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Ugo Volli
Cartoline
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E’ la democrazia, bellezza 12/03/2018

E’ la democrazia, bellezza
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

A destra: Benjamin Netanyahu

I problemi principali di Netanyahu (ma piuttosto dovrei dire: dello stato di Israele) oggi sono due. Da un lato c’è la situazione esterna, su cui noi di IC ci soffermiamo continuamente: l’accumulo di potenze nemiche al Nord, l’ambiguo rapporto con i paesi arabi sunniti (meglio della guerra aperta di una volta, ma ancora non deciso verso la normalizzazione), la permanente tentazione degli Stati Uniti di conquistare popolarità internazionale a spese di Israele, con “piani di pace” irrealistici e demagogici, l’ostilità europea ai limiti del grottesco (da ultimo l’Unione Europea ha protestato perché Israele toglie il permesso di residenza ai terroristi - https://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/242948 -, quando per esempio l’Italia per fortuna espelle tutti i sospetti di sostegno al terrorismo che trova), l’ambivalenza profonda della Russia che protegge i nemici di Israele ma vuole sentirsi amica dello stato ebraico. A questo si aggiunge una crescita dell’antisemitismo che coinvolge massicciamente gli immigrati arabi stanziati in Europa (l’ultimo esempio: http://www.jpost.com/Diaspora/Arab-German-security-guards-besiege-Israeli-tourist-stand-in-Berlin-544684) e la sinistra che li appoggia (http://www.dailymail.co.uk/debate/article-5485917/DAN-HODGES-Corbyn-anit-Semetic-pals-smashed-moral-compass.html), ma spesso attinge alle fonti tradizionali antiebraiche (e arriva fino a Putin: http://www.jpost.com/International/Putin-Jews-might-have-been-behind-US-election-interference-544708; http://www.jpost.com/Diaspora/Antisemitism/AJC-Putins-election-comments-akin-to-Protocols-of-the-Elders-of-Zion-544748, ma coinvolge anche la Polonia e altri paesi: http://www.jpost.com/Diaspora/In-open-letter-Polish-Jews-say-they-dont-feel-safe-in-Poland-543080).

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Banjamin Netanyahu con Donald Trump

L’altro campo di problemi è interno e si può sintetizzare in un tentativo continuo di destabilizzare il governo Netanyahu. C’è un paradosso qui, perché Netanyahu è ininterrottamente primo ministro di Israele dal 31 marzo 2009, cioè sta compiendo il nono anno di fila di governo, con una maggioranza abbastanza omogenea, il che per i paesi democratici dei nostri tempi è un periodo lunghissimo. In Francia in quel momento regnava Sarkozy, negli Usa aveva appena giurato Obama, in Gran Bretagna governava Gordon Brown, in Italia era primo ministro Berlusconi… Questa continuità, insieme con la grande competenza economica e diplomatica di Netanyahu, ha assicurato a Israele il periodo più prospero e sicuro della sua storia. Nel frattempo si sono svolte elezioni molto combattute, sono cambiati ministri e segretari di partito, insomma si è sviluppata la normale dialettica democratica. Ma Netanyahu e il suo partito Likud hanno continuato a godere della fiducia dell’elettorato che ancora gli ultimi sondaggi confermano in crescita.

Ma sul fronte interno Netanyahu ha due grandi ostacoli. Uno lo riguarda direttamente, l’altro è di natura politica più generale. Quello diretto sono i continui attacchi diffamatori cui è sottoposto (come Trump, del resto, come in Italia a suo tempo Berlusconi e di recente Renzi). I suoi successi politici, l’evidente dedizione agli interessi di Israele gli hanno procurato assai più odio che simpatia, almeno nella parte del paese che accede più facilmente alla comunicazione. E come negli altri casi che ho citato, quest’odio si è tradotto in una micidiale combinazione di stampa “autorevole” e di sistema accusatorio (nel caso israeliano la polizia più che i giudici). La moglie di Netanyahu è stata accusata di maltrattare le cameriere e di lucrare sulle mini-cauzioni delle bottiglie di bevande; la polizia ha consigliato di incriminare Netanyahu per aver ricevuto degli oggetti di consumo (vini, sigari) in regalo da un vecchio amico molto ricco per un valore intorno ai 10 mila euro l’anno per il periodo della sua presidenza e per aver forse cercato di accordarsi con un giornale di opposizione, Yediot Aharonot ,sacrificando il quotidiano gratuito che lo appoggiava, Israel haiom - ma Netanyahu nega e i fatti lo confermano: proprio per difendere il Israel Hayom da una legge che voleva penalizzarlo Netanyahu ha provocato una crisi di governo tre anni fa. La polizia ha cercato di sostenere queste accuse più che con prove, reclutando testimoni protetti fra avversari politici di Netanyahu e fra funzionari corrotti cui ha promesso l’impunità in cambio di accuse: una tattica che ha suscitato l’indignazione di molti e che non si sa ancora se riuscirà a condurre all’incriminazione, ma certamente suscita le speranze degli avversari che non riuscendo a batterlo alle elezioni sperano di eliminare Netanyahu con messi giudiziari. Il problema politico è il conflitto fra laici e charedim sulla leva militare. I charedim pretendono una legge che permetta a chi svolge studi religiosi di evitare la leva militare. Una legge del genere c’era, ma è stata annullata per evidente iniquità dalla Corte Suprema. Ora vogliono riproporne un’altra versione a prova della revisione giudiziaria, innalzando il valore dello studio religioso a principio costituzionale. Se questa legge non sarà approvata, minacciano di votare contro il bilancio. Ma il ministro della Difesa Liebermann, che è anche a capo di un partito laicista e nazionalista composto in buona parte da immigrati dall’ex Unione Sovietica, rifiuta di far passare questa legge e Netanyahu non è disposto a far senza di lui. (https://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/242983). Il partito nazionalista religioso di Bennet ha proposto una mediazione (https://www.israelnationalnews.com/News/News.aspx/242985) e lascia intendere che Netanyahu stia cercando le elezioni per risolvere, con il consenso popolare prevedibile, il problema degli attacchi giudiziari (https://www.timesofisrael.com/coalition-heads-finger-pm-amid-last-ditch-efforts-to-prevent-early-elections/). Netanyahu in effetti, appena tornato dalla visita negli Usa, ha tenuto una serie di incontri per cercare di mediare le esigenze contrapposte (http://www.jpost.com/Israel-News/Netanyahu-dives-into-coalition-negotiations-pushes-for-2019-election-date-544718). Ma l’ultima parola, almeno al momento in cui vi scrivo, è della leadership charedì, che ha rifiutato i compromessi (http://www.jpost.com/Israel-News/Politics-And-Diplomacy/Elections-loom-large-as-haredi-leaders-reject-military-draft-compromise-544787).

Il risultato è che sembrerebbe che Israele sia alla vigilia delle elezioni anticipate. Con la complicazione ulteriore che se davvero si tenessero, Netanyahu vorrebbe farle subito, cioè entro giugno per approfittare della sua superiorità attuale, mentre avversari (e alleati/avversari) preferirebbero lasciar passare i termini molto stretti necessari per un voto prima d’estate e slittare così in inverno, magari sperando che nel frattempo un intervento giudiziario lo blocchi. Mi rendo conto che questa descrizione è piuttosto scoraggiante. Ma in realtà i giochi non sono conclusi e il sistema politico israeliano tradizionalmente è propenso a costruire scadenze che appaiono drammatiche e che spesso si rivelano tempeste in un bicchier d’acqua. E poi, per parafrasare la famosa frase di Humphrey Bogart nel film l’”Ultima minaccia”, « È la democrazia, bellezza! La democrazia! E tu non ci puoi far niente! Niente! » Meglio una crisi di governo inutile che l’eterno governo senza scosse di un Abbas. O di un Putin.

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Ugo Volli


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