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Zvi Mazel/Michelle Mazel
Diplomazia/Europa e medioriente
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La pace con l'Egitto sta entrando nella sua quinta decade 24/03/2019

La pace con l'Egitto sta entrando nella sua quinta decade 
Analisi di Zvi Mazel

(Traduzione di Angelo Pezzana)

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Al suo ritorno dalla storica visita del novembre 1977 a Gerusalemme, il presidente Sadat fu accolto da un coro di approvazione senza precedenti. Secondo le stime, due milioni di egiziani hanno seguito il suo corteo dall'autostazione al palazzo presidenziale scandendo slogan pro Sadat e la pace. Quindici anni dopo, quando ero stato inviato in Egitto, Saad Eddin Ibrahim, noto sociologo e difensore dei diritti umani, che era stato contro il processo di pace e si era opposto con dichiarazioni alla visita, mi aveva detto di aver creduto, allora, che non c'era nulla di spontaneo nelle manifestazioni, e che erano state organizzate dal Mukhabarat, il servizio di intelligence.  Aveva commissionato un sondaggio sull'opinione pubblica - uno dei primi mai realizzati nel paese - ed era rimasto talmente colpito dai risultati che rivelavano che il 60% degli egiziani era a favore della pace. Pensò che dovevano esserci stati degli errori, per cui  ne ordinò  un secondo. Di fronte agli stessi risultati, arrivò alla conclusione che la gente ne aveva abbastanza di guerre sanguinose e costose che non portavano da nessuna parte,  volevano invece migliori condizioni di vita.  Erano convinti che la pace avrebbe portato rapidamente il miglioramento sperato. Fu questo a fargli cambiare idea e a diventare un partigiano della pace. 
L'iniziativa di Sadat fu vista diversamente in Israele. Sebbene il presidente egiziano abbia ricevuto un caloroso benvenuto, la visita, organizzata in fretta a dieci giorni dal suo sorprendente annuncio del 9 novembre che intendeva venire a Gerusalemme, era stata accolta con grande sospetto. 
C'erano state troppe guerre e troppo odio. Tuttavia,  fu anche l'inizio di una speranza. La pace poteva essere possibile? Alcuni sostennero che l'Egitto sarebbe diventato un ponte per la pace con il mondo arabo. Bisognava capire che cosa aveva portato Anwar el Sadat a compiere quel fatidico passo. 
Diventato presidente dopo la morte di Nasser nel 1970, si era trovato al timone di un paese esausto dopo quattro guerre inutili che avevano avuto un impatto negativo sulla crescita economica del paese. La rivoluzione socialista di Nasser, la nazionalizzazione dell'industria e l'avvio di una riforma agraria egualitaria portarono la produzione industriale e agricola a un punto morto e ridussero al minimo le esportazioni, soprattutto di cotone e tessuti. 
La metà del paese viveva al di sotto della soglia di povertà. Qualcosa di drastico doveva essere fatto e Sadat fu abbastanza visionario da decidere di realizzarlo. 
Si sbarazzò della vecchia guardia nasseriana pro-sovietica, liberò decine di migliaia di Fratelli Musulmani imprigionati dopo un tentativo fallito di assassinare Nasser, nella speranza che lo avrebbero aiutato nella sua battaglia contro i seguaci del Rais ed espulse tutte le basi militari sovietiche dal paese. 
Capì che solo l'America poteva aiutare con sovvenzioni, investimenti e tecnologia - e credeva che Israele fosse la chiave per ottenere quell'aiuto. 
Già nel 1971 inviò attraverso l'ONU una serie di proposte agli Usa, accordi provvisori come preliminari per la pace. Tuttavia, le posizioni su entrambi i lati erano troppo distanti. Sadat voleva che Israele si ritirasse da tutti i territori conquistati nel 1967, non solo in Egitto, ma anche sulla sponda occidentale. 
Alla fine decise di sbloccare lo stallo lanciando un attacco nell'ottobre del 1973.
I leader israeliani convinti che l'Egitto non avrebbe mai preso decisione strategica, furono presi completamente di sorpresa. Il resto, come si suol dire, è storia. Tuttavia, bisogna tenere presente che in diverse occasioni gli egiziani si preoccupano di ricordarci che il loro paese ha firmato la pace con Israele perché aveva bisogno di quella pace ma che non dovremmo aspettarci nè amicizia né amore. 
I dubbi israeliani, l'incomprensione riguardante le motivazioni di Sadat - e le pressioni esercitate dal presidente Carter - spiegano perché i negoziati avanzavano con lentezza fino a quando non è stato sottoscritto un progetto e la pace veniva firmata a Washington il 29 marzo 1979. 
Nel febbraio 1980 il ministero degli Esteri israeliano inviò al Cairo una prima rappresentanza, guidata dal suo vice direttore generale Yossi Hadas, per aprire un'ambasciata. Ero stato nominato consigliere politico in quella ambasciata ed ero quindi coinvolto nei negoziati di alcuni degli accordi di normalizzazione in materia di commercio, agricoltura, rotte terrestri, aviazione, turismo, cooperazione tra forze di polizia e così via.
L'intenzione era quella di dare agli articoli del trattato di pace che riguardano la normalizzazione il quadro giuridico necessario. Dopo lo shock che colpisce chi arriva per la prima volta nella metropoli tentacolare e i suoi 15 milioni di abitanti, le sue mille moschee, il frastuono infinito di milioni di auto e la terribile povertà di alcune parti della città, i diplomatici israeliani arrivati ​​in Egitto con le loro famiglie hanno dovuto affrontare una realtà complessa. 
Da un lato, i tassisti, scoprendo che eravamo israeliani, ci a salutavano con un sonoro "Lunga vita alla pace! Viva Begin e Sadat! ", spesso invitandoci a bere per la pace fermandoci al primo chiosco vicino per bere insieme una Coca Cola, dimostrando così che Saad Eddin Ibrahim aveva poi visto giusto. D'altra parte, non abbiamo potuto ottenere una sede adatta per l'ambasciata e nemmeno una residenza adatta a un ambasciatore, per cui i rapporti erano difficili. 
I lunghi anni di guerra e le loro pesanti perdite umane, l'incessante incitamento contro Israele, l'educazione islamica e il suo pregiudizio contro gli ebrei, così come la paura degli onnipresenti servizi di sicurezza stavano esigendo il loro pedaggio. 
C'erano sui media pochi, pochissimi articoli positivi sulla pace, l'umore generale nei confronti di Israele e degli ebrei rimaneva ostile. I rappresentanti di 27 corporazioni - medici, ingegneri, avvocati, giornalisti e altri – avevano deciso di vietare ai loro membri ogni contatto con gli israeliani. Le autorità governative impedivano ai cittadini egiziani di visitare Israele, per raggiungerlo era necessario un permesso speciale (è necessario ancora oggi). Alcuni uomini d'affari ricevevano un visto dopo essere stati controllati dai servizi speciali. Ma c'erano alcuni segnali di speranza. El Al aveva iniziato a volare al Cairo, l'occasione era stata festeggiata con un ricevimento di gala all’Hotel Nile Hilton. 
Il completo ritiro di Israele dalla penisola del Sinai avvenne il 25 aprile 1982, in conformità con il trattato di pace, accolto dalla gioia popolare e venne percepito come l'inizio di un disgelo. Ma così non fu. 
Le relazioni tra i due paesi furono presto limitate ai settori dell'energia, del trasporto aereo e del turismo in entrata, perchè in effetti c'era la pace, ma non vi era nessuna normalizzazione a livello personale. Eppure c'era un ambito, l’agricoltura, in cui la collaborazione tra i due paesi portava frutti. Fu avviato da Ariel Sharon, allora ministro dell'agricoltura,  invitato nel 1980 dal presidente Sadat, che gli disse "prenda un aereo, venga a vedere la realtà, ci dia consigli, mettiamoci al lavoro". 
L'accordo di cooperazione successivo al negoziato includeva la creazione di fattorie modello nella zona Cairo-Alessandria, dove esperti israeliani hanno insegnato  tutte le tecniche moderne ai contadini egiziani. Allo stesso tempo, migliaia di giovani egiziani venivano inviati al kibbutz di Bror Hayil per essere addestrati nelle nuove tecnologie agricole; al loro ritorno hanno ricevuto dalle autorità egiziane un appezzamento di terreno per mettere in pratica quanto avevano appreso. 
Tutto questo è stato fatto sotto la supervisione del ministro dell'agricoltura, Youssef Wali, e con la benedizione del presidente. I risultati sono stati eccezionali e l'Egitto ha iniziato ad essere autosufficiente nel settore frutta e verdura, che ora esporta in Europa. Tra i prodotti di punta, le fragole. Questa fruttuosa cooperazione fu aspramente avversata dai circoli nazionalisti e islamici che accusarono Israele di "avvelenare" il suolo egiziano. Il governo non ha fatto nulla per respingere queste accuse. 
La cooperazione agricola si è fermata con la caduta di Mubarak e da allora non è più stata rinnovata. 
Quando sono tornato in Egitto nel 1996 come ambasciatore, ho scoperto che era cambiato pochissimo. Il previsto miglioramento delle condizioni di vita non si era materializzato e l’atmosfera era difficile. Gli attacchi sui media erano diventati più virulenti e le caricature apertamente antisemite venivano pubblicate quasi ogni giorno. La traduzione araba dei Protocolli degli Anziani di Sion era diventata un bestseller (una nuova edizione era ancora in mostra alla Fiera del libro del Cairo del 2019). Le più false teorie sul complotto venivano discusse nel parlamento egiziano. 
Una storia riassume la portata di quei sentimenti anti-israeliani.
Il capo del mio servizio di sicurezza egiziano era morto in un incidente stradale. Volevo esprimere le mie condoglianze alla vedova; fui invece informato che lei rifiutò categoricamente, dicendo che nessuno sapeva che suo marito stava proteggendo l'ambasciatore israeliano e che se quel "fatto vergognoso" fosse noto le sue figlie non avrebbero mai trovato un marito. 
Inutile dire che la cooperazione è rimase limitata. Eppure in Israele c'era stata la speranza che gli accordi di Oslo del 1993 potevano portare a una qualche normalizzazione. Nel 1995 alcune compagnie israeliane hanno cercato di avviare iniziative sul piano industriale. La maggior parte furono sconfitte dalla burocrazia e dalla cattiva volontà. Il gruppo Merhav di Yossi Maiman che aveva fondato il complesso della raffineria di petrolio Midor ad Alessandria insieme all'uomo d'affari egiziano Hussein Salem, amico intimo del presidente Mubarak, vendette la sua quota nel Qatar. Un oleodotto costruito per fornire gas egiziano in Israele per un periodo di 15 anni attraverso la penisola del Sinai  veniva regolarmente fatto saltare in aria dai terroristi islamici,  e l'esercito che aveva preso il potere dopo la cacciata del presidente Mubarak non è stato in grado di proteggerlo. 
Dopo la dodicesima esplosione, il lucroso accordo per l'Egitto fu cancellato. L'unico progetto ancora in funzione oggi è Delta Textile, nato da un'idea di Dov Lautman. La sua azienda produce abbigliamento intimo di alta qualità per i supermercati inglesi Marks and Spencer. Nei suoi impianti satellitari, che rendono milioni di dollari, impiega cinquemila lavoratori egiziani. 
Nell'ambito di un accordo trilaterale del 2004 tra Stati Uniti, Israele ed Egitto, il paese sarà in grado di esportare merci da zone industriali qualificate (DIZ) esenti da dazio fin quando il 10,5% del contenuto di tali beni proviene da Israele. 
Le esportazioni di tessili verso gli Stati Uniti sono passate da 200 milioni di dollari nel 2005 a 1,2 miliardi nel 2018.
Lo scorso febbraio i partner dei giacimenti di gas Leviathan e Tamar hanno firmato un accordo con la compagnia egiziana Dolphinus Holdings per fornire 64 miliardi di metri cubi durante 10 anni per 15 miliardi di dollari.
Il 29 marzo celebreremo il quarantesimo anniversario del trattato di pace. Quarant'anni di sconvolgimenti: Israele ha condotto guerre in Libano e Gaza e si è trovato di fronte a due intifada. L'Egitto ha visto un presidente assassinato e altri due estromessi dal potere. L'ambasciata di Israele a Giza fu presa d'assalto da una folla in preda al delirio. La pace ha resistito a tutte le avversità perché entrambi i paesi sanno che ne hanno bisogno.
È vero, la normalizzazione è ancora un sogno lontano, e l'incitamento contro gli ebrei e Israele non sta diminuendo. Venerdì scorso, due settimane prima dell'anniversario, l'Assemblea Generale del Sindacato della Stampa Egiziana ha "dichiarato la sua adesione alla precedente decisione di bandire ogni forma di normalizzazione professionale e personale con l'entità sionista e di vietare qualsiasi riunione ai suoi membri" aggiungendo che coloro che violano tale decisione verranno puniti. 
Tuttavia, non tutto è ciò che sembra. Il presidente Sisi ha lanciato una lodevole campagna per attenuare la retorica islamica anti-ebraica. Vi è una cooperazione di sicurezza senza precedenti per quanto riguarda la comune minaccia del terrorismo islamico nel Sinai. Sebbene l'Egitto non si sia trasformato in un ponte per la pace, ha reso possibile la pace tra Israele e Giordania e i contatti tra lo Stato ebraico e un certo numero di regni arabi, sebbene accuratamente minimizzati, si stanno moltiplicando.
Complessivamente, mentre entriamo nella quinta decade di pace, c'è spazio per un cauto ottimismo.


Zvi Mazel è stato ambasciatore in Svezia dal 2002 al 2004. Dal 1989 al1992 è stato ambasciatore d’Israele in Romania e dal 1996 al 2001 in Egitto. È stato anche al Ministero degli Esteri israeliano vice Direttore Generale per gli Affari Africani e Direttore della Divisione Est Europea e Capo del Dipartimento Nord Africano e Egiziano. La analisi di Zvi Mazel sono pubblicate in esclusiva in italiano su Informazione Corretta


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