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Zvi Mazel/Michelle Mazel
Diplomazia/Europa e medioriente
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L’Egitto e la ‘Colonna di Nuvole’ 16/11/2012

L’Egitto e la ‘Colonna di Nuvole’
Commento di Zvi Mazel

(Traduzione di Angelo Pezzana)


Zvi Mazel                      Mohamed Morsi

L’Egitto non ha perso tempo nell’adottare ritorsioni in seguito all’uccisione di Ahmaed Jabari, l’uomo forte di Gaza. L’ambasciatore egiziano in Israele è stato richiamato al Cairo, sia per consultazioni e senza definire la data del ritorno, mentre l’ambasciatore israeliano è stato convocato al Ministero degli Affari Esteri per ricevere una protesta ufficiale.  Nello stesso tempo il Presidente egiziano ha chiesto al Segretario Generale della Lega Araba di indire una riunione urgente dei ministri degli esteri arabi per discutere ciò che ha definito  la “ criminale aggressione israeliana” a Gaza, dando istruzioni al proprio ambasciatore alle Nazioni Unite di chiedere una immediata riunione del Consiglio di Sicurezza. Morsi ha intrapreso i soliti passi diplomatici per dimostrare la sua rabbia dopo l’azione israeliana, in un modo  cauto,però, almeno per ora,  senza andare oltre. Non vi sono state richieste di interrompere le relazioni, nessuna  minaccia al trattato di pace. Ha chiesto agli Stati Uniti di fare pressioni su Israele affinchè “ interrompa l’aggressione”; l’America ha però detto chiaramente che Israele ha diritto a difendersi.

L’Egitto non ha nessuna ragione valida per dare inizio a un ulteriore deterioramento delle relazioni con Israele, che hanno toccato il punto di rottura, dalla elezione di un presidente che non se la sente nemmeno di pronunciare il nome “Israele”. Oggi non vi sono contenziosi fra i due paesi, e nulla è cambiato tranne il fanatismo musulmano e il sostegno cieco per i palestinesi. Morsi sa benissimo chi ha dato inizio a questa guerra – e anche le precedenti – ma sa anche che la solidarietà arabo-musulmana richiede una “ risposta egiziana conveniente”, per dimostrare alla pubblica opinione egiziana e araba che i Fratelli Musulmani mantengono salda la loro tradizionale ostilità verso Israele. Il Presidente egiziano deve dimostrare che sta facendo di più del predecessore Mubarak, che aveva richiamato molte volte il proprio ambasciatore durante l’operazione “Pace in Galilea” durante la seconda intifada e in altre occasioni.  Il richiamo dell’ambasciatore è diventato una routine, perdendo ogni efficacia.  Se non succede qualcosa di drammatico, è probabile che l’Egitto non farà ulteriori passi per mettere in pericolo le relazioni tra i due paesi.  La cooperazione per quanto riguarda il terrorismo – l’unica finora che funzioni -  prosegue. Nello stesso tempo, però, nelle dimostrazioni di massa in piazza Taharir ci saranno proteste anche violente contro Israele e il “sionismo”. La Guida Suprema della Fratellanza si aspetta che almeno un milione di persone partecipino ad una Marcia dopo la preghiera del venerdì nelle moschee. Non è mancato all’appello lo sceicco Al Azhar, per dire che il suo odio per Israele è forte quanto quello dei Fratelli.

In ogni caso Morsi non ha motivi per incoraggiare l’estremismo, a meno che non intenda ipotecare il futuro dell’Egitto al fanatismo islamico. Il paese non è mai stato in una condizione peggiore e la gente perde sempre più fiducia.  Morsi non sembra capace di avere a che fare con enormi problemi economici, non è capace di trovare una soluzione allo sciopero dei medici,  mai verificatosi prima . Malgrado i suoi sforzi la redazione della costituzione non è ancora pronta. Dopo cinque mesi dalla sua elezione, va detto senza timore di smentita,  il presidente e la Fratellanza non sono in grado di presentare un programma che affronti le drammatiche situazioni economiche.  Morsi procede alla cieca, presenta un progetto dopo l’altro, come la chiusura anticipata dei negozi e dei bar per risparmiare elettricità, provocando  proteste fra i negozianti e gli stessi clienti. Parecchi scioperi indeboliscono l’economia, mentre nel paese i leader non sanno che cosa fare. Chi chiede le dimissioni del governo, le forze liberali e laiche si oppongono alla costituzione in arrivo, redatta dalle forze islamiche e che imporrà la Shari’a. Figure rispettabili come El Barade e Amr Moussa  hanno dato le dimissioni  dall’Assemblea Costituente.

Il fatto è che Morsi ha bisogno di un confine tranquillo con Israele e che continui la cooperazione sulla sicurezza per affrontare  il terrorismo nel Sinai e la situazione economica. Si direbbe che il presidente egiziano abbia fallito nel realizzare un accordo con Hamas, che avrebbe posto fine all’invasione dei terroristi jihadisti nella penisola.  L’esercito non riesce a sconfiggere il terrorismo islamico nel Sinai e viene esso stesso attaccato; ogni giorno le stazioni di polizia vengono assalite, così come i blocchi stradali  e le pattuglie dell’esercito. Per cui Morsi sta cercando di aprire un dialogo con gli jihadisti a Gaza per arrivare a un compromesso…

Questa crisi arriva in un momento scomodo per il presidente egiziano, che cerca disperatamente di restaurare l’ordine nella penisola.  Non può obbligare Hamas – che d’altra parte è una propaggine dei Fratelli Musulmani – ad accettare un compromesso, eppure deve trovare una soluzione senza perdere la faccia.  Mentre pesanti critiche vengono rivolte a Israele, è probabile che violente discussioni  avvengano con Hamas, che forse comincia a capire di avere superato il limite e di  pagarne il prezzo. Morsi ha richiamato in capo dell’intelligence che si trovava in Turchia e gli ha dato il compito di fare la spola tra Hamas e Israele.  C’è da sperare che una soluzione venga trovata prima o poi, con Hamas che riconosca, senza che questo intacchi il suo orgoglio, quanto Israele abbia patito abbastanza. Dato che l’atmosfera è molto compromessa e la tensione così alta, c’è sempre il rischio che la ragione ceda il passo alle passioni.

Zvi Mazel è stato ambasciatore in Egitto, Romania e Svezia. Fa parte del Jerusalem Center fo Public Affairs. Collabora con Informazione Corretta


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