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Diplomazia/Europa e medioriente
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L’Egitto spaccato a metà 27/11/2011

L’Egitto spaccato a metà
di Zvi Mazel
(Traduzione di Angelo Pezzana)

uscito oggi sul Jerusalem Post
http://www.jpost.com/MiddleEast/Article.aspx?id=247083


Tre distinte manifestazioni organizzate questo venerdì al Cairo riflettono la disastrosa situazione politica e sociale in Egitto dieci mesi dopo la caduta di Mubarak.
La prima, in piazza Tahrir, per chiedere che il Consiglio Supremo delle forze Armate (SCAF) deleghi i poteri immediatamente a un Consiglio civile.
La seconda, in Abassia, (un quartiere degradato nella parte nord della capitale N.d.T.) perché i militari continuino a governare fino alla fine del periodo di transizione.
La terza, organizzata dai Fratelli Musulmani (assenti alla manifestazione di piazza Tahrir), nella moschea Al Azhar, sotto a un vistoso striscione “ al Aksa libera” era diretta essenzialmente contro Israele.
Il significato delle parole dialogo e compromesso è ancora estraneo alla società egiziana, dopo un lungo periodo vissuto sotto dittatura. La colpa iniziale va allo SCAF che non è stato in grado di stabilire un dialogo tra le forze politiche e dividere con loro le decisioni da prendere. Tutto è stato deciso in segreto, senza tenere conto delle opposizioni, per esempio vietare gli scioperi e giudicare chi era stato arrestato per i disordini davanti a tribunali militari, dove più di 12.000 civili sono stati condannati.
Eppure lo SCAF ha intrattenuto un dialogo, non sempre facile, con i Fratelli Musulmani sin dal giorno della loro presa del potere, l’11 febbraio, nella convinzione che erano l’unico movimento significativo sulla scena politica, con i quali era possibile trattare un accordo. I Fratelli avrebbero facilitato la formazione di un nuovo governo dopo le elezioni, in cambio non avrebbero obiettato sulla presenza di ufficiali di alto livello appartenuti al partito di Mubark. E’ risaputo che almeno un terzo dell’economia egiziana è controllata dai leader militari, dal regime precedente a quello attuale, caratterizzata da una diffusa corruzione.
Questo dialogo è avvento in forma discreta e ha portato a una forma di cooperazione. I militari avrebbero modificato di poco la precedente costituzione e i Fratelli avrebbero votato questi cambiamenti, in accordo con i membri del passato regime.
Nel referendum tenutosi a marzo, queste modifiche furono approvate dal 77% degli elettori. I partiti laici si erano opposti, considerando questi cambiamenti irrilevanti e di nessun significato. Volevano una nuova costituzione, rinnovata nel suo insieme. Il che ha portato ad una lotta aperta tra religiosi e partiti laici.
Negli ultimi mesi i Fratelli hanno evitato di partecipare alla maggior parte delle manifestazioni di protesta organizzate dai giovani rivoluzionari e dai gruppi laici, perché il loro scopo è non rinviare la data delle elezioni, in modo da non permettere ai partiti laici di organizzarsi per ottenere un maggiore consenso popolare.
A un certo punto apparve chiaro ciò che lo SCAF avrebbe dovuto capire fin dall’inizio: l’obiettivo dei Fratelli Musulmani era la creazione di un regime islamico per imporre la Sharia. Una soluzione che i leader militari  non potevano accettare. Dopo tutto, durante gli anni di Mubarak, il loro compito era stato quello di combattere quel movimento e di sbarrare l’ingresso nell’esercito ai suoi militanti. Fu così che il dialogo ebbe termine nel sangue.
La crisi odierna è iniziata venerdì 18 novembre, dopo la dimostrazione organizzata dai Fratelli Musulmani per protestare contro la proposta di legge detta Aly Salmi – dal nome del proponente, il vice Primo Ministro- in nome e su richiesta dello stesso SCAF. Una legge che imbriglierà le regole della futura costituzione, relegando tutto il potere nelle mani dell’esercito, il solo a decidere i bilanci di spesa, così come l’unico a poter controllare il parlamento senza dover essere soggetto ai tribunali civili. Una legge di estrema importanza, per impedire che le alte sfere dell’esercito, coinvolte in atti di corruzione durante il regime di Mubarak, potessero essere rinviate a giudizio.
Questo era troppo. In un raro momento unitario, i partiti religiosi e laici si sono trovati uniti nel chiedere che l’esercito riconosca la supremazia delle istituzioni civili come in qualsiasi altra democrazia normale. Non era questo l’obiettivo della rivoluzione ?
Di fronte a questo schieramento unito e temendo nuove manifestazioni, l’esercito ha ceduto, consentendo a redigere una nuova proposta di legge, senza gran parte degli articoli contestati, rimaneva solo l’affermazione che l’esercito era responsabile davanti alle autorità civili e che la sua funzione era proteggere il paese.
Non venne comunque abolita la parte che delegava al presidente il “Consiglio Nazionale di Sicurezza”, il cui compito sarà quello di esaminare tutto ciò che riguarda l’esercito, incluso sicurezza e bilanci. Questo dava all’esercito gli strumenti per impedire ai Fratelli Musulmani di impadronirsi dell’Egitto. Altri articoli riguardavano la difesa dei diritti umani, un altro ostacolo all’instaurazione di un regime islamico.
I Fratelli Musulmani e i gruppi salafiti l’hanno giudicato uno stratagemma per assicurare all’esercito la difesa della natura laica del paese, come era avvenuto in Turchia con Ataturk.
Da qui la manifestazione di massa del 18 novembre. Non vi hanno partecipato i partiti laici, che registrano molti conflitti al loro interno. Da un lato temono la vittoria dei Fratelli nelle prossime elezioni e quindi l’arrivo di un regime islamico, ma non vogliono neppure uno statuto speciale per l’esercito. Dall’altro sanno di avere bisogno dell’esercito, perché solo con il suo aiuto si può evitare la fondazione di uno Stato islamico, ma si oppongono anche a una dittatura militare.
La grande manifestazione del 18/11 si è svolta in maniera pacifica, ma il mattino successivo giovani e salafiti sono tornati in piazza Tahrir per chiedere l’estromissione del maresciallo capo Tantawi, capo dello SCAF, dando inizio a violenti scontri. L’esercito ha voluto dare dimostrazione della propria forza ordinando alla polizia di evacuare la piazza. Negli scontri ci sono stati 40 morti e circa 3000 feriti. Nessuno si aspettava un simile spargimento di sangue, soprattutto dopo le dimissioni del governo, i ministri avevano dichiarato che non avevano più i poteri di intervento, e declinavano ogni responsabilità per quanto accaduto.
I Fratelli Musulmani, che non hanno partecipato alla protesta, hanno annunciato che non saranno nemmeno presenti a quella che i giovani organizzeranno per il venerdì successivo. Dopodichè il maresciallo Tantawi ha di nuovo fatto un passo indietro. In una dichiarazione alla televisione ha annunciato che le elezioni presidenziali, invece di tenersi come stabilito nel 2013, saranno anticipate al giugno 2012. Ha poi aggiunto di voler formare un nuovo governo che terrà conto del volere del popolo.
Il giorno dopo, vigilia della protesta di venerdì, chiamata “ milioni in marcia, ovvero l’ultima opportunità”, lo SCAF ha nominato Primo Ministro Kamal Ganzouri, 78 anni, politico di lungo corso e esperto economista, già Primo Ministro sotto Mubarak e figura di primo piano del vecchio regime, un invito ad alzare il livello delle proteste a piazza Tahrir.
Per calmare le acque, Ganzouri ha assicurato che formerà il nuovo governo attraverso il dialogo con tutte le forze politiche, inclusi i giovani rivoluzionari.
A questi livelli la situazione è a un punto morto.
In piazza Tahrir ci sono molti manifestanti che non se ne andranno via fino a quando ci sarà Ganzouri e finchè lo SCAF non passerà il potere a un Consiglio civile.
I Fratelli Musulmani e i partiti laici non hanno più fiducia nei militari, ma si rendono conto che adesso l’opzione è fra i militari e l’anarchia totale, per questo ancora chiedono le elezioni lunedì.
In un Egitto così pericolosamente diviso, la gente è sotto shock. I partiti sulla scena politica sono in una confusione totale, laici, islamisti, giovani rivoluzionari.
L’esercito non potrebbe cedere neppure volendo il potere, perché non esiste un organismo pronto a sostituirlo. Si parla di creare un comitato presidenziale civile, o delegarne la costituzione alla Corte Suprema, ma non c’è accordo sul modo, per cui è difficile vedere quale organismo, senza rappresentatività e senza reali poteri, possa mantenere legge e ordine e, nel contempo, assicurare la continuità politica nella attuale situazione caotica di oggi.
L’esercito rimarrà per garantire le prossime elezioni, cercando un dialogo il più possibile franco con tutte le forze politiche, mentre preparerà insieme a loro la nuova costituzione da lungo attesa.
Tutti insieme, uno sforzo che appare oggi quasi impossibile.


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