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Zvi Mazel/Michelle Mazel
Diplomazia/Europa e medioriente
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Minoranze e Primavera araba: la grande separazione 23/12/2011

Minoranze e Primavera araba: la grande separazione
di Zvi Mazel

 (traduzione di Angelo Pezzana)
Pubblicato oggi su The Jerusalem Post

Zvi Mazel

L’onda d’urto che ha colpito il Medio Oriente non è il risultato di quella che è stata chiamata la primavera della speranza, quanto piuttosto il fallimento degli stati arabi nel cercare di creare un linguaggio comune capace di riunire differenti componenti al fine edificare società moderne nelle quali tutti fossero uguali.

Per secoli il Medio Oriente e il Nord Africa hanno rappresentato una vasta e amorfa entità islamica, governata da un califfo sotto la legge della sharia , una entità che ha generato spesso guerre civili fra dinastie, al potere o scomparse, attraverso sanguinosi crimini o colpi di stato. Negli ultimi cinque secoli Il Medio Oriente era parte dell’Impero Ottomano; il Sultano comandava da lontano, delegando il potere a minoranze musulmane etniche e religiose, senza creare loro problemi fin tanto che pagavano le tasse, anche se non erano esclusi i massacri e le islamizzazioni forzate.

Tutto ciò finì improvvisamente dopo la prima guerra mondiale. L’Impero Ottomano venne diviso in vari stati indipendenti, in base agli interessi nazionali dei paesi occidentali vincitori. I musulmani sunniti rappresentano la maggioranza del mondo arabo, ma i nuovi stati arabi si ritrovarono nel loro interno minoranze religiose etniche, alcune delle quali costituitesi da ben prima della nascita dell’islam. Come in Siria, governata da una minoranza alawita, alla quale si oppone una maggioranza sunnita. Il Barhein , con una minoranza sciita, è governato da sunniti. In Iraq, la minoranza sunnita che ha governato fino alla caduta di Saddam Hussein non è pronta a cedere il potere alla maggioranza sciita che ha vinto nelle ultime elezioni. Nel Nord Africa, i Berberi, che rappresentano un terzo della popolazione, non sono rappresentati e non hanno diritti. Dieci milioni di copti in Egitto protestano per le discriminazioni e le vessazioni che subiscono. Trenta milioni di curdi, sparsi in molti paesi, reclamano una autonomia nazionale se non addirittura l’indipendenza. I cristiani, perseguitati dappertutto, specialmente in Iraq, in decine di migliaia sono già emigrati.Alcune dozzine di gruppi minori si vedono negati i diritti e messa in pericolo la loro stessa esistenza.

 Quasi un secolo dopo essere risorti dalle ceneri dell’Impero Ottomano, gli Stati arabi non sono riusciti a coagulare questo mosaico di comunità etniche, nazionali e religiose a unirsi in nazioni dagli obiettivi e dalle aspirazioni comuni. Queste società sono state lacerate da discordie interne e esterne senza fine, discriminazioni politiche ed economiche, rivolte, guerre civili, colpi di stato militari, che hanno provocato almeno cinque milioni di morti, un numero enorme di feriti senza contare i rifugiati. Va da sé che questi avvenimenti hanno rappresentato un pedaggio pesante per quelle economie. Incapaci di mettervi riparo con soluzioni unitarie e di battersi per lo sviluppo dei loro paesi, i leader nazionali e locali hanno sprecato le loro energie per creare una fittizia unità araba, basata sull’islam o sul nazionalismo laico.

Sono due gli aspetti che connotano gli Stati arabi. I fautori dell’islam si battono per creare uno stato clericale che neghi i diritti alle minoranze non musulmane, cristiani, ebrei, bahai etc. rendendoli cittadini di serie B. Dall’altra parte vi sono le propaggini del forte nazionalismo arabo laico che si propone di fondare uno Stato formato da gente che condivide la medesima lingua araba e cultura, non importa quale sia l' origine etnica o religiosa. Questo fa si che le comunità cristiane si disperdano nel mondo arabo, considerandosi parte di questo mondo e quindi esserne integrati. Non è il caso di quelle minoranze, nazionali o religiose, che vogliono essere considerate indipendenti, non assimilate. Così i curdi e i berberi, che sono musulmani sunniti ma che aspirano all’autonomia, non potrebbero essere inclusi fra gli integrati, né lo sarebbero i copti egiziani che vogliono rimanere tali.

 Le prime costituzioni, redatte negli anni ’20 in Egitto, Siria e Iraq quando l’influenza francese e inglese era ancora molto forte, cercarono di dare ai cittadini eguali diritti, sebbene stabilissero che ognuno di questi paesi fosse parte del mondo arabo e che avrebbe lavorato per la sua unità, con l’islam quale religione ufficiale e la sharia la fonte di ogni legislazione. Ciò nonostante fu possibile, a chi non era un musulmano sunnita, diventare Primo Ministro: Boutris Ghali, un copto, in Egitto; Fares Khoury, un cristiano, in Siria, e in Iraq un certo numero di curdi e sciiti. Ma i due punti fermi di queste costituzioni – unità araba come obiettivo e l’islam come religione – non lasciavano molte speranze ai non arabi e alle minoranze non musulmane.

Negli anni ’50 e ’60 divenne chiaro che entrambe queste tendenze stavano velocemente perdendo terreno, non essendo riuscite a risolvere i problemi all’interno e all’esterno, neppure a promuovere una economia accettabile che tenesse conto delle masse, mentre aumentava la corruzione. Il fallimento degli eserciti arabi riuniti, per impedire la creazione dello Stato di Israele, fu vissuto come un colpo mortale e umiliante, dovuto a una leadership corrotta che annunciava una successione di colpi di stato militari in Egitto, Siria, Iraq, Libia e Sudan. Ovunque i nuovi capi proclamarono che avrebbero modernizzato i loro paesi , promosso l’economia e le riforme sociali, e che l’educazione sarebbe stata assicurata a tutti. Si capì subito che erano promesse che non si sarebbero potute mantenere.

 Una parte del problema era dovuta al fatto che nessuna minoranza si era sentita coinvolta nel cambiamento del paese. I leader che erano parsi illuminati si rivelarono dei dittatori, oppressori dei loro stessi popoli e in guerra con le popolazioni vicine. Allo stesso tempo, però, questi regimi militari auto-nominatisi laici non si dissociarono mai dall’islam, al contrario, sostennero l’educazione islamica per distrarre le masse dalle loro sconfitte militari e dalla grave situazione economica. Gli emigranti arabi che erano andati in cerca di lavoro in Arabia Suadita o negli Emirati, rientravano in patria indottrinati da un islam wahabita estremista appreso in quei paesi.

 Anni di repressione, povertà e profonda frustrazione sono esplosi in quella che viene ancora definita “Primavera Araba”, rendendo visibili a tutti le condizioni che opprimono le minoranze. Anche se è vero che i giovani che si sono riversati nelle strade per combattere i regimi corrotti chiedendo migliori condizioni di vita, non va dimenticato che hanno introiettato cultura islamica e nazionalismo praticamente dal giorno in cui sono nati. I principi democratici, quali eguaglianza per tutti - incluse donne e minoranze etniche e religiose – tolleranza e rispetto per la legge sono loro estranee.

Elezioni libere e senza brogli, non necessariamente portano a un governo democratico, come si è visto in Egitto, dove tradizione e religione potranno determinare sicuramenteil nuovo regime e la sua costituzione. Pare che, a questo stadio, minoranze e unità nazionale, non siano in agenda. La crescita dei Fratelli Musulmani e degli estremisti salafiti, che sempre di più attaccano i copti, non promette nulla di buono.

 Da un lato, il primo cambiamento porterà ovunque, quasi certamente, regimi islamici. Dall’altro, la rivoluzione sociale ed economica per la quale i giovani si erano battuti non può essere ignorata per sempre. Resta da vedere come se ne uscirà. I nuovi regimi cercheranno di migliorare soltanto le condizioni di vita dei sunniti e continueranno a discriminare le altre minoranze ? E queste minoranze, fatto egualmente importante, rimarranno passive oppure si ribelleranno reclamando i loro diritti ? Questi sono alcuni degli argomenti che saranno centrali nei prossimi anni, e che potranno sfociare in conflitti sanguinari e persino in guerre civili ancora più sanguinarie.

Zvi Mazel è stato ambasciatore in Egitto, Romania e Svezia. Fa parte del Jerusalem Center fo Public Affairs. Collabora con Informazione Corretta


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