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Ugo Volli
Cartoline
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Rischiare la guerra oggi, o attendere che te la facciano domani? 10/04/2018

Rischiare la guerra oggi, o attendere che te la facciano domani?
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

A destra: l'Iran dietro Hamas

Cari amici,
non lasciatevi ingannare. Quel che sta succedendo a Gaza è solo la messa in scena di un movimento perdente e senza prospettive, anche se sempre feroce e pericoloso, per riacquistare un po’ di visibilità sulla pelle dei suoi stessi sostenitori. Può diventare fonte di irruzioni terroriste, è già il pretesto di speculazioni politiche antisemite in Europa e altrove, ma al massimo può diventare un fronte secondario nella grande guerra che continua in Medio Oriente.

Il fronte principale per Israele è al Nord, innanzitutto in Siria. Su questo teatro sono successe eventi importanti nelle ultime settimane. Le elenco rapidamente. La Turchia ha sconfitto i curdi alleati degli americani ad Afrin, distinguendosi per una guerra feroce ed estesa ai civili. Le forze di Assad si stanno impadronendo di una delle poche zone rimaste in mano ai ribelli, la Goutha, con una guerra ancora più crudele e ancora più indiscriminata. Di questa guerra fa parte l’avvelenamento con armi chimiche di 200 persone nella città di Houta, che ha suscitato tanta indignazione in Occidente, la difesa ipocrita da parte della Russia, ma fino al momento in cui vi scrivo, nessuna azione. Le due guerre non sono più separate: qualche giorno fa si è svolto un incontro triangolare fra Putin Erdogan e il primo ministro iraniano Rouhani, che è il vero padrone di Assad. Non sappiamo quel che si sono detti, ma è bastata la stretta di mano finale a tre dedicata ai fotografi per capire che si erano trovati d’accordo nella divisione delle zone di influenza in Siria, lasciando fuori l’America.

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Poi è venuto l’annuncio di Trump, contro le richieste di Israele, dell’Arabia e a quanto pare del Pentagono, che prometteva tempi rapidi per l’evacuazione delle truppe americane restanti in Siria. Quasi di conseguenza si sono rivisti i carri armati di Assad sul Golan, vicino alla cittadina di Kuneitra, che pure per gli accordi in corso dovrebbe essere zona smilitarizzata: una presenza così allarmante da indurre Israele a un pubblico appello all’Onu per far rispettare la zona smilitarizzata, naturalmente caduto nel vuoto. Ma quella presenza militare a due passi dal confine israeliano ha smentito anche le garanzie fornite da Putin a Netanyahu, secondo cui non ci sarebbe stato contatto fra i due eserciti e mostra un doppio gioco da parte russa (https://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/244136). Infine l’altro ieri aerei non identificati hanno colpito con missili la base aerea T4, a sudovest di Palmira, nella Siria centrale. Assad ha prima denunciato come autori gli Stati Uniti, alludendo a una punizione per l’uso dei gas. Poi, di fronte alla smentita americana ha parlato di Israele.

E per la prima volta anche la Russia ha fatto il nome di Israele, dicendo che l’attacco era stato compiuto da due aerei F15 a partire dallo spazio aereo libanese. Israele come al solito non ha confermato né smentito, ma il ministro degli esteri Lavrov ha parlato di “uno sviluppo pericoloso” e “ha chiesto spiegazioni a Israele” (https://www.debka.com/mivzak/lavrov-calls-attack-on-syrian-air-base-a-dangerous-development/). Il che può significare che questa volta l’aviazione israeliana non ha preavvertito Mosca, secondo la procedura usuale di questi ultimi anni. Va detto che la base T4 ospita oltre ai siriani numerosi militari di altra provenienza, fra cui molti persiani e russi. Fra le vittime dell’attacco ci sono dei militari dell’Iran. Bisogna aggiungere anche che la base in questione è uno snodo importante della presenza iraniana, Israele l’aveva già attaccata a marzo dello scorso anno e anche a febbraio di quest’anno, in risposta all’invasione dello spazio aereo di Israele da parte di un drone iraniano partito da lì. Ne era nata una furiosa battaglia aerea che aveva portato anche all’abbattimento di un F16 israeliano e alla distruzione di buona parte delle difese antiaeree siriane.

Da allora non vi erano state più segnalazioni di interventi dell’aviazione israeliana. Questo attacco dunque ha un senso importante. Come minimo segnala che Israele non si sente legato agli accordi presi da Putin e continua a considerare inaccettabile tanto la presenza iraniana in Siria quanto, in subordine, la vicinanza di truppe siriane al confine di Israele. Ma forse vuol dire di più, forse è un doppio segnale (https://infos-israel.news/analyse-de-la-situation-suite-a-lattaque-en-syrie-israel-lance-un-message-a-trump-poutine-et-liran/). A Trump, per fargli capire che il vuoto creato dall’abbandono americano della Siria è pericolosissimo, continuando la sciagurata politica di appeasement con l’Iran di Obama. E a Putin per dirgli che Israele non rinuncia a difendersi anche a costo di pestare i piedi alla Russia. In un’analisi strategica seria, la Russia appare oggi assolutamente sovraesposta. Con un prodotto nazionale lordo analogo a quello dell’Italia, con una struttura economica che dipende solo da gas e petrolio, senza un’industria avanzata, con una sola portaerei e truppe disperse in mezzo mondo, la presenza russa in Medio Oriente rappresenta un elemento di prestigio e di potenza, ma anche un rischio. Senza strepito, senza dirlo esplicitamente, Israele si trova forse costretto a vederne il bluff.

Il problema vero che emerge da questa situazione è che nonostante l’amicizia di Trump e quel tanto di aperture che vengono dal mondo arabo, che peraltro non vanno sopravvalutate (come spiega Caroline Glick: http://www.jpost.com/Opinion/Our-fair-weathered-Saudi-friend-547933) e naturalmente senza contare sull’ostile impotenza dell’Europa, Israele sul fronte settentrionale è solo, deve badare a se stesso senza poter contare su nessun altro. E’ una situazione delicatissima, che mette Israele di fronte a un dilemma. Non intervenire ora potrebbe portare al rafforzamento tecnologico di Hezbollah e all’insediamento stabile vicino al confine di truppe iraniane, che al momento buono potrebbero facilmente attaccare. Ogni intervento rischia però di diventare un casus belli, non solo con la Siria, ma con tutto lo schieramento che gli sta dietro e cioè quantomeno Hezbollah e Iran, magari con l’appoggio della Russia. Rischiare la guerra oggi, o attendere che te la facciano domani? Israele non ha mai avuto dubbi sulla necessità per un piccolo paese di prendere l’iniziativa e anticipare le minacce, ed è quel che sta facendo ora. Ma il rischio c’è. Dobbiamo saperlo e fare quel che possiamo per appoggiare politicamente Israele sul fronte decisivo, senza farci distrarre dalle messinscena di Hamas.

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Ugo Volli


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