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Ugo Volli
Cartoline
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Il realismo e i suoi limiti 25/09/2016

Il realismo e i suoi limiti
Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

Cari Amici,

vorrei dirvi una cosa importante, che spesso è ignorata (non saputa o dimenticata) non solo dagli antisemiti e dai nemici dello stato ebraico, ma anche dai sostenitori di Israele e che invece è importante per capire le sue scelte e i suoi comportamenti.
La cosa è questa: Israele è realista. Gli ebrei hanno appreso la dura scuola del realismo per tutta la loro storia. Grazie al realismo hanno saputo sopravvivere ai Faraoni e agli Imperatori persiani, ai Romani, al dominio dell’Islam e anche a Santa Madre Chiesa, che vollero tutti prima o poi eliminarli se non sempre fisicamente almeno culturalmente e religiosamente.

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Il sionismo è nato da una scelta realistica, dalla constatazione di Herzl e di tanti altri che i magnifici destini e progressivi della società occidentale non impedivano che la persecuzione degli ebrei continuasse dentro i suoi confini (il caso Dreyfus, quello Mortara, i partiti antisemiti in Francia, Germania, Austria) che fuori (i pogrom russi, le accuse del sangue rinnovate a Damasco e ancora in Russia, l’ostilità secolare e feroce fino all’incitamento al genocidio di parti importanti del mondo cattolico, Gesuiti in testa).

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Capito profeticamente che bisognava decidersi a scappare e farsi un paese per evitare lo sterminio, Herzl cercò ogni forma di compromesso, realisticamente cercò l’accordo del Papa e del Kaiser tedesco, del Sultano turco e della Gran Bretagna per il suo progetto di Stato. Accettò anche che non fosse uno Stato, ma una regione autonoma, era disposto a ottenerlo in perfino in Uganda, quando ogni altra soluzione sembrava impossibile, ma non fu seguìto dal movimento.
Realista fu Jabotinski, che cercò di integrare gli ebrei nell’esercito britannico, per prepararli a difendersi; più realista di lui Ben Gurion, che malgrado tutto accettò ogni compromesso, ogni divisione della terra. Sarebbe stato disposto a costruire lo Stato anche nei limiti ridicoli e asfissianti proposti dalle commissioni inglesi e poi dall’Assemblea dell’Onu, che non furono accettati dagli arabi.
Per realismo Israele accettò di fermare le proprie avanzate nelle guerre che gli erano state imposte nei paesi arabi circostanti, per realismo accettò gli accordi di Oslo, per realismo si ritirò prima dal Sinai, poi dal Libano del Sud e da Gaza.
Per realismo ha detto in diverse occasioni di accettare la soluzioni dei due stati.

Non sempre il realismo è giusto - non solo nel senso di corrispondere ai diritti, alla storia, alla dignità, ma anche in quello di rispondere ai propri fini. Alcune delle ritirate e delle concessioni, come quella del Libano e da Gaza, per fare un esempio chiarissimo, o gli accordi di Oslo, hanno avuto esiti disastrosi.
E’ difficile trovare la giusta estensione del realismo, forse è la cosa più difficile.
La tradizione religiosa ebraica permette qualunque compromesso, pur di salvare vite minacciate, salvo alcuni limiti: quasi qualunque cosa si può fare per la vita propria e altrui, salvo poche eccezioni, come, per esempio, commettere omicidio e bestemmiare.

Ci possono essere degli errori, che rimpiangiamo aspramente, come la scelta avventurista di Oslo (dovuta più a Peres e agli estremisti di sinistra che l’hanno sempre circondato che a Rabin); ma il realismo è inevitabile in un popolo che conta fra i 15 e i 20 milioni di persone in tutto il mondo, circa il 2 o 3 per mille della popolazione mondiale), di cui più di sei milioni stanno in Israele, circondati da un miliardo e mezzo di musulmani.
Israele non ha la base demografica, geopolitica, economica per ambire porsi come potenza dominante in una regione che le è culturalmente estranea.
Quel che le interessa in termini realistici è la ragione per cui è stata voluta da Herzl e poi fondata: per salvare la vita degli ebrei insidiati dall’antisemitismo, dando loro una patria sicura, in cui poter vivere secondo le loro capacità, le loro abitudini, le loro scelte.

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Realismo vuol dire guardare innanzitutto a questo, alla sicurezza e alla sovranità sul proprio territorio. Accettare e favorire tutto ciò che aumenta questa sicurezza, storicamente sempre minacciata, e garantisce questa autonomia. Respingere e combattere tutto ciò che la minaccia.
La pace con l’Egitto, costata grandi territori (il Sinai è tre volte più grande di Israele) e grandi risorse potenziali in minerali, turismo, profondità strategica) illustra questo punto.
Israele non ha ambizioni ad allargarsi, solo ad essere sicuro. Non ha approfittato delle difficoltà dell’Egitto, l’ha aiutato quando serviva contro il terrorismo, ha accettato i diversi regimi che si sono succeduti, non ha reagito a evidenti manifestazioni di antipatia e aggressività, quando vi sono state, perché ha sempre badato al sodo, a evitare la guerra.

Se gli arabi di Gaza e della Giudea e Samaria avessero avuto un atteggiamento analogo, avrebbero ottenuto da tempo il loro stato. Israele sarebbe stato disposto anche ad andarsene da alcuni dei suoi territori ancestrali, dai luoghi dei patriarchi e del regno di Giuda. Ma così non è stato e così non è ancora e forse non sarà mai, perché a differenza dell’Egitto, la “Palestina” non ha una base storica ed è stata inventata negli anni Sessanta solo come strumento per la distruzione di Israele.
Che l’odio per Israele sia la sola questione che interessa alla dirigenza palestinista, è evidente anche dall’ultimo discorso di Abbas all’Onu, già commentato da Deborah Fait ( http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=115&sez=120&id=63834 ; ma vi invito a leggere anche l’analisi dell’ambasciatore israeliano all’Onu Danon http://www.jewishpress.com/news/breaking-news/israeli-envoy-to-un-danny-danon-says-abbas-un-speech-is-ticking-time-bomb/2016/09/22/ ) e che vi invito a leggere direttamente per rendervene conto (http://www.jewishpress.com/news/breaking-news/palestinian-authority-leader-mahmoud-abbas-speech-to-un-general-assembly-full-text/2016/09/22/ ).

Israele non può permettersi retoriche buoniste o moraliste, come quelle del papa che invoca protezione per gli immigrati e rifiuta di invitare il Dalai Lama all'incontro di Assisi, o come Obama che promette di intervenire contro l'uso di armi chiniche in Siria e poi non lo fa.
Non può fidarsi della protezione internazionale che si è rivelata del tutto inutile in Bosnia, in Libano, in Ruanda e mille altre occasioni. Non può accontentarsi di parole vuote. Per questo Netanyahu ha sfidato Abbas a ripetere il gesto di Sadat, a prendersi la responsabilità di venire a parlare alla Knesset proponendo di fare lo stesso lui all'Assemblea Nazionale Palestinese (trovate qui il testo italiano del bellissimo intervento: https://www.facebook.com/ProgettoDreyfus/posts/1083803258362701:0 ; ma se capite l'inglese vi consiglio di ascoltarlo qui: http://www.jewishpress.com/news/breaking-news/netanyahu-tells-un-general-assembly-road-to-peace-runs-thru-jerusalem-ramallah/2016/09/22/ ).
Perché il realismo impone nell'ambito simbolico come in quello militare, politico e giuridico, di chiedere all'interlocutore di prendere impegni seri e non vaghi.
La strada di Sadat può essere realisticamente aperta, ma richiede per l'appunto il coraggio di Sadat (che non era un santino ma un nemico di Israele, ovviamente influenzato da Nasser e dall'ideologia nazista che egli aveva importato in Egitto insieme ad Al Husseini); ma aveva capito che per l'Egitto era essenziale la pace con Israele e mise a rischio la propria vita, anzi la perdette per mano dei Fratelli Musulmani, pur di ottenere questo obiettivo.

Ed è realistico dunque anche il passaggio del discorso di Netanyahu in cui ammonisce Obama e l'Onu che Israele non lascerà decidere del proprio destino deliberazioni demagogiche che potrebbero essere prese alle proprie spalle grazie alla demagogia di Hollande e di Obama (http://www.jewishpress.com/news/breaking-news/what-if-bibi-jabbed-obama-at-the-un-but-no-one-noticed/2016/09/23/ ).
La frase esatta è questa: "So che si parla di coalizzarsi contro Israele alle Nazioni Unite entro la fine dell'anno. Data la sua storia di ostilità nei confronti di Israele, qualcuno crede davvero che Israele permetterà alle Nazioni Unite di determinare la nostra sicurezza e i nostri interessi nazionali vitali? Non accetteremo alcun tentativo da parte delle Nazioni Unite di dettare condizioni ad Israele. La strada per la pace attraversa Gerusalemme e Ramallah, non New York."

Non è una minaccia, ovviamente. E' un avvertimento realistico sui limiti del realismo di Israele. Non c'è dubbio che essa sia stata notata e presa in considerazione a Mosca, a Washington, a Parigi e a Bruxelles. Se la minaccia di cui parla Netanyahu si realizzerà, certamente Israele saprà rispondere. Realisticamente.

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Ugo Volli


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