sfortunatamente, le divergenze di opinione tra i partecipanti hanno presto vanificato l’ obiettivo comune. Il 6 giugno 2017, appena due settimane dopo l'incontro di Riyad, l'Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, il Bahrain e l'Egitto hanno rotto i rapporti diplomatici con il Qatar e imposto un boicottaggio totale di quel paese, accusandolo di collaborare con l'Iran e di dare sostegno politico e finanziario ai Fratelli Musulmani e alle organizzazioni terroristiche islamiche, fatti conosciuti da sempre e che avevano peggiorato i rapporti tra il Qatar e gli stati del Golfo; e soprattutto con l'Egitto, che aveva  classificato la Fratellanza un'organizzazione terroristica. 
Durante un summit del 2014, il Qatar aveva promesso di rivedere le proprie posizioni, ma non è avvenuto. Il piccolo regno è anche impegnato nella difesa e nella cooperazione economica con l'Iran poiché parte delle sue vaste risorse petrolifere sono sotto le acque territoriali di Teheran. 
Poi c'è l'Oman, dove Sultan Qaboos bin Said al Said è in buoni rapporti con l'Iran e facilita i contatti tra quel paese e gli stati del Golfo in questi tempi di crisi. 
È molto improbabile che acconsentirebbe a prendere parte a un'alleanza strategica contro il regime degli ayatollah. 
La scarsità di notizie riguardanti il ​​progetto negli ultimi due anni riflette gli ostacoli incontrati da Washington nei suoi sforzi per far avanzare il piano. Il vertice che doveva tenersi  a gennaio con tutti i potenziali membri per portare a termine quanto programmato è stato rinviato a causa di divergenze di opinioni. 
C'è anche una nuova tensione tra America ed Egitto, che ha annunciato l'intenzione di acquistare aerei da caccia russi Su-35. Alcuni giorni prima della visita di Sisi a Washington, il Segretario di Stato Pompeo ha dichiarato durante un'audizione alla sottocommissione per gli affari esteri del Senato: "Abbiamo chiarito all'Egitto che se acquista questi aerei sarà oggetto a sanzioni secondo la legge del nostro paese ". Secondo diversi media che citano fonti anonime dopo la riunione del 9 aprile, l'Egitto ha deciso di ritirarsi dal progetto perché ha seri dubbi sulla solidità di un'iniziativa che deve ancora produrre una proposta dettagliata e che potrebbe intensificare le tensioni con l'Iran. 
È circolata anche l’ipotesi che il Cairo è preoccupato che Trump potrebbe non essere rieletto e che il suo successore avrebbe cancellato il progetto. Entrambi gli argomenti appaiono discutibli. Il fatto è che il presidente egiziano si sta concentrando su questioni più urgenti per il suo paese. Sta facendo uno sforzo totale per sviluppare l'economia e combattere lo Stato islamico nel Sinai, mantenendo stabile l'Egitto e rafforzando la sua posizione attraverso i cambiamenti costituzionali che sta promuovendo. 
L'Iran non costituisce una minaccia immediata, essendo geograficamente distante e attento a non attaccare l'Egitto come fa con gli Stati del Golfo. Il Cairo oggi non ha motivo di inimicarsi ulteriormente Teheran, anche se quest'ultimo potrebbe rappresentare una minaccia in futuro. 
Inoltre, finché il Qatar non cancellerà i suoi legami con i Fratelli Musulmani e il conflitto con l'Arabia Saudita non sarà risolto, l'Egitto troverebbe difficile coordinare le sue azioni con l'emiro. Va ricordato che il Cairo non ha partecipato attivamente alla coalizione a guida americana contro lo Stato islamico in Iraq e Siria, o nella coalizione a guida saudita che combatte la ribellione Houthi nello Yemen. 
È preoccupato soprattutto da ciò che sta accadendo nei paesi vicini come Libia, Sudan e Etiopia. Sisi è preoccupato per l'infinita guerra civile in Libia, che consente alle armi e ai missili di contrabbando di attraversare il lungo confine per raggiungere l'insurrezione islamica del Sinai. Sta cooperando con il comandante Khalifa Haftar, capo dell'esercito nazionale libico e governatore de facto della Libia orientale, per cercare di controllare il loro confine comune nonostante sia preoccupato della rinnovata offensiva contro Tripoli, come  Sisi glielo ha  probabilmente comunicato durante una loro recente riunione .
È anche preoccupato per la situazione in Sudan, dove le manifestazioni di massa che hanno portato alla cacciata di Omar al-Bashir potrebbero provocare onde d'urto nella regione. Ad esempio la diga monumentale costruita su un affluente del Nilo Azzurro che potrebbe ridurre drasticamente il flusso delle acque che raggiungono l'Egitto. 
Nonostante i negoziati a lungo protratti non è stato raggiunto alcun compromesso. 
Gli effetti a lungo termine del rapporto tra Sisi e Obama, che hanno sospeso parte dell'assistenza militare Usa in Egitto e annullato le esercitazioni militari congiunte, si sentono ancora. 
In segno di protesta contro la cacciata del presidente Mohammed Morsi e del suo regime legato alla Fratellanza, Obama aveva respinto gli appelli per continuare i legami strategici, portando il presidente egiziano a rivolgersi alla Russia, più che felice di tornare ad avere un ruolo importante in Egitto. Ha  infatti accettato di fornire armi, elicotteri e aerei da combattimento, provveduto a esercitazioni militari congiunte, finanziato la costruzione di quattro centrali nucleari ad ovest di Alessandria, in più sta prendendo parte a un importante progetto industriale vicino al Canale di Suez. 
L'Egitto ha anche acconsentito alla Russia di inviare attraverso il proprio territorio forze speciali al confine libico per raccogliere informazioni e dare consigli ad Haftar. 
In altre parole, Sisi deve muoversi attentamente fra Trump e Putin per realizzare la propria agenda, una manovra che ha un prezzo. L'Egitto ha un forte interesse a cooperare anche con l'Arabia Saudita e gli stati del Golfo, suoi alleati naturali, che gli forniscono la necessaria assistenza economica e l'aiuto nella lotta contro i Fratelli Musulmani. 
Dagli Stati Uniti, con una grande popolazione di origine egiziana, Sisi desidera continuare a ricevere l'assistenza militare e civile e gli investimenti nel campo della tecnologia, che la Russia non è in grado di fornire. Eppure è improbabile che la coalizione sunnita diventi un'alleanza strategica, politica e di difesa sulla base di un accordo dettagliato e firmato, sebbene tutti i suoi membri si sentano minacciati dall'Iran. 
Gli Stati Uniti dovranno affrontare questa complessa situazione e convincere tutte le parti a concordare una forma di cooperazione meno formale.


Zvi Mazel è stato ambasciatore in Svezia dal 2002 al 2004. Dal 1989 al1992 è stato ambasciatore d’Israele in Romania e dal 1996 al 2001 in Egitto. È stato anche al Ministero degli Esteri israeliano vice Direttore Generale per gli Affari Africani e Direttore della Divisione Est Europea e Capo del Dipartimento Nord Africano e Egiziano. La analisi di Zvi Mazel sono pubblicate in esclusiva in italiano su Informazione Corretta


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