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Zvi Mazel/Michelle Mazel
Diplomazia/Europa e medioriente
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Quindi era un’utopia? 09/10/2018

Quindi era un’utopia?
Commento di Michèle Mazel

(Traduzione di Yehudit Weisz)

www.jforum.fr/barkan-cetait-donc-une-utopie-par-michele-mazel.html

A destra: due operai arabi palestinesi al lavoro in una industria tessile a Barkan

Barkan. Questa zona industriale in Cisgiordania dà lavoro attualmente a più di ottomila persone. La maggior parte di loro non vive sul posto. Ogni mattina, poco più di quattromila palestinesi arrivano all'ingresso di questa piccola località di meno di duemila abitanti. Qui trovano un lavoro ben retribuito ed eccellenti condizioni sociali. Gli altri sono israeliani. Arrivano da ogni parte d'Israele per gestire un centinaio di aziende, tra cui un impianto di riciclaggio dei rifiuti. Niente di veramente romantico. Questo polo industriale è in attività da ormai 35 anni. E’ un modello di convivenza. Nel 2012 l'edizione francese del Jerusalem Post gli aveva dedicato un articolo e aveva citato uno degli industriali del posto: “I lavoratori palestinesi hanno gli stessi stipendi e le stesse condizioni di lavoro degli israeliani”. I suoi dipendenti "vengono qui al mattino per lavorare e tornano a casa la sera. Non abbiamo mai avuto un problema di sicurezza o un attacco terroristico”. Trentacinque anni di convivenza. Tutti conoscono tutti. Le misure di sicurezza si stanno rilassando un po’. Quattromila lavoratori da controllare ogni mattina agli ingressi. Dobbiamo agire rapidamente, basta controllare che i dipendenti palestinesi siano autorizzati a lavorare lì. I cancelli del metal detector suonano di continuo, attivati da orologi, fibbie di cinture o scarpe. Quindi li lasciamo entrare. Trentacinque anni di fiducia. Trentacinque anni per dirsi buongiorno. Proprio ieri, il primo giorno della nuova settimana, erano tutti ai loro posti. Purtroppo non tutti sono usciti. Kim Levengrod Yeheskel, una giovane mamma di 28 anni, è stata colpita a sangue freddo così come il suo collega Ziv Hagbi, 35 anni, padre di tre figli.


Kim Yehezkel, Ziv Hajbi, le vittime

Non erano coloni. Kim, abitava a Rosh Haayin e Ziv a Rishon le-Tzion. L'assassino è un “giovane”. Un giovane palestinese naturalmente. Ha solo ventitré anni. Di professione elettricista. Si chiama Ashraf Walid Suleiman Na'alwa. Avrebbe lasciato una lettera che annunciava il suo progetto. Il terrorista, lui, è fuggito. Hamas, pieno di elogi per questo "eroe", distribuisce dolci ai bambini gazawi per celebrare la sua gioia. La Jihad islamica si congratula con quello in cui vede un futuro "Shahid". Nel frattempo l'esercito israeliano si lancia sulle tracce del fuggiasco. Alcuni membri della sua famiglia sono stati arrestati. A Barkan c’è una grande preoccupazione. Non ci sono solo i colleghi - arabi e israeliani – delle vittime, che piangono per la perdita di cari compagni di lavoro. Ma cosa accadrà ora? Quale sarà il futuro per questa oasi di convivenza? Sono i lavoratori palestinesi ad essere i più preoccupati. Non è solo il loro sostentamento ad essere messo in gioco. Le misure di sicurezza saranno rafforzate. La coda davanti ai checkpoint si allungherà. Si instaurerà una diffusa sfiducia. L'Autorità Palestinese, ci dicono, ha anche lei aderito alle ricerche. E’ un inizio? Ci si chiede se abbia già offerto un riconoscimento economico alla famiglia del terrorista.

 

 

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Michelle Mazel


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