venerdi 26 aprile 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


Clicca qui






 
Ugo Volli
Cartoline
<< torna all'indice della rubrica
Bisogna scegliere: Israele o la pace 29/12/2010

Cartoline da Eurabia, di Ugo Volli

"Bisogna scegliere: Israele o la pace"


Saeb Erekat

Cari amici,  concludiamo questo 2010 senza la pace in Medio Oriente. Eppure sarebbe così facile raggiungerla... lo dice Obama, lo dicono i palestinesi che sono buoni... basterebbe che i governanti israeliani facessero la volontà del loro popolo, che in fondo vuole la pace anche lui, pur essendo fatto di ebrei. Ma sono ostinati, questi governanti, davvero estremisti. Come tutti i governi di Israele, del resto, di destra, sinistra, centro. Ecco, basterebbe che rinunciassero a costruire nelle colonie, riconoscessero i confini del '67 (noterete che per essere buono anch'io adotto la terminologia palestinese). E subito ci si potrebbe sedere al tavolo delle trattative, che sarebbe una bellissima realizzazione, e anche una piacevole rimpatriata, dato che saranno vent'anni che si è trattato nonostante le costruzioni nelle "colonie" e il mancato riconoscimento dei "confini" – senza troppo costrutto bisogna dire. Ma poi è venuto Obama e il negoziato si è interrotto grazie alla sua straordinaria abilità diplomatica...

Dunque, blocco delle costruzioni nelle colonie (dappertutto, eh, anche a Gerusalemme che è una colonia come tutti sanno, era islamica e poi è venuto quel re Davide a complicare le cose col suo protocolonialismo) e riconoscimento dei confini, quelli del '67, data magica per molti di noi, che del resto sono stati già sanzionati da grande potenze influenti nel medio Oriente come Uruguay e Bolivia. A questo punto però, di che si discute? Semplice, del rientro dei rifugiati. Che sono "7 milioni,il 70% della popolazione palestinese, e i cui diritti radicati nella legge internazionale e i cui desideri di tornare in patria [...] non possono essere trascurati senza rendere ogni trattato concluso con Israele completamente insostenibile". E dunque devono rientrare tutti fino all'ultimo, se no, anche se si firma la pace, non vale. Sapete chi ha scritto queste parole? Il moderato, moderatissimo negoziatore capo palestinese Saeb Erekat, in un intervento sul quotidiano inglese "The Guardian", un intervento così importante per la causa della pace che vi invito a leggerlo con molta cura: http://www.guardian.co.uk/commentisfree/2010/dec/10/israel-palestine-refugee-rights?INTCMP=SRCH .

Pensate come diventerebbe facile una pace definitiva se Israele finalmente si decidesse ad accettare le giuste condizioni esposte da Erekat. Israele, infatti, secondo la banca mondiale contava nel 2009 7.441.000 abitanti (http://www.google.com/publicdata?ds=wb-wdi&met=sp_pop_totl&idim=country:ISR&dl=it&hl=it&q=popolazione+israele), di cui circa il 20% sono già palestinesi, diciamo un milione e mezzo, più 3,5 milioni fra Gaza e Cisgiordania. Aggiungeteci  i 7 milioni di immigrati voluti dall'Olp (e non discutiamo qui se sono davvero rifugiati, oppure figli, nipoti, cugini di terzo grado, amici degli amici dei rifugiati, beduini di passaggio, turisti siriani o quant'altro: comunque saranno certamente bravi arabi musulmani) e avremo 12 milioni di "palestinesi" fra il Giordano e il mare, contro 5 milioni di ebrei. Anche se facciamo il conto solo sullo stato di Israele, riconosciuto con un trattato di pace sulla base di queste giustissime condizioni,  la differenza sarà netta, 8 milioni e mezzo contro 5. E' facile capire cosa succederà a quel punto, che i 12 milioni o gli 8 e mezzo comanderanno, con mezzi democratici o no,faranno a meno dei 5 e mezzo (come vuole il Corano, no? sono dhimmi, esseri inferiori) e finalmente li ricacceranno da dove sono venuti, la Germania, la Polonia, la Russia, come dice anche il buon presidente Ahamadinedjad. E così avremo finalmente la pace e potremo dedicarci tranquillamente al campionato di calcio.

Ma non basta. Erekat infatti parla anche di "ritorno e restituzione", aggiungendo che prima del '48, "il 90% della terra era dei palestinesi" e ad essi va restituita. Di nuovo, sarebbe di cattivo gusto dimostrare che le cose non stanno affatto in questi termini, che ben più di metà della terra era dello stato (dell'impero turco e poi del mandato e poi del demanio israeliano che legalmente ne ha raccolto il patrimonio) e molto del resto era stato regolarmente comprato dall'Agenzia ebraica. Bisogna far la pace, no? E allora non discutiamo sui dettagli, accettiamo le balle, pardon, la narrativa palestinese: bisogna restituire anche quel 90% della terra. E magari anche il 10% che resta, per evitargli crisi di solitudine esistenziale. Il che fra l'altro presenta il vantaggio che l'espulsione degli ebrei avverrà per via legale, senza bisogno d'altri mezzi  violenti se non una normale, civilissima procedura di sfratto. Poi "tornino da dove sono venuti".  Per esempio al fondo del mare.

Hanno un bel lamentarsi gli sciocchini pacifisti di Haaretz: "bisogna che sia chiaro che perfino liberals come Akiva Eldar e me stesso (Carlo Strengher), che siamo stati per uno stato palestinese ben prima che l'Olp e Israele iniziassero a parlarsi, abbiamo delle linee rosse che non possiamo superare. Mentre possiamo comprendere il bisogno palestinese di un riconoscimento delle sofferenze e la parziale responsabilità israeliana e anche il desiderio di qualche forma di riconoscimento,  il ritorno effettivo di un gran numero di palestinesi dentro i confini del '67 non è un'opzione accettabile per noi Israeliani [...] Ci saremmo attesi più saggezza politica da parte del negoziatore capo palestinese, la cui dichiarazione gioca a favore della destra israeliana, che da decenni ha detto che  i palestinesi non potranno mai accettare l'esistenza di Israele." (http://www.haaretz.com/blogs/strenger-than-fiction/the-palestinians-must-not-repeat-their-mistake-of-1947-1.330767)

Be', in effetti sì, queste cose si fanno ma non si devono dire. Qui Erekat ha davvero torto, non ha letto abbastanza Machiavelli e Gramsci, o forse non è andato abbastanza a scuola dalla mafia dei corleonesi. Per i progressisti di Haaretz (che "rappresentano fedelmente la causa palestinese", come dichiarano i palestinesi stessi: http://elderofziyon.blogspot.com/2010/12/palestinian-leader-praises-haaretz.html), l'importante è mantenere le illusioni, continuare a pensare che i palestinesi sono buoni e la colpa è tutta di Israele. Dunque che i palestinesi si preparino a tagliar loro la gola non importa, basta che non lo dicano. Ma se Erekat ha fatto queste dichiarazioni (e prima di lui Abbas, e prima ancora Arafat, beninteso in arabo, facendo la colomba in inglese), è perché questo intendono e questo vuole il popolo arabo. C'è poco da fare: una maggioranza araba e tutta la terra. Se no, perché rifiuterebbero di riconoscere il carattere ebraico dello stato di Israele, come chiede quella volpe di Netanyahu?
C'è una sola strada per la pace, loro pensano giustamente, ed è la distruzione di Israele, bisogna farsene una ragione. Avete presente quel vecchio detto romano, "hanno fatto il deserto e l'hanno chiamato pace"? Ecco, i palestinesi possono fare la pace solo con un Israele trasformato in deserto. Il che significa che, al di là del blocco delle "colonie", dei "confini del '67 e di tutto questo folklore, bisogna scegliere fra Israele e la pace. Io so che cosa scegliere. E voi?

Ugo Volli


Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT