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Zvi Mazel/Michelle Mazel
Diplomazia/Europa e medioriente
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Il difficile cammino dei liberali arabi 18/07/2017
Il difficile cammino dei liberali arabi
Commento di Zvi Mazel

Già ambasciatore d'Israele in Egitto, Zvi Mazel recensisce il libro dell'attuale ambasciatore israeliano in Egitto, David Guvrin, "Viaggio verso la primavera araba: le radici ideologiche delle vicissitudini mediorientali nel pensiero di arabi liberali" (ed. Magnes, 2016, 340 pp).

Articolo originalmente pubblicato in ebraico su Mida

(Traduzione dall’ebraico di Sharon Nizza)

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David Guvrin

Il libro dell'attuale ambasciatore d'Israele in Egitto, David Guvrin, descrive la parabola degli arabi liberali, che racchiude in sé la tragedia che accompagna il mondo arabo sin dalla seconda metà del XIX secolo. Parliamo della storia del fallimento della civiltà arabo-islamica a uscire dallo stallo che l'ha caratterizzata per circa 500 anni durante il periodo ottomano. Nonostante vi siano stati, dal XX secolo sino a oggi, diversi intellettuali che hanno discusso strenuamente della necessità di intraprendere riforme politiche, sociali e religiose per creare le basi di un governo democratico e strappare gli arabi dalla loro condizione di arretratezza, non si è ancora giunti a una soluzione efficace: la religione islamica e il tribalismo arabo hanno finora avuto la meglio. Questo è un libro di grande attualità, scritto in seguito alle rivolte nel mondo arabo inizialmente denominate "primavera araba", che ben presto si sono rivelate essere più un "inverno islamico" (Guvrin le chiama "vicissitudini", “tumulti”), i cui risultati a oggi non sono affatto promettenti, quantomeno non nel futuro prossimo.

Nel suo libro - che è il risultato del suo dottorato - Guvrin riporta il pensiero di intellettuali liberali arabi di diverse generazioni e in particolare la loro interpretazione dei concetti democrazia, libertà individuali, diritti umani fondamentali, insieme alle proposte di cambiamento, descrivendo la loro impotenza e l’ insuccesso nel vedere inattuate le proprie proposte.La domanda alla quale Guvrin cerca di rispondere è se il pensiero di questi liberali arabi abbia in qualche misura avuto un impatto sulle rivolte di oggi, anche se non con il successo sperato. L'autore è un diplomatico di lungo corso, che ha prestato servizio tra l'altro come consigliere politico della delegazione israeliana preso le Nazioni Unite e come capo del dipartimento Giordania presso il ministero degli esteri. A settembre 2016 ha iniziato il suo mandato come Ambasciatore d'Israele in Egitto, Paese nel quale aveva già servito in passato con altri incarichi diplomatici. Contemporaneamente ha conseguito il proprio dottorato presso la Hebrew University of Jerusalem, seguendo nel suo percorso accademico le vicende mediorientali.

Guvrin descrive la conquista dell'Egitto da parte di Napoleone Bonaparte nel 1798 come il primo, critico incontro tra Oriente e Occidente. Nelle sue parole: "un punto di svolta non solo per la storia dell'Egitto, ma per tutta la regione. Questa invasione ha rappresentato un duro scontro tra la cultura cristiano-occidentale e quella islamico-orientale, avviando un lungo e tortuoso processo di occidentalizzazione e rinnovamento (relativi, nda) nell'intera area". Negli anni successivi, con l'indebolimento dell'impero ottomano e l'espansione del colonialismo occidentale - come la conquista della Tunisia da parte della Francia nel 1881 e dell'Egitto da parte degli Inglesi nel 1882 - si è diffusa tra gli Arabi "una nuova percezione della sfida posta dall'incontro tra la cultura occidentale e il mondo islamico: non più solo in chiave politica, militare, tecnologica e scientifica, ma una sfida esistenzialistica e una minaccia culturale". La creazione degli Stati-nazione arabi - come Siria ed Egitto a seguito del primo conflitto mondiale e grazie all'intervento delle due potenze coloniali di cui sopra - ha ulteriormente acuito il conflitto tra i due poli in questione, in quanto ha comportato l'infiltrazione di valori occidentali nel cuore dell'Islam. In risposta a ciò, e in particolare in risposta all'annullamento dell'istituzione del Califfato da parte di Ataturk nel 1923, vennero creati in Egitto nel 1928 "I Fratelli Musulmani", con il preciso scopo di ritornare alle gloriose origini dell’Islam, fermando le infiltrazioni culturali occidentali e rinnovando il Califfato sulla base della Shari'a, la legge islamica di derivazione divina.

Ma già a partire dalla fine del XIX secolo si era cominciato a percepire un risveglio intellettuale i cui pionieri erano studiosi della dottrina islamica desiderosi di trovare una risposta consona, ma pur sempre all'interno della fede, alla sfida culturale e tecnologica posta dall'Occidente. I più noti tra questi pensatori sono Jamal ad-Din al-Afghani, nato in Persia ma attivo perlopiù in Egitto; l'egiziano Muhammad Abduh e Rashid Rida, nato nella Tripoli libanese, allora parte della provincia siriana dell'impero ottomano. L'obiettivo di al-Afghani era rafforzare l’Islam di modo che potesse recepire le conoscenze in campo scientifico e tecnologico dell'Occidente, nelle quali lui identificava l'elemento di superiorità dell'Occidente. Contrariamente ai massimi studiosi dell'Islam, al-Afghani credeva anche che fosse necessario istituire un organo legislativo elettivo, di modo da coinvolgere maggiormente i fedeli. Muhammad Abduh sosteneva la necessità di riformare le istituzioni religiose e di ispirarsi alle legislazioni europee in merito alla gestione del governo e alla condizione delle donne. Abduh è stato il primo a credere che termini islamici possano essere compatibili con le idee europee: per esempio la "Shura" (il comitato dei consiglieri con cui il leader si consulta in caso di controversie su materie di diritto religioso) può essere un parallelo del Parlamento eletto e la "Ijma" (il consenso raggiunto su una determinata interpretazione), nella visione di Abduh è un concetto simile a quello che noi definiamo "opinione pubblica".

Questa visione viene oggi condivisa anche da alcuni intellettuali filo-arabi come John Esposito, che vedono nell'Islam una religione liberale, nonostante sia chiaro che vi è qui una distorsione totale del Corano e della tradizione islamica. Rashid Rida, nonostante si fosse formato nella corrente salafita, fu allievo di Abduh e predicava "la modernizzazione dell'Islam e l'adozione di un approccio razionale nell'interpretazione del Corano e nell'implementazione della Shari'a". Egli appoggiava anche una riforma del diritto islamico per limitare la tirannia di governo. Nonostante ciò, sosteneva pure che si dovesse restaurare l'istituto del Califfato secondo i dettami della Shari’a.

Col passare degli anni, e vivendo in prima persona l'infiltrazione dei valori occidentali nell'Islam e il fenomeno della secolarizzazione che stava prendendo piede insieme al nazionalismo (un concetto di per sé occidentale...), Rida si allontanò dalle posizioni del suo maestro Abduh per arrivare a sostenere il wahabismo saudita, creando poi una sua propria posizione che richiama al ritorno alle origini dell'islam e diventando di fatto il primo fondamentalista islamico e il padre dei movimenti islamici estremisti moderni, che in seguito si svilupparono in maniera strutturale sulla base dell'ideologia dei Fratelli Musulmani. Tuttavia, cioè che oggi chiamiamo estremismo o radicalismo islamico ha dei patriarchi ben antecedenti a Rida, e una base ideologica molto forte, che l'occidente cerca sempre di ignorare. A cominciare dal Kharigismo, che già nel VII secolo stabilì il concetto di “takfir” (apostasia); passando per Ahmad Ibn Hanbal, il padre della scuola più severa tra le quattro correnti giuridiche dell'Islam sunnita, e per Ibn Taymyya, che predicava il ritorno al Corano e alla Sunna come uniche basi giuridiche dell'Islam, ed è considerato il padre del salafismo, del wahabismo e del jihadismo (la sua interpretazione si oppone persino alla santificazione di Gerusalemme, in quanto non esplicitamente menzionata nel Corano);fino a Sayyid Qutb, il teologo centrale nell'ideologia dei Fratelli Musulmani, sul cui pensiero si basa il concetto di "takfir" applicato alla totalità della società araba moderna, che ha peccato e continua a peccare di miscredenza, e l'utilizzo della jihad per imporre il vero Islam. Tuttavia, è stato proprio il pensiero di Rida, contemporaneo di Hassan al -Banna, a fornire la base ideologica primaria nella fondazione del movimento dei Fratelli Musulmani.

La religione domina ogni cosa

Il pensiero dei primi riformatori musulmani è importante per capire la problematicità della lotta per la democrazia e per le libertà individuali anche nelle generazioni successive di riformatori liberali, alcuni di essi laureati in università occidentali. Già ai primordi di questa battaglia era evidente "la tensione tra la cultura araba, più incentrata sul collettivismo, il tribalismo e il concetto di famiglia, e il liberalismo occidentale", scrive Guvrin, citando un intellettuale arabo contemporaneo, Khalid al-Dakhil, che non esita ad affermare che il liberalismo nella cultura araba è ancora a uno stadio germinale, semi di idee discussi solo in ristrette cerchie elitarie "che non sono in grado di trasformarle in una e vera e propria ideologia che possa essere fonte di valori, stabilire una visione di lungo raggio e indirizzare una leadership". Secondo al-Dakhil, non vi è "molto spazio per l'individualismo nella società araba, caratterizzata da tribalismo e etnicismo". Per descrivere il dibattito dei liberali arabi nel corso degli anni e il muro islamista con il quale continuano a scontrarsi, Guvrin dedica una lunga introduzione per chiarire la terminologia relativa al funzionamento della democrazia nel contesto mediorientale e i principali approcci per la valutazione dei processi di democratizzazione nel mondo arabo.

Così, per esempio, il liberalismo, che in Occidente viene percepito come la liberazione dell'individuo dalla tirannia del governo, ha tutte altre connotazioni nel mondo arabo, ed è legato più che altro alla lotta contro le potenze straniere nella prima metà del XX secolo. Il termine "libertà individuale" nella tradizione islamica ha un significato giuridico, come l’esenzione dalle tasse o da altre limitazioni legate alla condizione sociale. Nell'Islam infatti, il concetto di libertà individuale è in piena contraddizione con il ruolo del Sultano, che è illimitato e si fonda sulla Shari'a, la legge di derivazione divina. Nel corso degli anni, chiaramente l'accezione occidentale di questi termini ha influenzato anche la loro percezione nel mondo arabo, ma sempre con svariate eccezioni derivanti da una cultura politica totalmente diversa da quella occidentale. In questo contesto, Guvrin cita tra gli altri il mediorientalista Elie Kedourie: "Nelle tradizioni politiche arabe e islamiche non vi è un corrispettivo del concetto di Stato di diritto o di rappresentanza. Lo Stato come entità territoriale che si basa sulla sovranità popolare e sulla rappresentanza stabilita dal processo elettorale, il diritto di voto universale, il potere giuridico sovrano e una società civile composta di gruppi e associazioni autonome - sono tutte idee del tutto estranee alla tradizione islamica".

Il primo capitolo del libro di Guvrin è dedicato a un breve e puntuale excursus dell'Islam politico. L'autore sintetizza così la questione: "La concezione primaria dell'Islam - sia nella tradizione che nella pratica - si basa sull'accettazione del "tawhid", ovvero l'unità e unicità di Dio, la cui volontà è comandamento e indirizzo su ogni cosa. La sovranità è unicamente nelle mani di Dio e nessun uomo, casta, gruppo o persino intera popolazione può rivendicare questo diritto. Il pensiero islamico si fonda sul Corano e ciò fa sì che non ne esista uno indipendente da esso. La religione abbraccia ogni aspetto della vita dell'individuo e rappresenta la fonte di ogni legittimazione".

Questo breve sunto spiega bene le difficoltà che hanno affrontato e continuano ad affrontare i liberali arabi che tentano di promuovere le libertà individuali e la democrazia all’interno dell'Islam. La maggior parte dei capitoli del volume è dedicata alla presentazione dei pensatori liberali delle varie generazioni - in particolare egiziani, ma anche siriani e iracheni - e del loro tentativo di enunciare teorie o formule che possano promuovere la via democratica nel mondo arabo. Questi hanno concentrato i propri sforzi per cercare di capire come un governo democratico fondato sulla separazione dei poteri, sulla limitazione dell'autorità governativa, sulle libertà individuali, sull'affermazione dei diritti umani e dell'uguaglianza di genere possa andare di pari passo con l'Islam. Nonostante il duro e complesso lavoro di ricerca, finora non è stata trovata una formula consona. Oggi è chiaro a tutti che è necessario separare la religione dallo Stato per mettere in pratica i valori democratici, tuttavia solo pochi sono pronti ad affermarlo apertamente in quanto si tratta di un affronto ai pilastri dell'Islam. Per esempio, abbiamo visto qual è stato il destino del giornalista liberale Farag Foda, assassinato in Egitto nel 1992, o del professore di filosofia Nasr Abu-Zayd,che invocava una moderna interpretazione dell'Islam: processato per apostasia, fu costretto a divorziare dalla moglie e in seguito fuggì in Olanda. Il lavoro degli arabi liberali è un continuo tragico esempio di uno sforzo sisifico con poche speranze di successo.

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Il simbolo della Fratellanza musulmana

I giovani di Piazza Tahrir non rappresentano il popolo egiziano

Tuttavia, in concomitanza con gli eventi cardine che accadono nel mondo, ciclicamente spuntano nuove ondate di pensiero arabo liberale. Per esempio, dopo la liberazione di Egitto, Siria e Iraq dalle potenze coloniali, c’era la percezione di un principio di processo di democratizzazione. Vennero istituiti partiti politici e si svolsero elezioni che portarono alla formazione di parlamenti. In quegli anni si poteva percepire uno spirito di cambiamento, ma molto presto le tradizioni arabe e islamiche prevalsero. Nacque un nazionalismo panarabo estremista, di pari passo con l’ideologia panislamica, le cui prime vittime furono proprio i neonati Stati-nazione. Cominciò una serie di colpi di stato militari in Siria, Iraq, Egitto, Libia - apparentemente per combattere la corruzione e il nepotismo diffusi - che condurrà il mondo arabo in un vortice di odio e guerre intestine che ne colpiranno duramente lo sviluppo economico e democratico.

La disfatta araba a seguito della Guerra dei Sei Giorni e della Guerra del Golfo – guerre a seguito delle quali potenze non arabe penetrarono nel mondo arabo con grande superiorità militare -, il crollo dell’Unione Sovietica e la globalizzazione dei mezzi di comunicazione, con la diffusione di internet – tutti questi eventi storici da un lato hanno mostrato il mondo arabo come strutturalmente arretrato, dall’altro hanno incentivato molti intellettuali a presentare nuove idee modernizzatrici. Guvrin si sofferma sui liberali egiziani di oggi, un gruppo molto eterogeo che lui divide in diverse categorie: i liberali istituzionali, i liberali semi-istituzionali e gli indipendenti. Ne ricorderemo qui di seguito alcuni. Tra quelli “istituzionali” annoveriamo Abdel Monem Said, già direttore del Centro Studi del quotidiano Al-Ahram, una nota frequentazione degli Ambasciatori israeliani al Cairo. Egli è tuttora attivo e se ne possono leggere articoli di opinione sui problemi attuali del mondo arabo e la necessità di democratizzazione in molti giornali arabi. Tra i “semi-istituzionali” ricordiamo la Dr. Hala Mustafa, una senior researcher del centro di ricerca strategico di Al-Ahram, già direttrice della rivista “al-Dimuqratia” (Democracy Review), sempre affiliata al centro Al-Ahram.

Tra gli “indipendenti” vanno menzionati Sayyid al-Qimni, tra i principali critici laici dell’Islam oggigiorno, e Amin al-Mahdi, giornalista e intellettuale sostenitore della normalizzazione con Israele, proprietario di una casa editrice che ha tradotto in arabo numerosi autori israeliani. In questo elenco vanno aggiunti anche altri intellettuali siriani, iracheni, tunisini, la cui azione però non sembra riesca ad andare oltre una preoccupata osservazione di quanto accade oggi nel mondo arabo. Guvrin ritiene tuttavia che l’attività degli intellettuali arabi liberali nel corso degli anni abbia avuto un ruolo nel risveglio della popolazione, nella presa di coscienza della situazione nei vari Paesi, invocando riforme, incoraggiando a esprimersi contro il governo. L’autore indica anche il ruolo dei new media, dei social network e dei canalisatellitari, in primis Al-Jazeera, come veicolo per consentire al pubblico di interrogarsi su questioni sociali ed economiche critiche, portando all’organizzazione di scioperi e proteste in tutto il mondo arabo. Nonostante ciò, Guvrin mette in guardia il lettore rispetto a una distorsione della realtà da parte dei media, che hanno creato la falsa impressione che i giovani di piazza Tahrir, dotati di una grande consapevolezza politica, rappresentino la maggior parte della popolazione egiziana della generazione di Facebook e Twitter. De facto, la maggior parte degli egiziani vive nelle periferie,in condizioni di povertà e precarietà, senza accesso a Internet, spesso sovvenzionati da organizzazioni caritatevoli islamiche che riempono il vacuum lasciato dallo Stato assente.

Questo spiega infatti la vittoria dei Fratelli Musulmani alle prime tornate elettorali dopo la deposizione dei capi di Stato in Tunisia, Egitto e Libia. D'altra parte, dice Guvrin, la “primavera araba” ha comunque avuto una caratteristica importante, che forse può fornirci un cauto ottimismo per il futuro: quella di abbattere la barriera della paura dei cittadini nei confronti dei loro governi.Ha inoltre confutato la diffusa convinzione che il conflitto israelo-palestinese costituisca il fulcro delle problematiche del mondo arabo: ad oggi, difatti,non è una questione che trova un posto centrale nell’ordine del giorno dei Paesi arabi, anche se potrebbe sempre tornarci a seguito di eventi imprevisti o per la decisione dei governanti arabi. E’ importante osservare che la maggior parte dei pensatori liberali arabi non considera questo conflitto la causa della mancata democratizzazione del mondo arabo, bensì un argomento lungamente sfruttato daileader arabi nel corso dei decenni per distrarre l’opinione pubblica dalla situazione di caos nei loro Paesi.

L’Europa nel mirino

Il libro di Guvrin è importante sia per Israele che per l'Occidente. Mentre la regione è infiammata da terribili e incessanti conflitti tra sunniti e sunniti e tra sciiti e sunniti, e dal momento che almeno cinque paesi arabi sono collassati a causa di questi conflitti (Siria, Iraq, Yemen, Libia e Somalia), mietendo centinaia di migliaia di vite, è urgente capire cosa stia accadendo e quali siano le cause che hanno portato a questa situazione assurda, che persino i più pessimisti tra gli arabi liberali non avevano previsto. Guvrin, nel suo libro, fornisce al lettore un quadro completo e ricco di informazioni, uno sguardo sulla complessità dei problemi che riguardano l’Islam, attraverso la lotta degli intellettuali liberali in una civiltà che rifiuta per sua natura ogni proposta di ammodernamento. E’ importante che la versione inglese di questo libro - pubblicata già nel 2014 –venga diffusa in Europa occidentale e negli Stati Uniti, dove constatiamo è in corso un grande sforzo per ignorare quanto accade realmente nel mondo islamico, scagionando l'Islam da ogni colpa, nella fallace convinzione che in Europa si svilupperà un nuovo e moderato Islam che saprà scendere a compromessi con il Cristianesimo. Ma l'Islam è uno solo. I suoi pilastri sono le leggi di Dio, la Shari’a fondata sul Corano e sulla Sunna. I suoi fedeli credono che la religione sia valida sempre e ovunque e - come ci è ormai chiaro dal libro di Guvrin - la lotta dei liberali arabi per apportare dei cambiamenti in questa concezione non è destinata a riuscire nel proprio intento, almeno non nel prossimo futuro. Inoltre, la presenza dell'Islam in Europa occidentale è destinata a crescere, aumentando così il potere dei musulmani affinché la Shari'a venga applicata anche nelle loro nuove patrie.

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Zvi Mazel è stato ambasciatore in Svezia dal 2002 al 2004. Dal 1989 al 1992 è stato ambasciatore d’Israele in Romania e dal 1996 al 2001 in Egitto. È stato anche al Ministero degli Esteri israeliano vice Direttore Generale per gli Affari Africani e Direttore della Divisione Est Europea e Capo del Dipartimento Nord Africano e Egiziano. Collabora a Informazione Corretta.


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