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Zvi Mazel/Michelle Mazel
Diplomazia/Europa e medioriente
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Egitto: collera e frustrazione 28/01/2012

Egitto: collera e frustrazione
Analisi di Zvi Mazel

(Traduzione di Angelo Pezzana)

Zvi Mazel                                      il Parlamento  egiziano

Gli egiziani hanno ricordato il primo anniversario della rivoluzione non con esultanza ma con una serie di manifestazioni burrascose. Lo scorso anno tutti gridavano ‘abbasso Mubarak, abbasso il regime’, reclamando libertà e democrazia, pieni di speranza, con la voglia di veder nascere un nuovo paese votato alla modernità e a un cambiamento economico. Son dovuti venire a più miti pretese. Mubarak è caduto ma il suo regime continua. Il Consiglio Supremo delle Forze Armate che dirige il paese è composto da uomini del passato regime, e ne mantengono le regole, senza alcuna intenzione di trasmettere il potere alle istituzioni civili recentemente elette. Con una circostanza aggravante, la situazione economica è sempre più grave.

 Al Cairo, Alessandria, Suez e in altre città piccole e grandi la gente delusa è scesa in strada lo scorso mercoledì 25 gennaio per chiedere che la rivoluzione vada avanti fino a raggiungere il suo scopo. Ha chiesto che i membri del passato regime vengano cacciati da tutte le amministrazioni pubbliche e che i responsabili della morte dei manifestanti siano puniti, che vengano messe in cantiere le riforme sociali ed economiche e, soprattutto, che il Consiglio Supremo si dimetta. Erano ben lontani dalla gioia e dall’unità dei primi giorni, quando nelle strade gli slogan inneggiavano all’unità fra esercito e popolazione. Oggi, al contrario, si chiede ai militari di andarsene. Un anno fa, giovani e islamisti pregavano insieme a piazza Tahrir, discutendo di cooperazione per un migliore avvenire, oggi quei giovani, insieme ai “blogger del 6 aprile”, che avevano acceso la fiamma della rivoluzione, sono impotenti di fronte all’irrompere di un’onda islamista inaspettata che minaccia di riportare il paese ai tempi di Maometto.

Un anno fa musulmani e copti sfilavano sotto gli stessi striscioni e croce e mezzaluna erano l’una accanto all’altra, oggi, dopo che decine di copti sono stati massacrati dai musulmani, le loro chiese saccheggiate e date alle fiamme senza che l’esercito sia intervenuto, i copti sfilano da soli per chiedere l’eguaglianza dei diritti. Il segno visibile della divisione, in questa piazza diventata emblematica, è la presenza di almeno sette comizi, ciascuno separato dall’altro. I giovani del 6 aprile e i militanti dei Fratelli Musulmani sono venuti alle mani, come hanno fatto altri giovani con i sostenitori della giunta militare. Famigliari e amici degli 850 martiri della rivoluzione erano là per chiedere la testa di Mubarak e dei suoi figli; non lontano da loro famigliari e amici delle vittime della repressione selvaggia dei manifestanti da parte dell’esercito e della polizia dopo la caduta del rais, reclamavano l’allontanamento immediato della giunta e la testa del Maresciallo Tantawi.

L’Egitto è preda di una immensa confusione. Alla fine di un lungo processo elettorale, il Parlamento è formato per circa il 72% da estremisti islamici: 47% sono Fratelli Musulmani, 25% salatiti. Ormai la componente islamista detiene il monopolio del potere. Era questo che volevano gli egiziani ? Sostituire una dittatura laica corrotta con una dittatura religiosa che rischia di essere ancora peggiore ? Certo, va detto che la grande maggioranza degli egiziani non era stata preparata alla democrazia e ai suoi valori. E’ evidente che abbiano abbracciato l’islam, gli era famigliare ed era la base della loro cultura. Da anni i Fratelli Musulmani ripetevano che l’islam era la soluzione.

Quando scoppiò la rivoluzione, sulla scena politica non c’era alcun partito liberale in grado di mettersi alla testa di un movimento orientato alla democrazia e allo sviluppo. I nuovi partiti nati dai movimenti giovanili rivoluzionari, non hanno avuto il tempo per farsi conoscere e sono stati sconfitti e umiliati alle elezioni e non avranno alcuna influenza nel Parlamento. Ci vorrà moltissimo tempo prima che si formino dei partiti democratici capaci di attrarre gli elettori.

I Fratelli Musulmani e i Salafiti si preoccupano adesso di rassicurare l’opinione pubblica nazionale e internazionale. Dichiarano di essere pragmatici e che non imporranno il loro islam. Bei discorsi, ai quali nessuno crede. Il programma politico dei Fratelli è impostato a una ideologia islamista estrema molto chiara. Erano 80 anni che aspettavano questa vittoria. Hanno resistito all’oppressione e alla repressione, riuscendo a creare una vasta rete di mutuo soccorso verso i più bisognosi. Ora che hanno vinto e hanno conquistato il Parlamento in libere elezioni, perché dovrebbero rinunciare alla ideologia che è la loro stessa ragion d’essere ?

 Dovranno senza dubbio muoversi con prudenza, cominciare dalla situazione economica, ma la loro Guida Suprema, Mohammed Badi’e, l’ha detto chiaramente la settimana scorsa in un messaggio indirizzato ai membri del movimento: si stanno per realizzare gli obiettivi del loro fondatore Hassan el Banna, un “governo giusto e vero, capace di realizzare il Califfato nel mondo intero”. In altri termini, forti del loro successo, i Fratelli non rinunceranno ai loro obiettivi.

Ma la partita è tutt’altro che chiusa. I Fratelli intendono chiedere alla giunta militare di non legiferare più con i decreti, come è stato fatto da dopo la caduta di Mubarak, ma di trasmettere i loro poteri al Parlamento. Dal suo canto, l’esercito ha dichiarato in modo forte e chiaro prima delle elezioni, che non abbandonerà le proprie funzioni prima della promulgazione di una nuova costituzione e relativa elezione di un nuovo presidente. Il tempo necessario per orientare la redazione della nuova costituzione e influenzare la scelta del presidente. Sarà un consiglio, formato da 100 membri della Camera Bassa, già eletta, e della Camera Alta, da eleggere in febbraio, che dovrà redigere la costituzione, da sottomettere poi a un referendum. La scelta dei membri di questo consiglio non sarà facile, i Fratelli faranno di tutto per ottenere una costituzione risolutamente islamista, limitando le prerogative del presidente a vantaggio del Parlamento dove sono la maggioranza; si passerà quindi da un sistema presidenziale a uno parlamentare, così avranno nelle loro mani il potere sull’intero Egitto.

Quello che gli egiziani si chiedono è come si comporterà la giunta. Cercherà di mantenere il potere a qualunque costo ? Cercherà di assicurarsi un’immunità totale, non solo per quanto concerne le responsabilità dei suoi membri giudicati complici della corruzione del regime Mubarak e quindi tali da poter essere portati in tribunale, ma anche per le accuse riferite alla brutale repressione che ha causato una sessantina di morti e migliaia di feriti. In un paese dove le dicerie fanno parte della vita politica, corre voce che i Fratelli Musulmani avrebbero dato ampie assicurazioni ai militari in cambio del passaggio dei poteri. In ogni caso, la giunta avrebbe comunque dei problemi a mantenere lo status quo: le manifestazioni diventerebbero così vaste da presagire una guerra civile.

 Ma le agitazioni politiche non possono nascondere l’enormità della crisi economica. Nel 2011 la crescita è stata uguale a zero. L’emorragia dei capitali fuggiti all’estero è catastrofica. Uomini d’affari e industriali di primo piano o sono già fuggiti o sono in prigione. La produzione e l’esportazione sono colpite da continui scioperi. Il turismo, la risorsa più importante, è in caduta libera. Il condotto che trasporta il gas egiziano verso Israele e la Giordania è stato sabotato almeno una ventina di volte, causando all’Egitto danni per centinaia di milioni di dollari. Le trattative in corso con i paesi arabi produttori di petrolio, gli Usa e il Fondo Monetario Internazionale per ottenere dei prestiti, sono a un punto morto, perché l’Egitto si rifiuta di dar corso a riforme, indispensabili per ottenere i prestiti. Senza questi aiuti il paese ben presto non potrà più importare quei prodotti essenziali di prima necessità da distribuire ai più bisognosi, circa il 40% della popolazione. Se dovesse succedere, assisteremo alla rivoluzione degli affamati.

Rimane il problema della relazione con Israele. Finora i Fratelli Musulmani si sono contraddistinti con dichiarazioni contrastanti. Se ne deduce che, almeno nei primi tempi, il trattato di pace non verrà toccato, al fine di continuare a ricevere gli aiuti americani e non urtare l’opinione pubblica internazionale. Tuttavia è prevedibile una attività in sordina che miri a ridurre al minimo il dialogo e gli scambi economici fra i due paesi, per arrivare alla fine a svuotare di ogni contenuto l’accordo. Nel frattempo l’Egitto darà ogni appoggio a Hamas, fornendogli armi e strutture militari. Una prospettiva pericolosa per Israele. Si può ancora sperare che il pragmatismo e la necessità di mobilitare tutti gli sforzi per rimettere in piedi l’economia possano mettere un freno a questo scenario minaccioso, è possibile, ma intanto è meglio prepararsi al peggio.


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