Riduci       Ingrandisci
Clicca qui per stampare

 
Zvi Mazel/Michelle Mazel
Diplomazia/Europa e medioriente
<< torna all'indice della rubrica
Egitto-Usa: gli accordi in fumo 05/02/2012

Egitto-Usa: gli accordi in fumo
analisi di Zvi Mazel

(Traduzione di Angelo Pezzana)

Questo articolo esce in contemporanea sul Jerusalem Post


Zvi Mazel                                Il tempo che fu

 Dopo la caduta di Mubarak, le relazioni tra Egitto e Stati Uniti si sono degradate, anche se Washington rifiuta di ammetterlo pubblicamente. Fino a un anno fa l’America non aveva alleato più fedele nel mondo arabo, l’Egitto era il punto di riferimento nella lotta contro l’asse del male guidato da Teheran. Questa forte alleanza strategica era tenuta in piedi dai milioni di dollari che gli americani versavano ogni anno in base agli accordi di pace tra Israele e Egitto. Relazioni militari privilegiate
Nel 2010 l’Egitto ha ricevuto un miliardo e trecento milioni di dollari quale assistenza militare, e 250 milioni supplementari per scopi civili. Ufficiali egiziani studiano e seguono corsi in America. Ogni due anni gli eserciti dei due paesi partecipano a delle manovre comuni denominate “Bright Star”. Con il passere degli anni, anche altri eserciti del mondo arabo e della regione mediorientale avevano partecipato alle manovre, rinforzando così il ruolo di leader dell’Egitto nella regione. Oggi è tutto finito. La pace con Israele e le relazioni privilegiate con gli Stati Uniti sono ai minimi termini. Subito dopo l’inizio della rivoluzione, il nuovo ministro degli esteri, Nabil at Arabi, eletto poi Presidente della Lega Araba, dichiarava che “l’Egitto rivoluzionario non aveva nemici” e che si proponeva di riprendere il dialogo con l’Iran, vedendo se era il caso di modificare il trattato di pace con Israele. Dopodichè, con il totale sostegno del Consiglio Superiore delle Forze Armate, furono presi contatti con Hamas, che è nella lista delle organizzazioni terroriste , sia per gli Usa che per la UE. Amr Moussa, già capo della Lega Araba e oggi candidato alla Presidenza, e Mohamed Al-Baradei, che ambirebbe anche lui alla stessa carica, sostengono che va rivisto il trattato di pace per verificare se è conforme agli interessi dell’Egitto. Cosa che non impedisce a entrambi, come ad altre personalità politiche e militari, di affermare che gli impegni internazionali verranno rispettati. I Fratelli Musulmani
Quanto ai Fratelli Musulmani, i quali hanno vinto, insieme ad altri partiti islamici, i tre quarti dei seggi parlamentari, si lasciano andare a dichiarazioni oscure e contraddittorie, anche se scaltre, su quanto vorranno fare dopo la proclamazione del nuovo governo. Dovranno decidere quali rapporti avere con l’Iran, visto che i contatti si sono subito interrotti, dopo che Nabil el Arabi si era reso conto che Teheran non aveva nessuna intenzione di cambiare politica ed era sempre una minaccia per l’Egitto ‘rivoluzionario’. La confraternita, proibita sotto Mubarak, aveva rapporti con i mullah iraniani e incoraggiava Hamas ad avere legami con l’Iran. Come si comporterà adesso ? L’America è inquieta. Le forze militari trasmetteranno il potere senza problemi, rientreranno nelle caserme, lasciando ai Fratelli Musulmani la guida del paese verso quale direzione ? Dobbiamo aspettarci un ritorno alla violenza, come gli avvenimenti dei giorni scorsi lasciano presagire ? E’ sempre più chiaro che Washington non può più fare affidamento sull’Egitto. Ci sono contatti con i Fratelli, ma senza alcun risultato. “Bright Star” e le manovre congiunte sono sospese. In questo frangente, le relazioni tra l’Egitto e Israele, che erano già fredde, lo sono diventate ancora di più, dal freddo al ghiaccio, potremmo dire. Certo, la cooperazione fra i due paesi nella lotta contro il terrorismo continua alla meno peggio, ma è opportuno chiederci se l’Egitto, che fa ben poco per aiutare Hamas e Anp ad una riconciliazione, abbia veramente l’intenzione di bloccare il contrabbando di armi, sempre più sofisticate, verso Gaza. Anche perché la pioggia di armi e munizioni provenienti dal Sudan, e adesso anche dalla Libia, si sta trasformando in un diluvio. Le organizzazioni terroriste sono la legge nel Sinai, mentre il Cairo è impotente. In America cresce la frustrazione. Come salvare l’alleanza e nello stesso tempo condannando gli attacchi ai diritti umani ? Ci sono stati più di sessanta morti e migliaia di feriti dalle forze dell’ordine durante la brutale repressione delle manifestazioni, comprese quelle dei copti che erano scesi in strada per protestare contro le violenze dei musulmani e l’incendio delle loro chiese. Hillary Clinton ha un bel da ingiungere alla giunta militare di non abusare della forza e di trasferire il potere alle autorità civili, niente di tutto ciò è stato fatto.
ONG americane
E’ in questa tesa atmosfera che nello scorso dicembre si è verificato l’assalto al Cairo contro 17 ONG finanziate da gruppi stranieri. I documenti sono stati sequestrati e gli uffici chiusi. Tre di queste ONG erano legate direttamente agli Usa e ai due partiti principali: l’Istituto Democratico Nazionale, l’Istituto Repubblicano Internazionale e Freedom House, tutte istituzione dedite alla promozione della democrazia e al rispetto dei diritti umani. Apparentemente, operavano infrangendo la legge egiziana, che impone alle Ong che ricevono finanziamenti dall’estero di dichiararlo. In base a questo, rischiano di essere condannate alla fine dell’inchiesta in corso. Non è servito a nulla l’intervento del Dipartimento di Stato, così come il fatto che undici senatori si siano rivolti al Maresciallo Tantawi. Questi senatori si allora rivolti alla Commissione Affari Esteri e alla Commissione Finanza del Senato, chiedendo di fare pressioni sulle autorità egiziane affinché accettino di registrare le Ong, permettendo quindi la ripresa delle loro attività, aggiungendo che un rifiuto, come eventuali misure contro i membri delle Ong, sarebbe visto con estrema preoccupazione e potrebbe provocare una sospensione dell’aiuto americano. Dal Cairo non vi è stata alcuna reazione. Ecco allora che i lobbisti americani, finanziati per rappresentare gli interessi della classe militare egiziana a Washington, hanno preso una decisione che non ha precedenti, mettere un termine al contratto firmato nel 2007, che garantiva ogni anno un milione di dollari. Ma anche qui, nessuna reazione. Al contrario, agli impiegati delle 17 Ong è stato impedito di lasciare il paese. I sei cittadini americani, tra loro anche il figlio del Ministro dei Trasporti, si sono allora rifugiati nell’ambasciata americana del Cairo. Il senatore John McCain, che dirige l’Istituto Repubblicano Internazionale, ha chiesto alle autorità egiziane di cessare di tormentare il personale delle Ong, mettendo fine a una inchiesta da lui definita “ingiustificata”. La settimana scorsa è stato il Segretario della Difesa Leon Panetta che ha telefonato in persona al maresciallo Tantawi, chiedendogli di lasciar partire gli americani: senza alcun successo, per ora.
Minimizzare la crisi
Le due parti tentano di minimizzare l’importanza della crisi. Il Ministro egiziano dell’Industria e del Commercio, di recente in visita negli Usa, parla di un “ affare puramente giudiziario “. Per Fawzia Abdelnaga, Ministro per la Pianificazione e la Cooperazione internazionale, i due paesi ritengono che i legami che li uniscono sono più importanti della crisi delle Ong. Mark Toner, portavoce del Dipartimento di Stato, ha dichiarato che il processo politico in Egitto continuava, aggiungendo che impedire a dei cittadini americani di lasciare il paese era preoccupante. E’ fuor di dubbio che questa vicenda ha incrinato l’immagine dell’Egitto negli Stati Uniti. Più grave ancora, ha rivelato che la giunta militare non ha paura di affrontare un paese che finora era stato il suo migliore alleato. Eppure l’Egitto ha bisogno più che mai dell’aiuto americano, della sua tecnologia e dei suoi investimenti, così come ha bisogno dell’assistenza americana per ottenere prestiti e sovvenzioni dalle diverse organizzazioni internazionali. Il Presidente Obama ha discusso di questi problemi in una conversazione telefonica con Tantawi il 20 gennaio scorso. L’Egitto si aspetta un prestito di 3.2 miliardi di dollari dal Fondo Monetario Internazionale. Obama, dal canto suo, ha ribadito la sua preoccupazione a proposito delle Ong, senza però ricevere alcuna risposta soddisfacente. Va però detto che se le Ong non erano registrate, non era per loro volontà, perché avevano presentato tutti documenti necessari ancora sotto Mubarak, senza mai ricevere una risposta, per questo era stata considerata una tacita risposta. L’attacco senza preavviso dello scorso dicembre indica dunque che l’esercito non ha esitato a prendere una misura che avrebbe provocato una crisi con gli Stati Uniti. Un fatto che sorprende, tenuto conto del bisogno di aiuto americano che ha l’Egitto. Eppure non ci sono segnali che indichino una possibile soluzione. Le autorità egiziane ripetono che la giustizia farà il suo corso sino alla fine. Ma il Congresso americano, che ha approvato gli aiuti all’Egitto per il 2012, aveva messo la condizione, per il trasferimento dei fondi, che ci fosse un passaggio dei poteri alle autorità civili, comprese le libere elezioni, la libertà di parola e il rispetto della libertà di associazione e di culto.
Rottura possibile
In questi giorni si trova a Washington una delegazione egiziana per discutere gli aiuti militari per il 2013. E’ un incontro di routine, ma potrà essere l’occasione per un chiarimento. Il Presidente Obama, che aveva abbandonato senza problemi il suo vecchi alleato, ordinando a Mubarak di andarsene, e così facendo ne aveva affrettato la caduta, aveva forse creduto di guadagnarsi così la riconoscenza del popolo egiziano. Si è sbagliato, e di molto. Mai l’immagine dell’America era stata così negativa. L’immensa maggioranza che ha causato l’arrivo di una marea islamista sul parlamento egiziano, dimostra quanto l’Egitto non sia maturo per una democrazia, e guardi con diffidenza al paese che è il simbolo stesso della democrazia. Per altro, la giunta militare si è dimostrata tanto dittatoriale quanto Mubarak; la discriminazione contro i copti è ancora più forte e la politica estera dell’Egitto sta per cambiare, tre considerazioni che sprofondano l’America nella confusione. Oggi il Cairo non si preoccupa nemmeno di rispondere alle domande inquiete di Washington sui suoi cittadini. Si deve pensare che l’Egitto, con i Fratelli Musulmani in arrivo, si allontanerà deliberatamente dal suo fedele alleato di ieri ?

Zvi Mazel è stato ambasciatore in Egitto, Romania e Svezia. Fa parte del Jerusalem Center fo Public Affairs. Collabora con Informazione Corretta


Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui