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Zvi Mazel/Michelle Mazel
Diplomazia/Europa e medioriente
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Il presidente egiziano in stato di guerra 15/04/2017
 Il presidente egiziano in stato di guerra
Analisi di Zvi Mazel

(Traduzione di Angelo Pezzana)

http://www.jpost.com/Israel-News/Sisis-choices-486964

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Al Sisi alla Casa Bianca con Donald Trump

La visita di Al Sisi a Washington e la calda accoglienza della Amministrazione Trump sono il segnale dell’inizio di nuove relazioni tra Egitto e America dopo anni di ostilità sotto Obama. Una assistenza estremamente attesa verteva su sue aspetti fondamentali: combattere il terrorismo islamico e portare stabilità economica. Non sarà una cosa facile, gli attacchi che hanno ucciso e ferito dozzine di fedeli in due chiese importanti la scorsa settimana dimostrano quanto gli apparati della sicurezza e dell’intelligence siano gravemente inadeguati a proteggere gli obiettivi più sensibili.
A causa del rifiuto di Obama di fornire aiuto e assistenza, Sisi si è rivolto alla Russia, già nel passato suo alleato, per aiuti militari e civili, che la Russia era più che disposta a concedere. Armamenti di ultima generazione e esercitazioni militari, più centrali nucleari per produrre elettricità. In cambio, l’aiuto egiziano per facilitare la Russia a riallacciare i rapporti nella regione. Per queste ragioni Sisi ha appoggiato Putin sulla Siria, sostenendo Assad al potere, votando la risoluzione russa al Consiglio di Sicurezza contro l’Arabia Saudita, altri paesi arabi e gli stati occidentali. Si è anche astenuto dal condannare l’intervento dell’Iran in Siria e conseguenti attività terroriste in Iraq,Yemen e Libano. L’Egitto non è parte attiva nella coalizione guidata dall’America contro lo Stato Islamico o in quella guidata dall’Arabia Saudita contro i ribelli nello Yemen. Questo ha causato una spaccatura molto seria con Riad, il più fedele sostenitore del Cairo nella regione, che aveva aiutato la fallimentare economia egiziana con più di 20 miliardi di dollari sotto forma di sovvenzioni a fondo perduto e prestiti e lungo termine.
Il Presidente Sisi aveva anche sostenuto gli sforzi della Russia nel suo coinvolgimento in Libia, sviluppando i legami con il Generale Haftar, capo dell’esercito libico, che collabora con l’Egitto a difendere i comuni confini contro le milizie islamiche e il loro contrabbando di armi.
Come può ora il presidente egiziano riprendere e approfondire le sue relazioni con gli Stati Uniti senza privarsi del vitale aiuto russo ? L’Egitto riceve sempre dall’America ogni anno 1.3 miliardi di dollari in assistenza militare, impegno rinnovato a malavoglia da Obama alla fine del suo mandato. Ha però un bisogno estremo di ricevere investimenti massicci per sviluppare la propria economia e introdurre tecnologie moderne.
Sarà in grado Trump di capire questo legame con la Russia, fornire gli aiuti richiesti, senza esigere una rottura?
Ci sono stati dei tentativi di riconciliazione tra Cairo e Riad durante il recente summit arabo tenutosi in Giordania a marzo. Sisi aveva invitato il re Salman in Egitto e c’erano stati alcuni segnali incoraggianti: l’Arabia Saudita aveva ripreso le forniture di petrolio all’Egitto, che aveva sospeso a causa della crisi.
Rimangono però sospesi alcuni aspetti, tra i quali le rinnovate, strette relazioni tra Riad e Ankara, in un momento in cui Egitto e Turchia sono ai ferri corti a causa dell’aiuto di quest’ultima alla Fratellanza Musulmana, l’arci nemico di Sisi.
Arabia Saudita e Turchia hanno recentemente condiviso esercitazioni militari, giudicate decisamente ostili dall’Egitto. Riad sta anche sviluppando relazioni importanti con l’Etiopia, un paese coinvolto in un serio conflitto con il Cairo in merito al progetto delle costruzione di una diga sul Nilo che potrebbe bloccare il 90% delle acque che arrivano all’Egitto dal fiume.
Pur lottando in queste pesanti condizioni, il presidente egiziano sta disperatamente cercando di trovare una nuova strategia per sconfiggere le organizzazioni terroriste islamiche nella Penisola del Sinai, responsabili delle stragi nel cuore del paese come abbiamo visto la scorsa settimana.
Il suo esercito è ancora fermo a tattiche dell’era sovietica: un massiccio uso di truppe e armi pesanti inadatte alla guerriglia contro piccoli gruppi di terroristi nascosti nelle aree montagnose e desertiche, con raid veloci e ben pianificati per piazzare esplosivi ai molti mezzi militari,assaltare stazioni di polizia nelle città del nord Sinai, persino contro i blocchi stradali.
Rapimenti e stragi di copti hanno causato la fuga di queste popolazioni dal nord Sinai. Occorre una nuova valutazione, ma Sisi e i suoi generali permetteranno alle forze speciali americani di istruirli abbandonando il tradizionale, conservatore concetto di esercito? E come reagirà la Russia? Ma ancora più importante, riuscirà il caparbio popolo egiziano, gravato da una crisi economica senza precedenti, a concedere al proprio presidente il tempo necessario per realizzare le sue riforme?
La prima promessa di Sisi dopo la sua elezione era stata la ripresa economica, che era arrivata a un punto morto durante gli anni delle manifestazioni seguite alla cacciata di Mubarak.
Aveva promesso che in due o tre anni si sarebbero sarebbero iniziati i lavori di grandi progetti, quali il raddoppio del Canale di Suez, per aumentare il numero delle navi che attraversano quella importante via fluviale, la costruzione di una seconda capitale a est del Cairo, per ridurre la congestione della città, concedere alle maggiori compagnie petrolifere la possibilità di ricercare nuovi giacimenti, costruire migliaia di kilometri di nuove strade, destinare nuovi territori alla agricoltura, con la ripulitura dentro enormi silos del grano per eliminare peste e sporcizia che distrugge ogni anno fino a un terzo dei raccolti.
L’Arabia Saudita ha dato un aiuto che però non è stato sufficiente, per cui Sisi si è rivolto al Fondo Monetario Internazionale che ha garantito un prestito di 12 miliardi di dollari a interesse molto contenuto, ma con una serie di condizioni quali la cancellazione degli aiuti alimentari ed elettrici eintroducendo nuove tasse. Ne risultò un forte aumento dei prezzi. La stima del presidente scese dal 90% al 70%, una fiducia ancora alta, che portò con sé una rinnovata crescita economica: 4.3% nel 2016.
Sfortunatamente gli sforzi del presidente sono ostacolati dal problema della sicurezza.
I Fratelli Musulmani sono ancora un pericolo, sabotano le infrastrutture in tutto il paese, anche se con minor successo. Lo Stato Islamico continua ad attaccare l’esercito egiziano nella Penisola del Sinai con l’aiuto di costanti rifornimenti di armi contrabbandate attraverso il confino libico. I terroristi lanciano incursioni coronate dal successo in tutto il paese sperando di cancellare il turismo, colpendo un aereo russo che era partito dal popolare resort turistico di Sharm el Seikh.
Le entrate derivanti dal turismo sono precipitate dai 12 miliardi di dollari del 2010 a 5 miliardi. Come se non bastasse, Sisi si è impegnato con grande volontà a eliminare dai libri di scuola i passi estremisti, ricevendo una dura opposizione dalle istituzioni religiose guidate da Al Azhar.
Può il determinato presidente trovare una strada per bilanciare i suoi obblighi contrastanti, quando russi e americani si stanno scontrando?
I suoi commenti molto cauti dopo che l’America ha bombardato la base da cui partivano i recenti attacchi chimici, dimostrano quanto difficile sia la sua posizione.
Può aspettarsi una fruttuosa collaborazione con l’America di cui ha bisogno per andare avanti e ristabilire la sicurezza e dare al suo popolo quella vita migliore che attendono? La sopravvivenza del suo regime, e forse del suo paese, sono a rischio.

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Zvi Mazel è stato ambasciatore in Svezia dal 2002 al 2004. Dal 1989 al 1992 è stato ambasciatore d’Israele in Romania e dal 1996 al 2001 in Egitto. È stato anche al Ministero degli Esteri israeliano vice Direttore Generale per gli Affari Africani e Direttore della Divisione Est Europea e Capo del Dipartimento Nord Africano e Egiziano. Collabora a Informazione Corretta.


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