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Zvi Mazel/Michelle Mazel
Diplomazia/Europa e medioriente
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Sei mesi dopo la rivoluzione egiziana 04/09/2011

Sei mesi dopo la rivoluzione egiziana
Le difficili relazioni tra Egitto e Israele

di Zvi Mazel
(traduzione di Angelo Pezzana)

questo articolo esce oggi contemporaneamente su The Jerusalem Post e Informazione Corretta


Zvi Mazel

Sei mesi dopo la caduta di Mubarak, ciò che unisce le forze profondamente divise che mirano al controllo del potere in Egitto è l’odio per Israele. Sono dimenticati i giovani coraggiosi che erano scesi nelle strade il 25 gennaio per chiedere il cambiamento e migliori condizioni di vita ! I protagonisti di oggi sono i movimenti islamismi capitanati dai Fratelli Musulmani e i partiti laici estremisti e nazionalisti. Lo testimonia l’isteria che si è impadronita del paese quando si seppe che cinque soldati egiziani erano stati uccisi dai soldati israeliani mentre stavano combattendo contro i terroristi che avevano attaccato dei civili sulla strada di Eilat. “Finita la pace con Israele” e “ Venga espulso l’ambasciatore israeliano” urlava la folla. Non era stato d’aiuto il fatto che le autorità egiziane non avessero rivelato che i terroristi erano venuti dalla parte egiziana del confine, approfittando dell’anarchia che detta le sua legge nel Sinai.

Il movimento dei giovani del 25 Gennaio ha purtroppo unito la sua voce a quella degli islamisti e degli estremisti nazionalisti per chiedere la rottura delle relazioni diplomatiche con Israele. In tutte le scuole, dal primo livello all’ultimo, viene insegnato l’odio per Israele, e non solo in Egitto. Ai bambini viene insegnato che l’islam è la più grande delle religioni rivelate. Gli viene insegnato che gli ebrei – e anche i cristiani, anche se in misura minore – sono i nemici del profeta Maometto, l’hanno tradito e combattuto; per cui sono nemici dell’islam, non li si deve considerare amici e che saranno puniti duramente nel giorno del giudizio. Lo stesso messaggio viene diffuso nelle prediche del venerdì in tutte le moschee del paese, nei libri e attraverso i media. Il regime di Mubarak non aveva fatto nulla per combattere questa propaganda; aveva permesso all’educazione islamica di crescere, e l’odio contro gli ebrei e Israele veniva usato per distogliere l’attenzione delle masse dai gravi problemi economici e sociali del paese.

Per anni il regime sapeva quando era utile permettere queste dimostrazioni di massa e quando mettervi un freno. Questo finiva con fare il gioco dei Fratelli Musulmani, che trassero vantaggi dallo sviluppo dell’educazione islamica, e se il regime li combatteva, loro si presentavano al mondo come l’unica barriera contro l’islam radicale. Solo verso la fine del 2010 il regime sembrò capire il pericolo, ma si era a poche settimane dalla rivolta, arrivava ormai troppo tardi l’annuncio che il Ministero dell’Educazione stava per operare una revisione dei testi scolastici religiosi per fermare la crescita dell’estremismo e dell’intolleranza nella società egiziana. Questa riforma è al momento sospesa ed è difficile che verrà ripresa in considerazione vista l’attuale situazione. L’insegnamento all’odio contro gli ebrei e Israele andrà avanti ancora a lungo.

Ciò detto, le recenti dimostrazioni anti-israeliane sono anche il risultato della profonda frustrazione delle masse. Sei mesi dopo la rivoluzione, Mubarak è caduto, ma il suo regime è ben lontano dall’essere stato smantellato e forse non lo sarà mai. Per trenta anni i suoi seguaci hanno controllato tutti gli aspetti politici, sociali ed economici della società. La maggioranza degli egiziani oggi ritiene che le dimostrazioni di massa che avrebbero dovuto portare il cambiamento non hanno ottenuto granchè. Il paese è controllato dai militari, già alleati di Mubarak, che malvolentieri reagiscono quando la pressione delle proteste diventa troppo alta. Tutte le posizioni chiave nei ministeri, nelle province, sono sempre nelle mani dei membri del partito di governo (ora dissolto). Gli odiati servizi della sicurezza, sebbene siano stati smantellati, sono stati sostituiti da ‘nuovi’ apparati, anch’essi nelle stesse mani di prima. I tribunali militari continuano a processare i civili; secondo un rapporto di Amnesty International, circa 10.000 persone sono state giudicate per “ aver preso parte a manifestazioni proibite” o “ per aver criticato il Consiglio Superiore Militare”. La polizia, un obiettivo sin dall’inizio della rivoluzione, non funziona ancora correttamente mentre nelle strade regna l’anarchia, obbligando commercianti e residenti a organizzarsi per difendere le loro proprietà.
Dietro le quinte, i Fratelli Musulmani e i partiti laici lottano fra loro per il controllo dell’Egitto di domani.

 Nel frattempo, la situazione economica, già in cattive acque quando scoppiò la rivoluzione, sta degradando ancora di più. Il turismo non è mai stato così in crisi, in calo esportazioni e importazioni, vi sono scioperi selvaggi, che fanno crollare gli investimenti e spingono verso l’estero i capitali. Si prevede una ripresa delle violenze su larga scala. Mohamed el Baradei, già direttore dell’Agenzia atomica internazionale e uno dei leader candidati alla presidenza , ha dichiarato la scorsa settimana al quotidiano “al Shurouk” che l’Egitto è “ in cima a un vulcano”. Non si sa quando verranno indette le elezioni parlamentari, si litiga su come dovranno essere organizzate, per ora valgono le leggi che le regolavano prima. La Costituzione è stata sottoposta a referendum lo scorso 19 marzo, i cambiamenti sono stati pochi, riguardanti soprattutto l’elezione del presidente. Quando il nuovo parlamento sarà eletto, il suo primo compito sarà quello di redigere una nuova Costituzione e sottoporla a referendum; solo dopo ci saranno le elezioni presidenziali. Il tutto avverrà non prima del 2013. Nel frattempo potrà succedere di tutto.

Dare la colpa a Israele per la morte dei soldati egiziani ha significato una opportunità per unire le masse, facendogli dimenticare tutti i problemi. Il loro nuovo eroe è diventato l’uomo che ha strappato la bandiera israeliana dalla facciata dell’ambasciata, malgrado ci fossero guardie egiziane a protezione del palazzo. Ecco fino a che punto può arrivare una grande nazione.

Ci sono però dei lati positivi che lasciano intravedere qualche speranza in quella “grande dimostrazione” dello scorso venerdì davanti all’ambasciata per richiedere l’espulsione dell’ambasciatore, ridiscutere il trattato di pace, non vendere più il gas a Israele ecc. Secondo i media egiziani, solo qualche centinaio di persone si è recato a protestare dopo la preghiera nelle moschee. La maggior parte delle forze politiche non ha ritenuto doversi impegnare in questa iniziativa, evidentemente perché l’odio contro Israele non era uno degli obiettivi della rivoluzione, per cui, forzatamente, hanno ritenuto che non era una ragione sufficiente per investirci un grande sforzo organizzativo. Sono altri gli obiettivi più immediati.

Va detto anche che vi sono alcuni, non molti, che ritengono che l’attuale crisi con Israele debba essere risolta attraverso il dialogo e una inchiesta congiunta per indagare sulla dinamica che ha portato alla uccisione dei cinque soldati. Purtroppo, tenendo conto della estrema instabilità in Egitto, dobbiamo aspettarci altri momenti di attrito con Israele. Entrambe le parti, però, sanno benissimo di non avere alcun interesse a peggiorare le relazioni. Il dialogo fra i due governi prosegue; vi è un certo coordinamento fra i due eserciti riguardo la situazione nel Sinai e la lotta contro il terrorismo. In effetti, quando il governo centrale si rese conto che stava perdendo il controllo della penisola, Israele accettò che l’Egitto inviasse più truppe nella zona per combattere i gruppi islamici radicali che intanto erano cresciuti ed erano diventati forti, trasformando l’area in una base terroristica che minacciava la sicurezza sia di Israele che dello stesso Egitto. In base all’Art.4 del trattato di pace, le misure di sicurezza nel Sinai possono essere rivedute con accordo comune su richiesta di una delle due parti. Per ora il cambiamento è temporaneo e limitato al periodo necessario per riportare l’ordine nella penisola. Israele vorrà prolungarne la durata ? Sarà opportuno che le truppe egiziane vengano dislocate lungo il confine ? L’argomento è molto delicato. Qualcuno in Israele ritiene che questa presenza potrà far decrescere l’ostilità dell’Egitto in un momento di così forte tensione. Altri pensano invece che sia pericoloso che l’Egitto rafforzi i suoi contingenti al confine con Israele proprio in base all’ostilità che sta nascendo. Quale sarà la scelta, dovrà essere ben valutata. Il governo israeliano giudicherà attentamente la situazione prima di prendere una decisione.

Zvi Mazel è stato ambasciatore in Romania,Egitto e Svezia.
Fa parte del Jerusalem Center fo Public Affairs.
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