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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Ugo Volli
Cartoline
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Svegliamoci 24/05/2017
Svegliamoci
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

Cari amici,

non sono certo il primo a dirlo, ma devo dirlo anch’io: non se ne può più di leggere “io sono Parigi” (o Manchester, o Bruxelles o Nizza o qualunque altra città colpita dal terrorismo, salvo naturalmente Tel Aviv e Gerusalemme, che nessuno invece vuole essere). Non se ne può più delle reazioni solo sentimentali, del lamento generico per la “musica spezzata”, delle dichiarazioni “non ho parole”, del lamento per un’astratta “tragedia” senza spiegare che è un delitto, della meraviglia perché i terroristi ammazzano gli innocenti, come se ci fossero dei colpevoli; soprattutto non se ne può più del “non avranno il mio odio”, come se l’obiettivo del terrorismo fosse ottenere l’odio e non la paura e soprattutto la sottomissione, nonostante l’odio. Il mio odio ce l’hanno, eccome. Beninteso il lutto è più che giusto, doveroso, il dolore è vivo e va custodito. Ma le sue espressioni sono sbagliate, non solo per una questione di forma, ma di sostanza. Non se ne può più di chi dice che in fondo gli assassini hanno le loro ragioni, le loro azioni sono il frutto dell’oppressione e del colonialismo, che bisogna comprenderli.

Il punto è che questa è una guerra: non una guerra fra l’Isis e l’Occidente, né una guerra fra Al Qaeda e l’America, o dei talebani, di Boko Haram o di qualunque altra etichetta si inventeranno nel corso del tempo, ma una guerra fra l’Islam militante, che interpreta la propria missione religiosa come lotta agli infedeli per il trionfo della vera religione, come iniziò a fare Maometto a partire dalla battaglia di Badr del 17 marzo del 624, quasi mille e quattrocento anni fa, e mai cessata da allora. E’ una guerra in cui ogni strage è una battaglia, un progresso per i colonialisti islamici che vogliono opprimerci; ogni crimine è insieme una vendetta e un’azione di guerriglia. Una guerra che perderemo se non combattiamo, e soprattutto se ci rifiutiamo di riconoscere la sua realtà. Perché il terrorismo, almeno in parte, funziona, ottiene i suoi obiettivi. Se non fosse così, avrebbero smesso da tempo di praticarlo (https://www.gatestoneinstitute.org/10409/terrorism-persists-because-it-works).

No, gli assassini non sono matti. Non sono nemmeno genericamente “radicalizzati” o “estremisti”. Come dice l’Isis, sono “soldati dell’Islam”. Si identificano con una battaglia che non conosce pietà, confini, limiti. Ma non perché siano disorientati o nevrotici, bensì perché la loro legge, la loro sensibilità, la loro morale è diversa dalla nostra. Non bisogna pensare che i limiti che noi assegniamo all’uso della forza, il rispetto che noi tributiamo alla libertà individuale, la distinzione che noi facciamo fra combattenti e civili, l’orrore che proviamo per la tortura, siano patrimonio comune dell’umanità. Basta studiare un po’ di storia e di etnografia per saperlo. Per loro uccidere degli infedeli in una lotta per conquistare altre terre all’Islam è lecito, anzi meritorio. Per loro, per la loro tradizione chiunque non si arrenda è una preda legittima: può essere ucciso, schiavizzato, violentato, eliminato in ogni modo. Lo ripeto, questa non è un’invenzione moderna, è una tradizione ininterrotta millenaria, è il modo in cui hanno preso il territorio che ora rivendicano come eternamente loro: la sponda sud del Mediterraneo, la terra di Israele, la Siria e la Mesopotamia, l’Anatolia, il Caucaso, l’India. Tutti luoghi che ospitavano altri popoli, altre religioni, altri modi di vita e che loro hanno invaso con la forza, colonizzato, denazionalizzato, deculturalizzato, le cui popolazioni sono state sterminate, schiavizzate, violentate, assimilate.

Dobbiamo renderci conto di questo, che siamo di fronte a un’invasione che si presenta inizialmente come pacifica ma diventa via via più violenta. Terrorizza, occupa territorio, stabilisce avamposti e isole di nuovo potere. Poi si mostra pacifica ancora per ottenere il consenso degli sciocchi o dei venduti e riparte ancora ad allargare il proprio potere. E’ una strategia diversa dalle guerre vecchio stile, ma è una strategia. Una guerra. Se non la combattiamo, faremo la fine dei popoli che erano cristiani fino a pochi decenni o secoli fa in Siria, Iraq, sulla sponda del Mare Egeo e del Mar Nero, in Caucaso, e che oggi non ci sono più. Svegliamoci e non limitiamoci a compiangere.

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