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Zvi Mazel/Michelle Mazel
Diplomazia/Europa e medioriente
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L’Egitto lasciato solo a combattere il terrorismo islamico 23/02/2015
 L’Egitto lasciato solo a combattere il terrorismo islamico
Analisi di Zvi Mazel

(Traduzione di Malak Afflelou)

La versione originale di questo articolo è stata pubblicata in inglese sul Jerusalem Post: http://www.jpost.com/Middle-East/Analysis-Egypt-left-to-fight-alone-against-Islamist-terrorism-391865

C’è un leggero e velato attacco agli Stati Uniti in un lungo articolo uscito il 12 febbraio scorso sul quotidiano Al Ahram del Cairo, che esprime ufficialmente le posizioni governative. Contiene l’accusa – insieme a Qatar e Turchia - di agire in modo ostile contro l’Egitto attraverso il sostegno attivo alla Fratellanza Musulmana e altre organizzazioni terroriste.

Anche alcuni paesi europei, come Inghilterra e Germania, vengono citati, perché lasciano ai Fratelli totale libertà di movimento. E’ come un richiamo all’Occidente, che si ostina a ignorare la situazione critica dell’Egitto sotto attacco nel Sinai e al confine con la Libia da parte del terrorismo islamico. Quando gli aerei egiziani hanno attaccato la Libia dopo il massacro dei 21 egiziani della minoranza cristiana copta, non era solo per rappresaglia, ma voleva anche essere un richiamo all’Occidente, anch’esso minacciato dal terrorismo islamico, particolarmente in Europa, a poche centinaia di miglia dalla costa libica.


Fratelli musulmani in Egitto

Se non verrà fatto nulla per fermare le milizie islamiche, la Libia diventerà la base avanzata dello Stato Islamico, con un’Europa aggredita da una marea di rifugiati che non riuscirà ad assorbire, una minaccia alla propria economia e stabilità. Questo processo è già cominciato.

Mentre la Giordania, attaccando lo Stato Islamico dopo l’orribile fine del suo pilota, ha ricevuto la collaborazione dell’Occidente, all’Egitto è stata invece negata. Il portavoce della Casa Bianca ha dichiarato che si deve trovare una soluzione politica alla crisi libica, e che le Nazioni Unite ci stanno lavorando. Il Pentagono si rifiuta di esprimere la propria opinione sull’attacco, dal momento che gli Stati Uniti non ne sono stati informati in anticipo. E’ stato poi precisato che il parziale congelamento degli aiuti militari all’Egitto, F16 e altri armamenti, era tuttora valido a causa della situazione dei diritti umani in Egitto. Ma va detto che il problema dei diritti umani in Giordania e in altri stati arabi è molto peggiore che in Egitto...

Per il Cairo è stato un brutto colpo. Inutilmente il Ministro degli Esteri Sameh Shukri si è precipitato alle Nazioni Unite dopo l’attacco per ricordare che il terrorismo islamico va combattuto ovunque sia, così come in Libia va aiutato il governo legittimo, cancellato l’embargo degli armamenti, insieme a un maggiore sforzo della coalizione nel colpire le postazioni dello Stato Islamico. Gli è stato detto che la risposta migliore era quella politica. Disgraziatamente il Cairo non può stare con le mani in mano e aspettare la soluzione politica mentre lo Stato Islamico conquista nuovi avamposti in Libia e altre milizie islamiche, affiliate con la Fratellanza, continuano senza sosta a indebolire l’Egitto, ostacolano lo sviluppo economico e ne mettono in pericolo la stabilità, cercando di farlo fallire come è avvenuto nella stessa Libia, Somalia, Iraq, Siria e Yemen.

Il problema dell’Egitto è l’isolamento
In una riunione apposita della Lega Araba per discutere l’attacco aereo egiziano, il Qatar ha rimesso in discussione l’appoggio iniziale all’Egitto. Il delegato del Cairo lo ha accusato di favorire il terrorismo; per rappresaglia il Qatar ha richiamato il proprio ambasciatore per consultazioni. Peggio ancora, il Consiglio della Cooperazione del Golfo si è schierato con il Qatar, rimproverando l’Egitto onde evitare una nuova crisi e per mantenere uniti i paesi del Golfo contro le due più grandi minacce, l’Iran e lo Stato Islamico. L’Egitto è stato colto di sorpresa, in quanto Arabia Saudita e gli Emirati sono i suoi principali sostenitori politici e finanziari nella guerra contro i Fratelli Musulmani.

Il Qatar si era impegnato – sotto la forte pressione dell’Arabia Saudita e degli Emirati – di allentare i suoi stretti legami con la Fratellanza, interrompere gli attacchi di Al Jazeera contro l’Egitto, arrivando persino ad esprimere una qualche forma di sostegno a Al Sisi. Impegno che però non ha mantenuto. Infatti il Qatar ha lasciato capire di essere di nuovo contro la cancellazione dell’embargo degli armamenti alla Libia, in favore di una “soluzione politica”; sin dalla caduta di Gheddafi, il Qatar è stato accusato di collaborare con le milizie islamiche in Libia, fornire armi e finanziamenti.

La situazione è problematica
I paesi arabi stanno disperatamente cercando di trovare una soluzione ai due problemi che minacciano la loro stessa esistenza: da un lato lo Stato Islamico e le altre organizzazioni terroristiche, dall’altro le attività sovversive nella regione dell’Iran sciita – specialmente in Iraq, Siria e Yemen – con il programma nucleare vissuto come la più grande delle minacce. La posizione della Turchia è ambigua. Non affronta apertamente lo Stato Islamico e corteggia invece l’Iran per dimostrare la sua influenza nella regione.

C’è poi la curiosa posizione della corrente amministrazione americana, che dimostra una spiccata simpatia per i Fratelli Musulmani, mentre non è pronta a impegnarsi appieno contro lo Stato Islamico, apparentemente sembra pronta a concludere un patto con l’Iran che consenta agli ayatollah di costruire l’arma nucleare che tanto desiderano, trasformando così la Repubblica Islamica nel fattore dominante nel Medio Oriente.

Come si colloca l’Egitto? Non solo deve combattere da solo il terrorismo su due fronti, ma ha di fronte a sé una coalizione surreale, Qatar, Turchia, gli Usa e un numero di stati europei che danno alla Fratellanza enorme assistenza finanziaria, politica e una immagine positiva sui media. Alla ricerca disperata di una via d’uscita, il Cairo cerca nuovi alleati. Si è rivolto alla Russia, felicissima di questa occasione per rimettere di nuovo piede in Medio Oriente, concludere nuovi accordi, come la costruzione di un impianto nucleare e partecipare in nuovi massicci progetti economici. Anche un sostanzioso contratto di forniture di armamenti è in preparazione. Come è avvenuto con la Francia la scorsa settimana, con l’acquisto di 24 aerei da combattimento Rafale e una fregata, il tutto per la cifra enorme di cinque miliardi e mezzo dollari. Una forte spinta alla malaticcia economia francese e un colpo alle industrie aeree americane, ma più di ogni altra cosa una triste testimonianza del deterioramento delle relazioni tra due fedeli ex alleati.

Malgrado ciò l’Egitto non è pronto a volgere la schiena agli Stati Uniti. Sin dal trattato di pace con Israele, la cooperazione strategica militare tra Cairo e Washington è sempre stata a doppio binario: l’Egitto riceveva una forte assistenza militare, esercitazioni congiunte, e le navi americane attraversavano il Canale di Suez, mentre gli aerei da guerra americani solcavano liberamente i cieli egiziani mentre si dirigevano sull’Iraq durante la seconda guerra del Golfo. In più l’Egitto ha bisogno più che mai di investimenti e tecnologia americana, che finora gli sono state negate. E’ così che l’Egitto è obbligato a procedere da solo…

Zvi Mazel è stato ambasciatore in Egitto, Romania e Svezia. Fa parte del Jerusalem Center fo Public Affairs. I suoi editoriali escono sul Jerusalem Post. Collabora con Informazione Corretta


http://www.informazionecorretta.it/main.php?sez=90

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