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Zvi Mazel/Michelle Mazel
Diplomazia/Europa e medioriente
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Campo di rifugiati di Yarmouk: una rivolta palestinese diversa 16/06/2011

Campo di rifugiati di Yarmouk: una rivolta palestinese diversa
di Zvi Mazel

(traduzione di Angelo Pezzana) 


Zvi Mazel

Venerdì 3 giugno, nel giorno della Naksa, che ricorda la sconfitta degli eserciti arabi nella guerra dei sei giorni, mentre gli occhi del mondo erano puntati sulle migliaia di palestinesi che sulle alture del Golan cercavano di oltrepassare il confine con Israele, scarsa attenzione veniva invece data a quanto di drammatico accadeva dentro al campo rifugiati di Yarmouk alla periferia di Damasco, la capitale della Siria. Diversi giovani avevano partecipato ad una rivolta , ma le notizie su morti e feriti erano inattendibili. Nel campo subito la gente capì che era stata ingannata da Assad, che si era servito del sangue palestinese in una operazione che doveva deviare l’attenzione da come stava brutalmente affrontando la crisi nel suo paese. Ci volle del tempo per identificare i cadaveri e restituirli alle famiglie, e solo il lunedì successivo le nove vittime furono sepolte. La rabbia esplose quando fu chiaro che Assad cercava di nascondere  l’uccisione di innocenti civili da parte delle sue forze di sicurezza mediante l’uso cinico della causa palestinese. Si calcola che 100.000 palestinesi, due terzi dell’intera popolazione del campo, abbia preso parte ai funerali gridando slogans contro Assad, “ Ya Bashar, Ya Bashar, dove sei ? Ci hanno massacrato sotto i tuoi occhi, dove, dove è l’esercito siriano, dove sei tu ?”. 

In Siria hanno sede le organizzazioni palestinesi più estremiste, da Hamas, che ha il quartiere generale nella capitale, fino a Amed Jibril, capo del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina-Comando Generale (PLFP-GC). Lo stesso Jibril fu presente al funerale, insieme a vari altri leader di altre organizzazioni estremiste palestinesi. Ma quando cercò di intervenire, difendendo Assad e accusando Israele quale responsabile dell’accaduto, la sua voce fu sommersa dalle proteste,e fu invitato ad andarsene, che lasciasse seppellire i morti in pace. Di fronte al suo rifiuto, la folla colpì lui e i suoi con una fitta sassaiola. La protesta divenne ben presto più violenta, fino a raggiungere la sede del PFLP-GC. La folla entrò negli uffici, e distrusse tutto prima di dare gli edifici alle fiamme. Nell’assalto vennero uccise due guardie. Le forze di sicurezza di Jibril aprirono il fuoco, uccidendo14 manifestanti e ferendone centinaia. Nella battaglia la folla gridava “ il popolo non vuole più essere diviso”, a significare la volontà dei molti gruppi palestinesi in Siria di richiamarsi ai manifestanti che nella piazza Tahrir al Cairo gridavano  “il popolo vuole la fine del regime”. I rifugiati non volevano più essere manipolati dal regime siriano che agiva attraverso i dieci gruppi estremisti palestinesi che godevano del sostegno del regime. Khaled Mashal, il capo di Hamas, si presentò nel campo con l’intenzione di frenare la protesta, ma fu accolto  con scherno e insulti al punto da essere costretto ad andarsene. 

Ahmed Jibril è considerato uno dei leader più importanti della fazione pro-Siria, come è noto che collabora da circa quarant’anni con il governo siriano. Si dice che sia stato lui a suggerire ad Assad di organizzare le manifestazioni sul Golan, anche se per i giornali arabi era chiaro fin dall’inizio che sarebbe stato un insuccesso, perché Israele non avrebbe mai permesso la violazione del confine. 

Quando martedì ci furono i funerali delle vittime, i capi delle fazioni palestinesi rimasero prudentemente lontani. 

Su alcuni media arabi è stato scritto che molti fra i rifugiati nei campi provano solidarietà con i manifestanti siriani massacrati dal regime. E’ possibile che Assad, abbia interrotto l’invio di manifestanti sul Golan il giorno successivo a causa delle proteste esplose contro di lui nei campi profughi, e che abbia bloccato anche le strade che portano al confine con Israele sul Golan, che erano state invece aperte per favorire il venerdì prima l’assalto al confine. 

Ci sono oggi 13 campi profughi in Siria amministrati dall’ UNRWA; si stima che contengano circa mezzo milione di persone. Nel corso degli anni sono state costruite delle infrastrutture  ed eseguiti ammodernamenti. Chi vi abita gode di pieni diritti civili, incluso il diritto di lavorare in professioni accademiche e in impieghi governativi, malgrado non abbiano mai potuto avere la cittadinanza siriana, che avrebbe annullato la loro condizione di rifugiati di fronte a Israele. 

Data l’attuale difficile situazione, Assad non vuole aprire un secondo fronte con i palestinesi, che rappresentano una forza politica che pronta a rivoltarglisi contro. Se decidessero di unirsi ai manifestanti, per Assad sarebbe una catastrofe. Anche prima degli avvenimenti del Golan c’erano stati segnali che la situazione andava peggiorando. Poche settimana fa le autorità siriane avevano segnalato una sommossa al campo Al Ramel di Lattaia, dove i manifestanti avevano attaccato e incendiato edifici pubblici. Le fazioni palestinesi l’avevano smentito, sostenendo che i palestinesi in Siria rimangono neutrali, e non si immischiano negli affari interni del paese. Non va dimenticato che da più parti circola la voce che Hamas stia per trasferire il suo quartier generale nel Qatar e voglia aprire una sede al Cairo per vie del peggioramento della situazione in Siria. 

D’altra parte i dirigenti delle fazioni palestinesi sono molto preoccupati non solo a causa degli scontri  fra rifugiati e gli sgherri di Assad, ma anche per il possibile arrivo di un nuovo regime che elimini i loro privilegi. Secondo alcune agenzie stampa, questi leader si stanno riunendo per discutere quanto sta avvenendo,e per trovare il modo migliore di ricucire la spaccatura con il governo siriano. 

L’Autorità  palestinese a Ramallah ha emesso un comunicato molto misurato di condanna attraverso l’agenzia “Wafa”, nel quale si parla di  “ un gruppo di uomini armati” del Fronte Popolare-GC, quali responsabili dei crimini e viene annunciata un’inchiesta; ma non si accenna alla Siria, al Presidente Assad o a Ahmed Jibril. In questo modo Abu Mazen non ha voluto esporsi con l’esprimere  chiaramente  il suo sostegno ai palestinesi che protestano contro la doppiezza di Assad.

Forse per via dell’attuale confronto con Israele e il profilarsi del dibattito all’ Assemblea Generale dell’Onu in settembre, l’Autorità palestinese non ha voluto mettersi contro le fazioni palestinesi, senza contare il recente accordo di pace con Hamas. Malgrado ciò ci sono state molte condanne sulla stampa palestinese, così come da parte del membri più giovani di Fatah, che hanno chiesto l’espulsione dall’Olp di Jibril. 

Tarek AlHamid, direttore dell’influente quotidiano arabo “ A-Shark AlAwsat” che si pubblica a Londra, ha scritto lo scorso 8 giugno, in un articolo titolato “ il significato comune delle crisi”, che il problema palestinese viene sfruttato dai paesi arabi e dall’Iran. Secondo lui, i regimi arabi “saldano i loro debiti” per problemi interni e esterni, sia sacrificando i palestinesi o “emettendo assegni”, il che significa sfruttare il problema palestinese senza fare nulla per risolverlo. Si è meravigliato perché Assad non ha mandato cittadini siriani sul Golan ( essendo il Golan un problema siriano) , perché Hezbollah non ha preso parte alle dimostrazioni per il giorno della Naksa, e perché Hamas ha impedito ogni dimostrazione a Gaza. Non ha neppure dimenticato l’Iran, un paese che dichiara, con annunci altisonanti, di essere con i palestinesi contro Israele, ma poi non fa altro che immischiarsi negli affari interni degli stati arabi. I palestinesi, ha scritto, sono la moneta corrente usata per pagare le sommosse nel mondo arabo, e questo andazzo continuerà fino a che un leader palestinese non si alzerà per dire “ Basta trafficare con la Palesatine e i palestinesi ! ”

Si è poi rivolta anche ai paesi arabi e a Mahmud Abbas, ricordando loro che è arrivato il tempo di risolvere questo problema in modo pragmatico invece di usarlo solo per garantire la loro sopravvivenza.

Zvi Mazel è stato ambasciatore in Romania,Egitto e Svezia. Fa parte del Jerusalem Center fo Public Affairs. Collabora con Informazione Corretta


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