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Diplomazia/Europa e medioriente
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Parlare di pace in Medio Oriente: quale ruolo per l’Egitto di Al Sisi? 03/04/2017
Parlare di pace in Medio Oriente: quale ruolo per l’Egitto di Al Sisi?
Analisi di Zvi Mazel

(Traduzione di Angelo Pezzana)

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Abdel Fattah Al Sisi

Considerazioni geopolitiche hanno indicato nell’Egitto il partner chiave nel conflitto israelo-arabo, ma può ostacolarne la capacità di prevedere un piano di pace regionale basato sulla adesione degli stati arabi pragmatici o moderati. In gioco non vi è solo la capacità del Cairo a guidare questi stati, ma anche se gli stessi potranno accordarsi, data la situazione politico-militare nel Medio Oriente. L’Egitto è coinvolto in una guerra senza fine contro gli attacchi terroristici ai propri confini, per cui affronta in primo luogo i problemi legati alla sicurezza. A est, non ha ancora sconfitto il terrorismo islamico di quei gruppi che si auto definiscono “ Distretto Sinai dello Stato Islamico”, che collaborano con Hamas, considerato un movimento nemico. A ovest, l’interminabile guerra civile in Libia è una minaccia lungo il lungo comune confine. Materiale militare e armamenti sono oggetto di contrabbando da parte dei gruppi islamici attraverso il confine libico allo Stato Islamico in Sinai, mettendo in grado le organizzazioni terroriste di attaccare l’esercito egiziano. Nello stesso tempo, le relazioni tra Egitto e l’Autorità palestinese sono tese per via del rifiuto di Mahmoud Abbas di partecipare al Summit del Cairo con Netanyahu e non è disposto a cooperare con il Cairo per quanto concerne Hamas. Anche il confine con Gaza è un problema. In cerca di una via d’uscita, il presidente Sisi dialoga con Mohammed Dahlan, l’arci-nemico di Abu Mazen.

L’unico aspetto positivo in questa seria situazione è il trattato di pace con Israele e la conseguente sicurezza nella cooperazione fra i due paesi. Ultimamente è apparso un nuovo potente partner: la Russia di Putin. La tanto attesa cooperazione russa militare e civile ha però un prezzo: il Cairo si sta allineando sempre di più con la politica mediorientale di Mosca. Un risultato che deriva direttamente dall’ostilità dimostrata dall’amministrazione Obama verso l’Egitto, cui seguì la cacciata del Presidente Morsi e dei suoi alleati della Fratellanza Musulmana. L’Egitto ha adottato le posizioni russe e oggi è favorevole a una soluzione in Siria che non comprenda la cacciata di Assad. Ci sono poi segnali di miglioramento con la Libia. L’Egitto sostiene il generale Haftar, con cui si coordina sulla difesa dei confini libici. In più, l’Egitto ha concesso alla Russia di schierare truppe speciali lungo quel confine per sostenere il generale Haftar, una mossa strategica che permette a Mosca di essere parte delle sorti della Libia. Il miglioramento delle relazioni con la Russia hanno però creato problemi con l’Arabia Saudita, che sostiene attivamente le organizzazioni islamiche che combattono Assad chiedendone le dimissioni. Sostiene anche il Fratelli Musulmani in Libia e Yemen, un’altra spina nel fianco del contenzioso con l’Egitto.

Ancora peggio, l’Egitto appare meno deciso contro l’Iran a causa della cooperazione Russia-Iran in Siria. Condizioni certo non favorevoli alla creazione di una coalizione di stati pragmatici – Egitto,Arabia Saudita, Emirati e forse Giordania e Marocco - al fine di promuovere insieme un processo di pace. Le tensioni tra Riad e il Cairo hanno spinto l’Egitto a tenere un ruolo significativo nella coalizione guidata dall’Arabia Saudita contro i ribelli Huti nello Yemen. Difficile che possa aderire a un programma comune persino sulle questione palestinese, anche se gli stati arabi condividono più o meno lo stesso tipo di soluzione. Fare la pace con Israele nel quadro di un accordo regionale è nell’interesse di Israele e dei paesi arabi pragmatici, visto che entrambe le parti sono schierate contro la minaccia dell’Iran e dello Stato Islamico.

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Un tratto di confine tra Egitto e Gaza

Un trattato di pace tra Israele e i palestinesi potrebbe – in teoria – aiutare la battaglia contro entrambe le minacce indebolendo Hezbollah e Hamas, alleati dell’Iran e nemici dello Stato ebraico. Hezbollah vedrebbe diminuire la sua popolarità in Libano, un paese che non sarebbe più “minacciato” da Israele. Potrebbe persino diminuire la disponibilità della Siria nell’accettare una presenza permanente sul proprio territorio. Ma di quale soluzione stiamo parlando? Riguarderà soltanto il conflitto con Israele o comprenderà una coalizione contro l’Iran e le organizzazioni estremiste islamiche? Gli Stati Arabi saranno pronti a premere sui palestinesi affinchè abbandonino alcune delle loro richieste più estreme? Il Primo Ministro Netanyahu ha ripetutamente appoggiato la causa di una soluzione regionale basata sul miglioramento delle relazioni tra Israele e alcuni degli stati pragmatici. D’altra parte, un certo numero di politici israeliani, soprattutto di sinistra, e alcuni commentatori, vedono una opportunità in un dialogo israelo-palestinese sotto gli auspici di stati arabi importanti, una spinta verso una soluzione. Un dialogo basato sulla iniziativa di pace formulata nel 2002 e sottoscritta dalla Lega Araba nel 2007, contiene pre-condizioni che Israele non può accettare, quali il ritiro da tutti i territori conquistati nel 1967 – non solo Giudea e Samaria, ma anche Gerusalemme est e le Alture del Golan e le fattorie Shebaa al confine con Libano e Siria. Contiene anche la “ soluzione del problema dei rifugiati”, il cosidetto “diritto al ritorno”, come sostine la risoluzione 194 dell’Onu. Tutti gli stati arabi, Egitto compreso, considerano queste pre-condizioni indispensabili per mettere fine al conflitto.

Ciò malgrado, i politici e gli esperti che prima ho nominato, credono che questi paesi potrebbero e dovrebbero convincere i palestinesi a fare sufficienti concessioni per arrivare alla firma del conflitto una volta per tutte. Credono che l’Egitto potrebbe realizzare questo cambiamento, una convinzione basata sulla cooperazione nella sicurezza con Israele, profonda, sebbene discreta. Ovviamente è nell’interesse dell’Egitto essere alla guida di queste trattative di pace. Dopo tutto, combattè contro Israele non una volta, ma cinque, dal 1948, pagando un alto costo di vite umane e di infrastrutture. Dopo l’iniziativa di pace di Sadat del 1977, l’Egitto è stato il più importante mediatore tra Israele e i palestinesi, senza però arrivare a un accordo, nemmeno con gli Accordi di Camp David sul problerma palestinese. Anzi, a causa di quel trattato di pace, l’Egitto venne osteggiato dalla maggioranza dei paesi arabi e espulso dalla Lega Araba, che spostò la sua sede dal Cairo a Tunisi, dove rimase per dieci anni prima di ritornare al Cairo. Ma l’Egitto non smise mai di cercare una mediazione e durante gli anni di Mubarak ci furono numerosi incontri tra Arafat e i rappresentanti israeliani, ma senza nessun successo.

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Terroristi di Hamas

Oggi Sisi è sinceramente impegnato a promuovere un accordo di pace basato sulla creazione di uno stato palestinese sulle basi dei confini del 1967 con Gerusalemme est capitale. Non ha mai accusato Israele e ha più volte intervenuto a favore di un trattato di pace fra i due paesi. Ultimamente ha promosso diverse iniziative per promuovere le relazioni con Israele, ha mandato un ambasciatore dopo tre anni di assenza, ha riaperto gli uffici dell’ambasciata israeliana al Cairo, e il Ministro degli Affari Estseri egiziano ha inviato emissari di alto livello a visitare Gerusalemme. Rientrato in Egitto, raccontò pubblicamente di un incontro con alcuni studenti israeliani, affermando che gli attacchi di Israele sono sempre stati difensivi e che questo non si poteva definire terrorismo. Questa è ovviamente anche la posizione del presidente Sisi, non solo il risultato degli accordi sulla sicurezza. D’altro canto, l’Egitto è membro della Lega Araba. Essendo parte del mondo arabo e della “umma” islamica, fa parte della costituzione.

Come può avere una opinione diversa da quella islamica in merito alle questioni fondamentali relative al conflitto, guidare i negoziati e ottenere le concessioni dai palestinesi? L’Egitto ha decisamente smentito la voce che girava in alcuni ambienti israeliani che sarebbe stata concessa una piccola area del Sinai ai palestinesi in uno scambio di territori con Israele. Sarebbe stata in totale contrasto con la clausola più importante della costituzione che vieta la cessione del territorio e contraddice anche la sacralità della terra egiziana. L’insuccesso di Sisi nel trasferire alla Arabia Saudita le isole di Tiran e Sapir ne è un esempio. Che dire degli altri stati, in particolare dell’Arabia Saudita? Potrà, ospitando le due città sacre dell’islam e avendo il Corano come costituzione, approvare un accordo che include Gerusalemme ( peraltro mai menzionata neanche una volta nel Corano) che non lascerà il Monte del Tempio in mani arabe? È fuori di dubbio che questi stati hanno interesse a cooperare con Israele e vedrebbero con favore un accordo tra Israele e i palestinesi, ma non possono allontanarsi delle loro posizioni tradizionali. Persino l’Egitto, che sarebbe quello più interessato, è troppo coinvolto a causa dei problemi sulla sicurezza con Hamas e l’Atorità palestinese, da poter cambiare le proprie posizioni. Eppure c’è uno spiraglio di speranza.

Il Presidente Trump sta seguendo la propria strada nella palude mediorientale. La sua nuova amministrazione potrebbe resuscitare il vecchio fronte anti Iran dei paesi arabi che era stato gettato in mare da Obama quando firmò un accordo separato con l’Iran sul programma nucleare senza informare i suoi alleati. Non sarà facile. Arabia Saudita e Egitto dovrebbero aderire, un compito reso più difficile dalla crescente influenza esercitata dalla Russia nella regione. Eppure sarebbe l’unica strada per portare pace e stabilità nel Medio Oriente, un po’ come arrivare alla pace tra Israele e i palestinesi.

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Zvi Mazel è stato ambasciatore in Svezia dal 2002 al 2004. Dal 1989 al 1992 è stato ambasciatore d’Israele in Romania e dal 1996 al 2001 in Egitto. È stato anche al Ministero degli Esteri israeliano vice Direttore Generale per gli Affari Africani e Direttore della Divisione Est Europea e Capo del Dipartimento Nord Africano e Egiziano. Collabora a Informazione Corretta.


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