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Ugo Volli
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Cartolina di viaggio 6: tanti auguri Israele 19/04/2018

Cartolina di viaggio 6: tanti auguri Israele
Di Ugo Volli

Israele compie settant’anni. E’ lo spazio di una vita, lo capisco bene, perché è anche (quasi) la mia età. O se volete, sono tre generazioni, un nonno immigrato qui negli anni quaranta o cinquanta in fuga dalle ceneri dell’Europa, un figlio che ha fatto tutta la sua vita in Israele, attraversando l’epoca socialista dei kibbutzim e del sindacato onnipotente e poi la liberalizzazione, l’egemonia laburista e la sua crisi, l’illusione ubriacante e irrazionali dei progetti di pace e i sobri calcoli che sono seguiti, fino alla start-up nation e al benessere diffuso di oggi, frutto soprattutto di trent’anni di egemonia del centrodestra. E un nipote, che magari parla ancora in casa la lingua del nonno o piuttosto quelle dei nonni, perché le famiglie spesso incrociano immigrazioni assai diverse; ma è completamente israeliano, ha fatto il servizio militare e l’università, non capisce proprio quel continente in decadenza e masochista dove noi ci ostiniamo a soggiornare.

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Israele compie settant’anni, ha quasi nove milioni di abitanti, quasi l’ottanta per cento di ebrei e il venti per cento di arabi delle diverse religioni; ha un reddito pro capite che sta superando quello di paesi come l’Italia e la Francia, alcune delle migliori università del mondo, una ricerca e sviluppo che ne fa uno dei paesi più dinamici del panorama mondiali, una rete di relazioni economiche e di difesa molto vasta che non risente più che tanto del teatrino dell’Onu, è difeso da uno degli eserciti più forti e motivati del mondo.

Ma soprattutto è gestito da un governo competente e attivo che si sforza di districare i tanti conflitti e vincoli che vengono dalla storia del paese: cerca cioè di mantenere la lealtà dei suoi cittadini arabi, che vedono chiaramente il loro interesse in questo stato, ma talvolta si fanno tentare dalla retorica palestinista; di recuperare a ruoli più produttivi la minoranza religiosa più conservatrice, la quale solo in parte è davvero antisionista, e che certamente ha il pregio di mantenere e sviluppare la tradizione religiosa e quindi culturale dell’ebraismo, ma che per lo più è intrappolato in costumi sociali e perfino in abbigliamenti iperconservativi, che sono solo i gusci caduchi della sua fede; e cerca di sciogliere la presa paralizzante che esercita classe burocratica, intellettuale e mediatica con una mentalità anch’essa conservatrice e misogina, anche se essa non si riferisce all’Europa Orientale dell’Ottocento ma allo stesso Israele dei decenni successivi all’uscita di scena di Ben Gurion, quando il socialismo avviluppava ancora la società, la Corte Suprema si arrogava poteri di controllo sul Parlamento, approfittando della mancanza di una costituzione e soprattutto la retorica della pace non aveva ancora affrontato la prova dei fatti. Ma nonostante la resistenza di intellettuali e giornalisti e giudici e politici di sinistra, oggi Israele è il paese che gioca meglio le sue carte nel mondo, che è riuscito a rendere insignificanti i tentativi palestinisti di distruzione e sa muoversi con sofisticata abilità, coraggio e prudenza nel difficilissimo ambiente mediorientale. Tutti questi risultati, per quanto riguarda gli ultimi quindici anni hanno un nome e un cognome, Bibi Netanyahu, che invano opposizione, interventi stranieri, stampa e inquirenti prevenuti cercano di abbattere.

C’è dunque ragione di festeggiare e noi siamo qui per questo, il Giorno dell’Indipendenza è una grande festa popolare con musica e balli in piazza, fuochi d’artificio, cerimonie e divertimento. Ma non bisogna dimenticare che tutto questo ha avuto un costo enorme. Per questo si è deciso di anteporre alla festa il lutto per i ventitremila militari morti per la libertà di Israele (solo nell’ultimo anno sono stati 71), i moltissimi feriti e per le vittime del terrorismo: se oggi si fa festa ieri si piangeva, letteralmente, con visite ai cimiteri, cerimonie militari, la memoria di chi non c’è più ed è ricordato dalla grande famiglia di Israele. Ma la storia che ci ha portato qui è molto più vasta: solo la settimana scorsa c’è stata la sentitissima giornata del ricordo per le vittime della Shoah e l’eroismo di chi vi si è ribellato, nei ghetti, nei campi, nella Brigata Ebraica, nella Resistenza Europea. E allargando ancora il campo, la storia ha voluto che questa festa cadesse (nel sistema di datazione ebraico) sempre fa la Pasqua ebraica (che ricorda il primo tentativo di genocidio e la prima fuga verso uno Stato ebraico costruito su queste terre trentacinque secoli fa, e il momento in cui si ricorda la morte in massa degli allievi di uno dei maestri più importanti del Talmud, Rabbi Akiva: morti per un’epidemia, forse, per motivi morali o soprannaturali, a quanto dicono alcune interpretazioni tradizionali; ma più probabilmente caduti in quella rivolta contro i romani che si svolse nel 132 della nostra epoca e riuscì per tre anni anche a liberare Gerusalemme, ma poi si concluse nella sconfitta più totale di fronte alla macchina da guerra romana e fu davvero l’ultimo eroico tentativo di libertà per il popolo ebraico, schiavizzato e disperso, spesso massacrato, per i successivi diciotto secoli. Il capo della rivolta era un abile guerrigliero ricordato col nome di Bar Kochba, figlio della stella, ma il leader spirituale era Rabbi Akiva, e probabilmente i suoi discepoli furono sterminati con buona parte del popolo in quel disperato tentativo di resistenza.

Ecco, non si può mai parlare di ebraismo e di Israele senza tornare al grande respiro storico, a una memoria teologico-politica. E dunque anche la festa dell’Indipendenza non ha solo carattere militare o (di più) popolare, ma è anche un contatto con l’identità, la radice profonda di un popolo che sente profondamente di avere un’eredità e un destino storico da trasmettere ed osservare, dunque la responsabilità collettiva di mantenere accesa la fiammella trasmessa nei secoli. Chi non capisce questo è fuori dal popolo ebraico. Venire qui, partecipare alla festa, vuol dire testimoniare di questa continuità e della sua forza creativa. Tanti auguri, Israele!

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Ugo Volli


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