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Zvi Mazel/Michelle Mazel
Diplomazia/Europa e medioriente
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L’Egitto sta per perdere il Nilo ? 07/06/2013

L’Egitto sta per perdere il Nilo ?
Commento di Zvi Mazel

(Traduzione di Angelo Pezzana)

Uscito oggi sul JERUSALEM POST, per leggere l'originale in inglese, cliccare sul link sottostante
http://www.jpost.com/Features/Front-Lines/Arab-World-Is-Egypt-losing-the-Nile-315765


Zvi Mazel                                     il Nilo

Una notizia sta sconvolgendo l’Egitto. Lo scorso 28 maggio l’Etiopia ha annunciato che sta per deviare il corso del fiume per permettere la costruzione di una diga sul Nilo Blu.
Erodoto diceva 25 secoli fa che l’Egitto era un dono del Nilo, e da allora nulla è cambiato. Nato nel cuore dell’ Africa, il fiume che si getta nel Mediterraneo dopo un percorso di 6.650 kilometri rappresenta la vita stessa dell’Egitto, ha permesso la nascita di una fiorente civiltà sin dai primordi della storia. In un paese che è la continuazione del Sahara, deserto al 96%, il Nilo irriga le terre che attraversa, raccoglie i semi dei limoni dalle sponde africane per depositarli lungo le valli che bagna, creando una zona fertile di 40.000 km2. Uscendo dalla capitale si divide in due parti che formano un delta dove si concentra la quasi totalità dell’agricoltura del paese. Su una popolazione di circa 85 milioni, quasi il 98% vive sulle sponde del Nilo.

Le sorgenti del Nilo

Da sempre l’Egitto considera il Nilo di sua esclusiva appartenenza, rifiutandosi di cederne nemmeno una piccola parte al Sudan, il vicino stato arabo che a lungo era stato parte dell’impero egiziano. Un accordo firmato nel 1929, quando i due paesi e gran parte dell’Africa erano sotto la dominazione inglese, attribuiva all’Egitto 48 miliardi di metri cubi dei 58 che ogni anno si riversano nel fiume, mentre al Sudan ne spettavano 4. L’Egitto aveva il diritto di controllo,  che  proibiva ai paesi africani di costruire dighe.  In base a questo accordo  l’Egitto dispone di una missione permanente di ingegneri nelle vicinanze del Lago Vittoria, dove nasce il Nilo Bianco. Nel 1959 l’accordo venne emendato per attribuire all’Egitto 55.5 miliardi di metri cubi e al Sudan 18.5, che rappresentavano l’87% delle precipitazioni annuali. Il resto era diviso tra i paesi dell’Alto Nilo, Etiopia, Tanzania, Uganda, Burundi, Kenya e Congo. L’Egitto era poi autorizzato a costruire la diga di Assuan e una riserva – il lago Nasser- di una capacità di 168 miliardi di metri cubi.

Grazie alla diga, non si sono più verificate inondazioni che devastavano la regione del Cairo e il Delta, grandi quantità di acqua erano disponibili per consumo e l’irrigazione, mentre l’elettricità prodotta dalla diga arrivava a 2100 megawatt. L’Egitto, che è ancora oggi un paese essenzialmente agricolo, è incapace di programmare un futuro privo dell’accesso libero e continuo alle acque del fiume.
Ma in 50 anni l’Africa è molto cambiata e i paesi divenuti indipendenti dell’Alto Nilo hanno sempre di più bisogno d’acqua, per la popolazione che cresce, per l’agricoltura, per l’industria e per la produzione di elettricità.

Da almeno dieci anni  premono sull’Egitto perchè discuta il problema. Ma l’Egitto non solo si basa sempre  sui vecchi accordi per impedire che possano trarre vantaggi dal fiume lungo il quale altri pese vivono, ma esercita anche pressioni per dissuadere la Banca Mondiale dal finanziare progetti che riguardino il Nilo, minacciando più o meno apertamente i paesi interessati, il che aggrava la situazione.

I paesi dell’Alto Nilo decisero perciò nel 2010 di dare vita, durante una conferenza a Sharm el-Sheik , chiamata « Trattato di Entebbe », a un progetto di cooperazione per grandi linee  fra tutti paesi situati lungo il percorso del Nilo per rispettare in maniera più equa i bisogni di tutti.
Ma l’Egitto si rifiutò di discuterlo, considerando ancora validi gli accordi del 1929 e 1959. Gli altri paesi decisero allora di ratificare il « Trattato di Entebbe « , prevedendone l’ entrata in vigore entro l’anno. Nè il governo Mubarak, nè quello successivo della Giunta Militare, si sono mostrati disposti alla discussione,  così i paesi africani stanno continuando a pianificare la costruzione delle dighe indispensabili al loro sviluppo.

La crisi riguarda oggi l’Etiopia, dove il Nilo Blu – che fornisce l’85% dell’acqua – ha la sorgente. E’ il paese più grande della regione e la sua popolazione sorpasserà quella dell’Egitto nei prossimi decenni.  Addis Abeba progetta la costruzione di diverse dighe, la più importante è quella chiamata «  Rinascimento », che potrà contenere  più di 200 miliardi di metri cubi e che fornirà 6.000 megawatt di elettricità.  L’intransigenza  egiziana non impressiona l’Etiopia, che prosegue la sua strada.

L’annuncio dello sbarramento temporaneo del fiume della settimana scorsa – poche ore dopo l’incontro tra il presidente egiziano e il primo ministro etiope – ha sortito l’effetto di un tuono. Prima di tutto l’offesa, perchè  Morsi  ne era stato tenuto all’oscuro, poi perchè è la stessa esistenza dell’Egitto a venire minacciata. L’Etiopia ha un bel dire che le quantità d’acqua dell’Egitto non subiranno modifiche,  che la diga comincerà a funzionare non prima del prossimo anno e che raggiungerà il pieno funzionamento solo nel 2017,ma gli egiziani non ci credono. Sono convinti che la riserva rallenterà la portata del fiume. Il consumo individuale di acqua in Egitto è già sceso a 759 metri cubi per anno, molto al di sotto del minimo fissato dall’Onu, che è di 1.000 metri cubi.

Il paese non è ancora nel panico, ma l’inquietudine cresce. Le presidenza e i portavoce ufficiali diffondono commenti contraddittori,in alcuni si dichiara che non verrà tollerato alcun attacco all’ acqua, in altri che è troppo presto per giudicare l’impatto della costruzione della diga e che occorre attendere le conclusioni della commissione tripartita, formata da esperti dell’Egitto, Sudan e Etiopia. Queste conclusioni della scorsa settimana sono ora oggetto di studio, mentre altre verifiche potranno essere giudicate necessarie. Ma la classe politica ha fretta. Alcuni chiedono una posizione più rigida di fronte all’Etiopia, altri verso i paesi situati sulle sponde del fiume. C’è chi chiede un’azione militare o la distruzione della diga. Hamdeen Sabahi, leader del partito nasserista e già candidato alla presidenza, propone sanzioni contro l’Etiopia, arrivando a chiedere il divieto di passaggio delle navi etiopi nel Canale di Suez,  una misura che andrebbe presa anche nei confronti di Stati Uniti, Italia e Israele, « colpevoli » secondo lui di avere finanziato il progetto del Canale.
Al che la nipote di Nasser, docente di Scienze Politiche, replica sottolineando che in base al trattato di Costantinopoli del 1888, il libero passaggio nel Canale deve essere garantito in tempo di pace come di guerra ; una violazione di questo trattato avrebbe gravi ripercussioni per l’Egitto e per la navigazione mondiale. Il ministro dell’ambiente respinge ogni ricorso alla forza, dicendo che c’è ancora tempo per negoziare, aggiungendo però che la mancanza d’acqua oggi in Egitto è di 7 miliardi di metri cubi, cifra in aumento. La popolazione è prevista in 150 milioni nel 2050, e il deficit arriverà a 21 miliardi. Un ex ministro dell’agricoltura ha detto che costruendo la diga è come se gli etiopi avessero schierato le loro forze armate contro l’Egitto.

Per rendere ancora più delicata la situazione, il Sudan, alleato tradizionale dell’Egitto per quanto riguarda il problema acqua, pare sia arrivato alla conclusione che la diga non avrà per lui un impatto negativo, potrà invece rappresentare una manovra destinata a spingere l’Egitto ad avere più flessibilità per quanto riguarda il conflitto che contrappone i due paesi nei confronti dei vasti territori di Halayeb et Shalatan sul Mar Rosso. Va ricordato che il Sudan beneficia di forti preripitazioni annuali, per cui ha buone riserve d’acqua, mentre l’Egitto dipende totalmente dal Nilo.

Come è abitudine in Egitto, Israele viene accusato di « sobillare » Addis Abeba contro il Cairo e di « gonfiare » le cifre del bisogno di acqua in Etiopia.. in base all’accordo di assistenza tecnica in materia agricola firmato con quel paese. L’Egitto « dimentica » che pure lui ha benegficiato di considerevole assistenza negli anni ’80 e ’90, e che è grazie alla tecnologia israeliana che oggi in Egitto sulle terre sabbiose del deserto crescono frutta e verdura. Gli egiziani si rifiutano di ammettere che è il sistema di irrigazione goccia a goccia e la grande varietà di frutta e legumi forniti da Israele ad assicurare il successo della loro agricoltura. Migliaia di giovani egiziani hanno partecipato a corsi di formazione al Kibbutz Bror Hail, dove hanno imparato a coltivare la terra fine del deserto risparmiando l’acqua.

Mentre la crisi era prevedibile, tenuto conto dei crescenti bisogni degli altri paesi lungo il Nilo, l’Egitto non ha mai fatto nulla durante gli anni del regime di Mubarak per cercare un compromesso che producesse cooperazione. L’opposizione era inesistente, la stampa, imbavagliata, non ha mai sollevato il problema nè ha pubblicato indagini che avrebbero potuto contribuire a informare la pubblica opinione, studi che il regime considerava « pericolosi ».

Il paradosso è che il bacino del Nilo riceve ogni anno precipitazioni che superano 1600 miliardi di metri cubi d’acqua, dei quali solo 85 miliardi arrivano al fiume, un parte evapora mentre si formano delle paludi che rallentano il corso del Nilo. Uno sforzo concertato di tutti i paesi attraversati dal Nilo, finanziato dalla Banca Mondiale, potrebbe quindi accrescere notevolmente la portata del fiume. Malgrado fosse urgente, nulla è stato fatto. L’Egitto si rifiuta di guardare in faccia alla situazione e si rifiuta di negoziare, e la sua diplomazia non conta più nulla. Ora che il paese è in crisi, minacciato da un disastro agricolo che potrebbe trasformarsi in carestia, si renderà conto infine dell’urgenza  ? L’Egitto sarà capace di accettare il fatto che delle trattatice che portino ad una soluzione accettabile, che tenga conto dei bisogni legittimi di tutti i paesi del Nilo rivestono una necessità vitale ?

Zvi Mazel è stato ambasciatore in Egitto, Romania e Svezia. Fa parte del Jerusalem Center fo Public Affairs. Collabora con Informazione Corretta


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