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Luciano Tas
Le storie raccontate
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10 giugno 1940- Mussolini al microscopio 08/02/2010

10 giugno 1940- Mussolini al microscopio
 di Luciano Tas

La vigilia
Il 1° gennaio 1940 non è salutato con molta allegria in tutta Europa. La guerra è scoppiata quattro mesi prima e ha visto la Germania invadere e sgominare in poche settimane la Polonia, dopo che nel 1938 avere inghiottito l’Austria e in due tempi la Cecoslovacchia, sotto gli occhi pavidi di francesi e inglesi.
E l’Italia? Mussolini ha legato il paese all’”Asse”, cioè all’alleanza con la Germania e il Giappone, però sembra volersi sottrarre all’obbligo d’intervenire a fianco della Germania in guerra dal 2 settembre contro la Francia e la Gran Bretagna, le due democrazie occidentali giunte in tardo (e inutile) soccorso alla Polonia aggredita e rapidamente vinta. Le sue spoglie sarebbero state poi spartite tra la Germania e l’Unione Sovietica, tra la costernazione dei comunisti di tutto il mondo.
Il “Duce” proclama perciò non la neutralità dell’Italia, perché giudica la parola “neutralità” poco virile e troppo vicina all’Italietta di prima della cura fascista, ma la “non belligeranza”. Come dire: io non scendo nell’arena, ma con il cuore sto a fianco dei nazisti.
Vero è che la guerra si sta svolgendo in modo un po’ strano, tanto che viene chiamata “Drôle de guerre”. Sono fermi infatti dietro la linea Maginot i franco-inglesi, e sono fermi i tedeschi dietro la loro linea Sigfrido. I soldati inglesi cantano “stendiamo il bucato sulla linea Sigfrido”, mentre nella Polonia occupata i vincitori incominciano a costringere gli ebrei entro le mura dei ghetti creati nelle maggiori città del paese. I sovietici dal canto loro si affrettano a consegnare a Hitler gli esponenti comunisti tedeschi che in Unione Sovietica si erano rifugiati.
A marzo del ’40 qualcosa incomincia a muoversi e forse Hitler qualcosa anticipa a Mussolini nel loro incontro al Brennero. Del resto negli incontri tra i due dittatori è quello tedesco a tenere banco. La sua fluviale oratoria impedisce a Mussolini, che ostenta di conoscere il tedesco ma in verità lo mastica poco, di dire la sua.
E’ ad aprile che la Germania invade la Danimarca, che non prova nemmeno a resistere e si arrende senza combattere, e subito dopo la Norvegia, che vedrà a reggere il governo fantoccio imposto dai vincitori, un uomo il cui nome, Quisling, andrà a indicare tutti i fantocci imposti dai nazisti nell’Europa occupata.
Maggio 1940 è il mese in cui si consuma la catastrofe. I tedeschi invadono il Belgio, l’Olanda, il Lussemburgo e attaccano la Francia invadendola, bypassando la troppo mitizzata linea Maginot e terrorizzando soldati e civili con il lugubre urlo dei suoi bombardieri in picchiata, gli Stukas. Il 10 maggio sono già a Dunkerque, pronti a gettare a mare tutta un’intera armata anglo-francese. Hitler però privilegia l’agognata conquista di Parigi alla spallata su Dunkerque, da dove bene a male le truppe britanniche e parte di quelle francesi riescono a raggiungere le coste inglesi con l’epica impresa di natanti di ogni genere corsi a salvarli.
Ma la guerra per la Francia è perduta.
Il 4 giugno Dunkerque è occupata (ma la preda è ormai sfuggita), il 5 comincia l’urto finale. Sfondato il fronte della Somme e dell’Aisne non ci sono più difese possibili. I tedeschi marciano indisturbati verso Parigi, dove entreranno il 14. Due giorni dopo il Maresciallo Pétain, chiamato a salvare il salvabile, si arrende.
La firma dell’atto di resa avverrà sullo stesso vagone ferroviario e nella stessa località, Compiègne, ove nel 1918 erano stati i tedeschi ad arrendersi.
Scivola la “non belligeranza”
In queste circostanze la “non belligeranza” di Mussolini traballa, Il “Duce” che, come si sa e come si deve dire “ha sempre ragione”, pensa che la guerra stia volgendo al termine. Cosa potrà mai fare la Gran Bretagna, ormai sola contro la superpotenza tedesca? Sì, Mussolini lo sa, l’Italia non è pronta per entrare nel conflitto, non ha armi sufficienti, non ha carburanti sufficienti per fare andare i carri armati (che del resto non sono adeguati, tanto che i soldati li chiameranno “scatole di sardine”) e navi.
Ma l’occasione è ghiotta. I giornali sono adeguatamente istruiti dal Ministero della Cultura Popolare, detto “Minculpop” con intento beffardo e vagamente scurrile, a preparare la gente attraverso gli “ordini dall’alto” (dove per “alto” s’intende Mussolini, che non ha mai smesso di pensare e agire come il mediocre e incolto giornalista che è) che si chiamano “veline”. Si tratta di ordini, molto spesso già composti in titoli e scritti, pronti quindi per essere stampati, relativi ad ogni argomento. Ogni articolo che non sia di mera cronaca, e ancora, deve ricevere l’ok prima di venire stampato. Racconta in uno dei suoi scritti quel grande giornalista che fu Paolo Monelli che nella stucchevole cronaca di un intervento di Mussolini era scritto che in preda a incontenibile entusiasmo la folla aveva “rotto i cordoni” per meglio poter idolatrare il Duce. Il pezzo non ebbe l’approvazione per possibili fraintendimenti della frase incriminata e dovette essere sostituito o almeno censurato.
Così il Corriere della Sera del 1° giugno 1940 reca in tutta prima pagina nell’”occhiello” la notizia dell’”annientamento dei franco-inglesi nella Fiandra” e nel titolo si annuncia: “La massa dei Germanici vittoriosi pronti a iniziare una nuova grande offensiva”.
Da osservare che per ordini “dall’alto” non si poteva più scrivere o dire “tedeschi” ma bisognava chiamarli con la maiuscola “Germanici”.
A rafforzare la gioiosa interpretazione bellica del giornale e del Minculpop due agghiaccianti notizie di efferatezze inglesi. Una dice “Persecuzioni antitaliane a Malta –Enrico Mizzi arrestato”. La seconda, atta a fare odiare di più la “Perfida Albione”, come veniva ormai sempre chiamata la Gran Bretagna, “Atrocità britanniche – Popolazioni civili nel Belgio seviziate e massacrate dai soldati in fuga”. Come per dire: menomale che sono arrivati, sia pure non invitati, i civilissimi soldati della Croce Uncinata.
Per il resto, l’Italia si crogiola ancora al sole di giugno. Gli sconvenienti rumori della guerra sono lontani, arrivano attutiti da noi. Così in tutta tranquillità si gioca la finalissima del campionato di calcio: Ambrosiana contro Bologna. Ambrosiana? Ma sì, è l’Inter, il cui nome per intero –Internazionale – si capisce è tabù per il fascismo. Vincerà l’”Ambrosiana”, ancora senza il suo allenatore “speciale” portoghese. Il Bologna, degno secondo, era stato allenato per diversi anni (come del resto l’Inter, di cui era stato anche giocatore) dall’ebreo ungherese Árpád Weisz (finirà assassinato ad Auschwitz).
 E se l’Inter è diventata Ambrosiana, il Milan diventa Milano e il vecchio Genoa, a lungo allenato dal mitico Garbutt, inglese e inventore del “sistema”, il WM (chi sa di calcio capirà), diventa Genova. Il suo coach dovrà tornarsene in Inghilterra.
2 giugno. Titolo in “prima” del Corsera: “Gli inglesi fuggiaschi tempestati da stormi di aeroplani germanici”. La “spalla” è dedicata invece all’”Ardente indirizzo al Fondatore dell’Impero acclamato dal Consiglio Nazionale del PNF”. Fondatore dell’Impero naturalmente è Lui, il Duce. Quando l’Impero da lì a poco si dissolverà, sempre Monelli farà dire al’uomo della strada: “Prima ero regnicolo, ora sono impericolo”. 
Sempre tra le notizia rilevanti si segnala in seconda pagina che “Cinque milioni di rurali serrano i ranghi agli ordini del Duce”. Prima erano contadini, ora, grazie al fascismo sono diventati “rurali”. Indubbiamente un grande progresso. Ma cosa vorrà dire quel “serrano i ranghi”? Che si stringono perché fa freddo? E quali saranno stati mai questi “ordini del Duce”? L’articolo non lo dice.
Comunque anche “I mutilati del lavoro chiedono al Duce l’onore di servire la Patria in armi”. Chi non è mutilato preferisce, se può, andarsene dalle grandi città per paura dei bombardamenti.
Per ora però sono ancora molti che seguono con maggiore interesse le vicende del Giro d’Italia, che sarà l’ultimo per qualche anno.
Maiora premunt. Si legge infatti con gioia che “Il Führer rimette in libertà metà dell’esercito olandese”. Un uomo dal cuore d’oro. Per contro invece quanto è doloroso leggere: “Impressionanti documenti delle atrocità franco-inglesi. Prigionieri germanici torturati e uccisi”.  Menomale che c’é Hitler dal cuore d’oro che tutto perdona
Il 3 giugno in prima pagina a sei colonne si legge che “Il Duce premia gli inventori”, notizia ben più ghiotta di quelle relative alla guerra.
Altro impressionante titolo in prima: “Il Fondatore dell’Impero visita le scuole professionale dell’Urbe”. Già, perché Roma è diventata l’Urbe. Altro grande successo del regime.
Seguono: “Fiero giuramento di 20000 alpini” e “Fiero schieramento giovanile”. Quante fierezze.
Bisogna arrivare in terza pagina per sapere che “La battaglia del Nord è finita”. E davvero la Francia è molto vicina alla capitolazione.
Più interessante sembra essere la fine del campionato, vinto, come già detto, dall’Ambrosiana. Per la storia romana: quarta la Lazio, settima la Roma.
E poi c’è ancora il Giro d’Italia che arriva a Trieste. Quinto Coppi, che è primo in classifica, 31mo Bartali, quindicesimo in classifica.
Notizia da non perdere per finire la giornata in bellezza: “L’indirizzo al Duce fortemente sottolineato in Germania”. Per pura modestia non si aggiunge “e nel mondo”.
3 giugno. “La guerra” scrive il Corriere, “ha raggiunto Parigi”. Da noi però si dà rilievo al fatto che “L’E 42”, l’esposizione universale che avrebbe dovuto occupare tutto l’odierno quartiere romano dell’EUR a magnificare i fasti del fascismo nel ventesimo anniversario della marcia su Roma, è stata “rinviata su richiesta dei paesi partecipanti”. E’ comprensibile, dati i tempi.
Qualche prudente segno di gradimento alla marcia tedesca, anzi “germanica”, sull’Europa, lo dà anche la Spagna. Un titolo infatti, “La Spagna decisa a riscattare l’onta di Gibilterra” rivela il desiderio – wishful thinking, direbbero gli inglesi – che anche la Spagna concorra a dare una mano (e a non lasciare sola l’Italia a rimorchio del Führer). Francisco Franco, il duce spagnolo, deciderà però saviamente di astenersi dal partecipare a un gioco non ancora davvero concluso.
Sì, perché in Italia le stessa gente che pochi mesi prima - settembre 1939 –  pregava in cuor suo di venire risparmiata dalla guerra, ora che vede il tracollo della Francia e per scontato quello del Regno Unito, incomincia a farci un pensierino. Non è proprio entusiasmo per la guerra, il cui ingresso per l’Italia si profila ormai certo e imminente, ma l’idea, condivisa da Mussolini, che sarebbe in fondo peccato non partecipare alla divisione della torta. Previsione che si dimostrerà catastrofica, ma che in questi primi giorni di giugno, con il difficile salvataggio dei combattenti britannici in terra di Francia (ma non dei loro armamenti), e con l’amichevole neutralità dell’URSS, è comprensibile.
Per il resto, la vita continua. “Vibrazioni entusiastiche” a un raduno che vede la presenza di Mussolini, “La Scuola di Mistica Fascista chiede l’arruolamento”.
Ma, si è detto, la vita continua. Le notizie sui reati e sui crimini sono offerte con il contagocce e preventivamente sottoposte a censura.
Furti rari, omicidi lo stretto necessario, il marito che ammazza la moglie (e avr avuto le sue buone ragioni), la moglie che ancora più raramente uccide il marito. Di solito sopporta. Fascisticamente. Del resto la legge punisce con la galera l’adultera, mentre per gli adulteri basta un rabbuffo e una strizzata d’occhio. Si sa, l’uomo non è di legno va capito. E la famiglia è sacra, non si tocca.
Qualche truffa, soprattutto di carattere annonario. I raccolti vanno tutti obbligatoriamente all’”ammasso” dello Stato fascista e qualche chicco può perdersi qua e là.
Quindi tutto bene, Proteste nessuna, manifestazioni nemmeno a parlarne. Barzellette però molte, ma solo sussurrate e attenti a non sbagliare orecchio. C’è il confino nelle isole che non sono ancora perle del nostro turismo. C’è la galera, riservata forse ai propalatori di storielle troppo spinte politicamente, chissà. Come quella che mette in causa la madre di Mussolini, signora Rosa Maltoni e il marito, fabbro di Predappio.
Poi ci sono le notiziole che vengono dall’estero, a dimostrazione che l’Italia è un paese assolutamente aperto e libero. Per esempio non conosce censura la notizia che “Shirley Temple (una famosissima attrice bambina) va a riposo per limiti d’età”. E chi dice dunque che la stampa non ha senso di humour (da perdonare l’inglesismo)?
Però la notizia sulla piccola attrice chiamata “riccioli d‘oro” (è dolciastro, ma i tempi sono abbastanza cupi per conto loro) non è esatta. Shirley Temple avrà un dignitoso curriculum da attrice adulta e una più che onorevole maturità, visto che per alcuni anni ha rappresentato il suo paese da ambasciatrice in Ghana e successivamente in Cecoslovacchia, assumendo infine, prima volta per una donna, il prestigioso incarico di Capo del Protocollo alla Casa Bianca.

4 giugno.
“I forti e la città di Dunkerque espugnati” titola il Corriere per un obbligatorio peana ai tedeschi. Ma a Dunkerque non c’era più nessuno. Il grosso delle truppe britanniche e un considerevole numero di soldati francesi (quelli che con Charles de Gaulle costituiranno l’esercito francese di liberazione) sono stati messi in salvo, magari un po’ ammaccati, in Inghilterra.
Vantata come una strepitosa vittoria dalla nostra stampa, cui il Minculpop ha già anticipato quella che pochi giorni dopo sarà la decisione finale di Mussolini, in realtà il mancato annientamento dell’esercito britannico si rivelerà per la Germania un errore fatale.
Nel suo fondo del 5 giugno il Corriere riporta le parole pronunciate il giorno prima dal Duce nel corso di un convegno (Mussolini va pazzo per i convegni, fosse pur quello delle camiciaie fasciste): dice dunque il Fondatore dell’Impero e poi suo affossatore: “Io vorrei fare questa affermazione di massima. Vincerà la guerra quel gruppo di belligeranti che più presto e più profondamente tramuterà il carattere della guerra e convertirà in guerra di guerrieri consapevoli e pronti a tutto ciò che è stato sino a ora fatica e sacrificio di masse rassegnate”. Applausi deliranti (e richiesta di traduzione?).
Non solo convegni. L’occhiello dell’articolo informa che “Il Duce presiede il Consiglio dei Ministri” e il titolo è “La preparazione del paese alla guerra”. E’ ovvio che il dado è stato tratto.
In terza pagina si legge che “Londra ha bisogno di Alleati”, ed è evidente. Poi un altro articolo reca questo titolo: “L’Italia estende generosamente i suoi benefici al modo islamico”. Questa sì che è una notizia. Che siano stati quei benefici a rendere anni dopo così irrequieto il mondo islamico?
Poi c’è il momento della solennità e della commozione aulica- si legge de “La missione dell’Asse per l’avvenire dell’Europa e del mondo”. Una missione che pietosamente va compiendo in Cina anche il Giappone, ma che i cinesi sembrano non apprezzare in pieno.
E ancora la vita quotidiana ha il sopravvento. La radio (EIAR, Ente Italiano Audizioni Radiofoniche) annuncia nel suo palinsesto della giornata che alle ore 16.40 andrò in onda “Camerata del Balilla”, ma subito dopo, ultimi sprazzi di fatuità tollerata, alle 17.40 “Musica da ballo”, un strappo alla virile severità dell’Italia fascista. Musica sì, ma bando a “Maramao perché sei morto, pane e vin non ti mancava, l’insalata era nell’orto e una casa avevi tu”, proibita perché qualcuno potrebbe pensar male e fare accostamenti malsani.
Più seria invece l’intimazione alimentare. Si avverte che da oggi “La pancetta arrotolata è soggetta alle restrizioni della carne (si sa, la carne è debole), ma rimane libera la vendita della pancetta quadrata”.

6 giugno.
Si annuncia “La grande offensiva verso Parigi” e si raccomanda alla gente di “prepararsi all’oscuramento totale”. Si capisce così quello che sta per capitare all’Italia.
Gli osservatori più attenti, come è il caso di Paolo Monelli, rilevano (ma ovviamente lo scriveranno solo dopo l’8 maggio 1945) che mentre a settembre del ’39, dopo l’invasione tedesca della Polonia, l’annuncio della “non belligeranza” italiana veniva accolta con un sospiro di sollievo da tutta la popolazione del nostro paese, man mano che le sorti della guerra paiono segnate con la marcia trionfale di Hitler su buona parte dell’Europa, il senso di “non perdiamoci questa occasione se no a tavola non restano che le ossa da rosicchiare” sembra prevalere.
Se servisse a “caricare” il paese, ma non ce n’era bisogno, si possono leggere titoli come: “Bestiale crudeltà francese contro lavoratori italiani - Sette connazionali fucilati”, come se  francesi in piena rotta e in stato confusionale collettivo non avessero altro da pensare. Ma un po’ d’odio, via, ci vuole.
Il Giro d’Italia sta per concludersi e lo vincerà a sorpresa un giovane e ancora sconosciuto Fausto Coppi, ma ecco “La rivincita di Bartali nella tappa dei tre valichi”. L’onore dei fan di Bartali è salvo e a Coppi, subito dopo venire incoronato a Milano, verrà tolta la corona e sostituita da un elmetto. Tornerà in bicicletta a guerra finita.

7 giugno
Continuano sui giornali i toni esaltati per “L’offensiva germanica (che) procede metodica e possente” (come usava dire un mio caro amico “Eiaculatio cum pene aliorum”), ma per meglio indurre i lettori al disprezzo del nemico ci si premura di aggiungere: “Le fanterie negre sulle prime linee francesi”. Come dire: vedete che.
Più importante però che “Il Duce elogia lo sviluppo dell’Istituto delle assicurazioni”, specie ora che dalle Assicurazioni sono stati cacciati tutti i dipendenti ebrei. E più importante ancora “L’annuale dei carabinieri (con) vibranti messaggi al Duce”.
Invece “Situazione grave a Malta. Numerosi arresti di nazionalisti”. A Malta non si conosce proprio la democrazia. Per imporla “Un Comitato d’azione maltese è costituito a Roma”. Come la libertà annunciata in “Faccetta nera” per l’Abissinia, dove per ulteriore generosità le si promette “il nostro Duce e il nostro Re”.
L’Italia fascista si accinge ad accodarsi alla Germania proprio pochi giorni prima, si pensa e si dice, che finisca la guerra. Per prudenza però un decreto ingiunge agli italiani di consegnare, con “ritiro a domicilio”, “tutto il rame denunciato” compresi gli “oggetti di cucina eccedenti i 20 chili”.
Incomprensibili oltre che scandalosi gli “attacchi aerei inglesi sulla Ruhr e su Amburgo” che hanno comportato “numerose vittime civili”. Perfida Albione.

8 giugno
Se “I Germanici (sempre maiuscolo) sorpassata la linea Weygand progrediscono implacabilmente su Dieppe. Compiègne e Soissons” e si accingono a vincere la grande Battaglia di Francia, da noi si procede alla “Assegnazione della benzina agli autoveicoli”. Il razionamento. Non siamo ancora in guerra, gli autoveicoli sono pochissimi, eppure la benzina è già razionata.
L’umore però è alle stelle. “Il Canale di Suez” si legge in un titolo, “chiude bottega”. Poi “Gli inglesi dovranno rassegnarsi ad abbandonare gli sbocchi del Mediterraneo. Ormai il loro sistema di prepotenti speculazioni è in disaccordo con la stessa Storia”. Hanno litigato?
Se la nostra guerra abissina qualcuno (le famigerate 52 nazioni citate da Muaolini) poteva definirla “prepotente”, la nostra “speculazione” forse non risulterà nemmeno molto produttiva, viste le condizioni di estrema miseria dell’Etiopia, dove non si trova traccia delle vantate miniere d’oro, di platino e di diamanti.
Ma la cronaca nazionale incombe e annuncia la scoperta di una grande truffa compiuta da un tizio che si spacciava per sottosegretario di qualche ministero. La truffa, si legge, è stata compiuta “assieme al suo aiutante giudeo”. Tanto per non far dimenticare le malefatte dei “giudei”.

9 giugno
“Tremenda sconfitta di Weygand – I francesi in ritirata su un fronte di 150 chilometri”. E’ la fine. Si aspetta la capitolazione. La Francia ha perduto catastroficamente una guerra nel momento stesso in cui l’aveva cominciata. Vi era entrata di mala voglia, divisa com’era in quel 1939 tra una forte componente antisemita, fascista, filo-nazista, e un’altrettanto forte componente comunista che, ossequiente a Mosca, alleata di Hitler dalla spartizione della Polonia, vedeva il principale nemico non nella Germania di Hitler ma nella malridotta democrazia liberal-conservatrice francese.
La Francia del settembre 1939 non era affatto più debole della Germania, solo non voleva combattere e “Morire per Danzica”. Alla prima spallata il suo esercito si è disintegrato e la cultura della resa ha avuto la meglio.
I nostri giornali, strettamente diretti e persino redatti da Roma, si affannano a spiegare la decisione che Mussolini non ha ancora comunicato al popolo.
Scrive il Corsera: “Ogni possibilità di vita negata nel Mediterraneo (nove mesi di controllo degli alleati insegnano). La serie dei soprusi ha superato ogni limite (carichi deteriorati per i ritardi. Anche motopescherecci fermati)”.
Un po’ poco per muovere guerra, forse bastava una semplice nota diplomatica, se i fatti denunciati fossero stati veri. Ma d’altronde altri seri motivi per una guerra non ci sono davvero in questo 9 giugno del 1940, a parte l’ansia di essere esclusi dal banchetto.
Per tener tranquilla la gente si scrive di una “Schiacciante superiorità delle nuove corazzate”. Questa schiacciante superiorità sarebbe stata smentita clamorosamente dall’attacco di aerosiluranti inglesi a Taranto pochi mesi più tardi.
Infine, sempre per farsi coraggio, si dice che “L’atteggiamento dell’Italia rende insonne Londra”. Solo i bombardamenti tedeschi nei mesi a venire terranno svegli i londinesi.

Da piazza Venezia alle 18.30 parla Mussolini
Combattenti di terra, di mare e dell'aria! Camicie nere della rivoluzione e delle legioni! Uomini e donne d'Italia, dell'impero e del regno d'Albania! Ascoltate!
Un'ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria. L'ora delle decisioni irrevocabili.
La dichiarazione di guerra è già stata consegnata (Grida altissime di "Guerra! Guerra!") agli ambasciatori di Gran Bretagna e di Francia.
Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell'occidente che, in ogni tempo, hanno ostacolato la marcia, e spesso insidiato l'esistenza medesima del popolo italiano.
Alcuni lustri della storia più recente si possono riassumere in queste frasi: promesse, minacce, ricatti e, alla fine, quale coronamento dell'edificio, l'ignobile assedio societario di cinquantadue stati.
La nostra coscienza è assolutamente tranquilla. Con voi il mondo intero è testimone che l'Italia del littorio ha fatto quanto umanamente possibile per evitare la tormenta che sconvolge l'Europa; ma tutto fu vano.
Bastava rivedere i trattati per adeguarli alle mutevoli esigenze della vita delle nazioni e non considerarli intangibili per l'eternità; bastava non iniziare la stolta politica delle garanzie, che si è palesata soprattutto micidiale per coloro che le hanno accettate; bastava non respingere la proposta che il Fuhrer fece il 6 ottobre dell'anno scorso, dopo la finita campagna di Polonia.
Oramai tutto ciò appartiene al passato. Se poi oggi siamo decisi ad affrontare i rischi e i sacrifici di una guerra, gli è che l'onore, gli interessi, l'avvenire ferramente lo impongono, poiché un grande popolo è veramente tale se considera sacri i suoi impegni e se non evade dalle prove supreme che determinano il corso della storia.
Noi impugnammo le armi per risolvere, dopo il problema risolto delle nostre frontiere continentali, il problema delle nostre frontiere marittime; noi vogliamo spezzare le catene di ordine territoriale che ci soffocano nel nostro mare, poiché un popolo di quarantacinque milioni di anime non è veramente libero se non ha libero accesso agli oceani.
Questa lotta gigantesca non è che una fase dello sviluppo logico della nostra rivoluzione; è la lotta dei popoli poveri e numerosi di braccia contro gli affamatori che detengono ferocemente il monopolio di tutte le ricchezze e di tutto l'oro della terra; è la lotta dei popoli fecondi e giovani contro i popoli isteriliti e volgenti al tramonto; è la lotta tra due secoli e due idee.
Ora che i dadi sono gettati e la nostra volontà ha bruciato alle nostre spalle i vascelli, io dichiaro solennemente che l'Italia non intende trascinare nel conflitto altri popoli con essa confinanti per mare o per terra. Svizzera, Jugoslavia, Grecia, Turchia, Egitto prendano atto di queste mie parole e dipende da loro, soltanto da loro, se esse saranno o no rigorosamente confermate.
Italiani!
In una memorabile adunata, quella di Berlino, io dissi che, secondo le leggi della morale fascista, quando si ha un amico si marcia con lui fino in fondo. ("Duce! Duce! Duce!") Questo abbiamo fatto con la Germania, col suo popolo, con le sue meravigliose forze armate.
 In questa vigilia di un evento di una portata secolare, rivolgiamo il nostro pensiero alla maestà del re imperatore che, come sempre, ha interpretato l'anima della patria. E salutiamo alla voce il Fuhrer, il capo della grande Germania alleata (Il popolo acclama lungamente all'indirizzo di Hitler).
L'Italia proletaria e fascista, è per la terza volta in piedi, forte, fiera e compatta come non mai (La folla grida:"Sì!"). La parola d'ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti. Essa già trasvola e accende i cuori dalle Alpi all'Oceano indiano: vincere! (il popolo prorompe in altissime ovazioni).
E vinceremo, per dare finalmente un lungo periodo di pace con la giustizia all'Italia, all'Europa, al mondo.
Popolo italiano! Corri alle armi (ovazione) e dimostra la tua tenacia (ovazione) il tuo coraggio (ovazione) il tuo valore! (ovazione prolungata).


    Analisi logica del periodo
   Il discorso di Mussolini al microscopio

L’esordio
“Combattenti di terra, di mare e dell’aria!...”. Come si fa a rivolgersi ai “combattenti” se ancora non è incominciata la guerra? Nessuno ancora combatte, come nessuno sembra rilevare la contraddizione.

Prima scena
 “Un’ora segnata dal destino batte nel cielo della nostra patria. L’ora delle decisioni irrevocabili”. Magari suona bene, ma davvero non c’è alcuna ora che batte nel cielo, e non è proprio l’ora delle decisioni irrevocabili. Perché mai dovrebbero essere irrevocabili? Chi glielo ha fatto fare di entrare in guerra, tanto più se immaginata conclusa?

Chi ci insidia l’esistenza? E come?
 “Scendiamo in campo contro le democrazie plutocratiche e reazionarie dell’occidente che in ogni tempo hanno ostacolato la marcia e spesso insidiato l’esistenza medesima del popolo italiano”. Qui avrebbe dovuto spiegare come mai eravamo alleati delle “democrazie plutocratiche”, cioè Francia e Inghilterra (e chi altro se no?) appena 25 anni prima, nella prima guerra mondiale, e come in questi 25 anni hanno “spesso insidiato l’esistenza del popolo italiano”. Nessuno se n’era accorto.

Le “inique sanzioni”.
Ah, accennava alle sanzioni economiche contro di noi (“ignobile assedio societario di cinquantadue stati”) in seguito all’aggressione all’Etiopia.  Questi 52 stati erano tutti plutocratici e reazionari, nonché, peggio, democratici?

La chiamata dei testimoni.
“Il mondo intero è testimone che l’Italia del littorio ha fatto quanti umanamente possibile per evitare la tempesta che sconvolge l’Europa”. Ma che ha fatto? Sarebbe utile fornire almeno qualche esempio. A occhio e croce sembrerebbe nulla.

Sarebbe bastato…
“Bastava rivedere i trattati… bastava non iniziare la stolta politica delle garanzie… bastava non respingere la proposta che il Führer fece il 6 ottobre dello scorso anno, dopo la fine della campagna in Europa”. Sì, soprattutto dare retta a Hitler dopo che aveva inghiottito l’Austria, poi la Cecoslovacchia in due bocconi diversi, e infine la Polonia… Perché mai Franca e Gran Bretagna alla fine hanno dovuto – di molta malavoglia – onorare la propria garanzia alla Polonia dopo avere “disonorato” quella alla Cecoslovacchia? Forse perché non credevano più all’ultima delle molte solenni assicurazioni della Germania nazista?

Lo impone l’onore.
“Se oggi siamo decisi ad affrontare i sacrifici di una guerra, gli è che l’onore, gli interessi, l’avvenire fermamente lo impongono perché un grande popolo è veramente tale se considera sacri i suoi impegni e se non evade dalle prove supreme che determinano il corso della storia”. Ma più l’onore o più gli interessi? Se era una questione d’onore, perché ricordarsene ora, giugno 1940 e non il 1° settembre del 1939)?
Venir meno ai “sacri impegni”. Perché ricordarsene soltanto a guerra considerata ormai finita da tutta la stampa (in ossequio alle veline del Minculpop, dunque a parere del Duce)? E gli interessi? Sì. Quello si sa, è come per il poker, a volte si vince, a volte si perde. Ma a poker  può perdere solo chi vuole giocare, in guerra perdono quelli che sono obbligati a giocare, nella fattispecie 45 milioni d’italiani.

Perché impugnare le armi.
“Per risolvere, dopo il problema risolto delle nostre frontiere continentali, il problema delle nostre frontiere marittime. Noi vogliano spezzare le catene che ci soffocano nel nostro mare, poiché un popolo di quarantacinque milioni di anime non è veramente libero se non ha libero accesso agli oceani”.
Si capisce bene come abbiamo risolto il problema delle nostre frontiere continentali, avendo vinto la prima guerra mondiale, e come capita quasi sempre nelle guerre, chi vince si prende un pezzo di terra che sta dall’altra parte e lì si fissano i confini che poi, con qualche eccezione, vengono riconosciuti internazionalmente. Ma per nuove frontiere marittime occorrerebbe spostare l’Italia ad ovest, fino a farla affacciare sull’Atlantico e non più sul Mediterraneo. Altri modi non si vedono. E nel nostro piccolo si può dire che mai qualcuno ci ha chiuso le porte del Mediterraneo, canale di Suez e Gibilterra, e non risulta che qualche nostra nave abbia dovuto ritornarsene indietro.

Come aveva fatto la Germania, anche l’Italia “garantisce
  “Io dichiaro solennemente – dice Mussolini dopo avere dichiarato guerra - che l’Italia non intende trascinare nel conflitto altri popoli con essa confinanti per mare o per terra. Svizzera, Jugoslavia, Grecia, Turchia, Egitto prendano atto di queste mie parole, e dipende da loro se esse saranno o no rigorosamente confermate”.
Ma la Grecia? Che cosa ci aveva fatto la Grecia per farci rinnegare quella “dichiarazione solenne” appena quattro mesi dopo?

La parola d’ordine
 “L’Italia proletaria e fascista è per la terza volta in piedi, forte, fiera e compatta come non mai. La parola d’ordine è una sola, categorica e impegnativa per tutti. Essa già trasvola e accende i cuori dalle Alpi allOceano Indino. Vincere! E vinceremo, per dare finalmente un lungo periodo di pace con la giustizia all’Italia, all?Europa, al mondo”.
L’Italia era veramente “proletaria”? E le industrie, e i commerci, e gli artisti, e le”realizzazioni” del regime, come la fin troppo sbandierata bonifica delle paludi pontine, e l’impero? Tutto proletariato?
Poi “la parola d’ordine è una sola”, ma meglio sarebbe definirla, come si dice a Roma, una sòla, cioè una fregatura. E di quale disastrosa entità. Una parola d’ordine che ci avrebbe disonorato con quel poignard dans le dos inflitto alla Francia morente.

Un gesto di pace?
“ Vincere e vinceremo, per dare finalmente un lungo periodo di pace con la giustizia all’Italia, all’Europa, al mondo”. Può darsi che avessero ragione gli antichi romani con il loro “si vis pacem para bellum”, ma intendevano “preparare” la guerra, non scatenarla.

E le armi non c’erano
Il Duce concludeva così: “Popolo italiano! Corri alle armi e dimostra la tua tenacia, il tuo coraggio, il tuo valore!”, il tutto interrotto da “lunghi e fragorosi applausi”. Ma, come si è poi verificato, le armi non c’erano, la “corsa” non è stata così entusiastica, la guerra dell’Italia, condotta da generali che in genere ambivano di più a restare nella cerchia del dittatore che fare il loro lavoro, con i soldati mandati allo sbaraglio in Russia e in Africa, con “scatole di sardine” invece che carri armati, quella guerra ci ha fatto conoscere una sconfitta dopo l’altra, fino alla tragedia finale  fino a far festeggiare il popolo all’arrivo delle truppe alleate e salutarle per quello che erano: i liberatori.

 Il giorno dopo
Il Corriere della Sera dell’11 giugno sottolinea che “Milano combattente è in piedi”. Frase dubbia. Forse gli altri italiani restano seduti?
Ma il giornale guarda più in alto. “Enorme ripercussione mondiale delle dichiarazioni del Duce e dell’intervento italiano”. Che tutti in tutto il mondo siano rimasti in piedi?
“Folgorante annuncio del Duce: dalle Alpi all’Oceano Indiano un solo grido di fede e di passione, Duce!”. Bene le Alpi, ma che c’entra l’Oceano Indiano? “ “Con fiammeggiante volontà di lotta e di gloria le moltitudini acclamano al Sovrano e al Duce”. Forse sarebbe stato meglio “il” Sovrano e “il” Duce”, non “al”.
La coltellata alla schiena della Francia (si arrenderò pochi giorni dopo) è inferta. Ma una canzone – “Ci rivedremo in Tunisia” - che diffonde la radio nell’agosto del ’40 dice così: “E’ spenta ormai nel cuor l’antica fiamma/ Marianna, Marianna/ che un giorno c’invocò come la manna/ ed oggi che fa?/ dimenticando che l’abbiam salvata/ boriosa e ingrata, nulla ci vuol dar…”. Ma davvero, nemmeno “grazie” ci ha detto la Francia.


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