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Non dimenticheremo mail gli orrori del 7 ottobre (a cura di Giorgio Pavoncello) 15/01/2024


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Luciano Tas
Le storie raccontate
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1993 : 50 anni dall'insurrezione del Ghetto di Varsavia 09/04/2009
Dopo il referendum del 1992 la Cecoslovacchia si divide. Nasce da una parte la Repubblica cèca, con Boemia e Moravia, e dall’altra la Slovacchia, paese slavo. La Cecoslovacchia, come la Jugoslavia, era nata da un drammatico errore dei vincitori della prima Guerra Mondiale, che avevano voluto disegnare i nuovi confini europei senza andare per il sottile, cercando di far stare insieme olio e aceto. Però, a differenza della Jugoslavia, il cui smembramento chiede un prezzo molto alto di vittime, il divorzio cecoslovacco avviene pacificamente, esempio unico nella storia d’Europa. A febbraio in Italia, nella raffica di arresti e avvisi di garanzia nel quadro di quella operazione della magistratura chiamata poi “Mani pulite”, la tempesta tocca anche l’ENI, la grande azienda petrolifera pubblica, cui può essere addebitato il ruolo di iniziatrice “oggettiva” del diffuso fenomeno degenerativo che in questi mesi del ‘93 è sotto gli occhi di tutti. Era stata l’ENI di Enrico Mattei (personalmente uomo integerrimo, antifascista, ex-partigiano, cattolico) a inaugurare negli anni Cinquanta il disinvolto uso delle distribuzioni di denaro pubblico a quasi tutti i partiti italiani. Era stato proprio Mattei a dire che per lui i partiti erano come i taxi, li prendeva, li usava e poi scendeva dopo avere pagato la corsa. La battaglia di Mattei era quella di far saltare il monopolio delle “sette sorelle”, cioè le grandi compagnie petrolifere americane e anglo-olandesi, la cui egemonia aveva suscitato il risentimento dei governanti arabi che reputavano ormai inaccettabile il fatto che i loro paesi, o meglio i loro clan dominanti, venissero sfruttati e privati di gran parte delle loro ricchezze proprio dalle “sette sorelle”. Così l’ENI si collocherà strategicamente dalla parte dei petrolieri arabi, e implicitamente dalla loro parte tout court. Il suo taxi del momento reca qui l’insegna della mezzaluna ed è guidato contro Israele. Sembra persino (ma sono sempre mancate le prove concrete) che l’ENI abbia qualche riluttanza ad assumere dipendenti ebrei, ebrei italiani, s’intende. Il 19 aprile ricorrono cinquanta anni dall’insurrezione del Ghetto di Varsavia. Fino al 1° settembre del 1939 vivevano a Varsavia, su un totale di 1.261.000 abitanti, 370.000 ebrei (in tutta la Polonia erano poco meno di tre milioni). Ben presto i tedeschi, dopo avere messo in ginocchio la Polonia, spartendola con Stalin (il prezzo pagato da Hitler al neo-alleato sovietico), si affrettavano a innalzare un muro a chiudere il quartiere dove già vivevano molti ebrei, e ad inviarvi tutti gli ebrei di Varsavia, oltre a centomila ebrei tedeschi di origine polacca che Hitler aveva espulso prima della proditoria aggressione alla Polonia. In totale dunque nel ghetto di Varsavia venivano ammassate quasi 500.000 persone in condizioni subumane. Il freddo, la fame e le frequenti retate, dette Aktion, che portavano alla deportazione e alla morte, più o meno il numero di 500.000 restava uguale per l’ingresso di altri ebrei catturati un po’ ovunque, almeno fino a quando le retate e i trasporti verso Auschwitz, Sobibor, Treblinka andavano svuotando il Ghetto. Erano rimasti in 50/60.000 gli ebrei del Ghetto di Varsavia, ormai pienamente consci del loro destino, quando molti pensarono alla rivolta come “il modo di scegliere la nostra morte”. Era il 19 aprile del 1943. L’armamento dei rivoltosi consisteva in cinquanta pistole fornite dai partigiani polacchi (che in verità non fecero molto, e mai gratis, per i combattenti del ghetto), qualche fucile e altre armi leggere sottratte ai soldati tedeschi uccisi. Contro un pugno di ebrei vi erano duemila soldati tedeschi, appoggiati da carri armati e dall’artiglieria, al comando del colonnello Sammern-Frankenneg, 19 aprile. Alla fine del mese tutta la forza tedesca non era bastata a soffocare la rivolta. Così rilevava il comando il generale Jurgen Stroop, che oltre all’artiglieria e ai carri armati, gettò il gas nella rete fognaria, dove si nascondevano i combattenti del Ghetto. L’8 maggio cadevano i ragazzi ebrei nel loro “quartier generale”. Il giorno 16 l’insurrezione finiva, e finiva anche il Ghetto. Il generale Stroop poteva comunicare a Berlino che “il Ghetto non esiste più”: era stato raso al suolo con quanti vi si trovavano. Per festeggiare l’avvenimento Stroop faceva saltare l’ultima sinagoga rimasta in piedi a Varsavia. Cinquanta combattenti ebrei riuscivano però a fuggire e a raggiungere i partigiani polacchi. Con loro dovevano partecipare poi, nell’agosto 1944, alla sfortunata rivolta di Varsavia. Morirono tutti combattendo, mentre al di là della Vistola l’esercito sovietico si era fermato a guardare. Sempre nel ’93 è diffuso il programma di Hamas, il movimento fondamentalista islamico, redatto sotto la guida dello sceicco Ahmed Jasin. Si tratta di un documento composto da 27 articoli, di cui ecco alcuni stralci. . Il primo articolo afferma che “il movimento Hamas s’impegna a condurre la Guerra Santa per la Palestina” fino alla vittoria. “Il paese”, continua al secondo articolo, “deve essere purificato dalla putredine e dal male” ovviamente portato dagli ebrei. Interessante poi l’articolo 4 dove si recita che “secondo il comandamento del Profeta i musulmani sono tenuti a combattere gli ebrei e ad ucciderli in quanto ebrei”, ma qui si tratta di un plagio: qualcuno infatti lo aveva già detto e fatto mezzo secolo prima. Quanto a possibili negoziati di pace, è illuminante l’articolo che dice: “La Palestina è sacro possedimento islamico (Waqf) e “nessuno può farne oggetto di negoziato”. Il concetto è meglio precisato all’articolo 8: “Hamas si oppone ad ogni sorta di conversazioni internazionali, ad ogni trattativa, ad ogni accordo di pace”. Sarà difficile, spiegano al articolo successivo, perché “gli ebrei si sono impossessati dei media, di centri finanziari mondiali” e “per mezzo di rivoluzioni, guerre, movimenti come la massoneria, il comunismo, il capitalismo, il Rotary, i Lyons, i Bené-Brit, e simili, essi minano tutta la società umana al fine di distruggerla”. Mancano le associazioni sportive e i tornei di scopone, poi ci sono tutti. E si conclude asserendo che “i loro intrighi sono codificati nei ”. Per non generare dubbi sul futuro governo islamico, il programma all’articolo 10 precisa che “Hamas si oppone a uno stato laico quale propone per la Palestina l’OLP” perché si tratterebbe di “uno stato essenzialmente anti-islamico”. L’OLP, che si limita a chiedere un governo islamico sì, ma laico, sarebbe dunque “il poliziotto buono”. Poi l’articolo 13 ribadisce che “Le iniziative considerate soluzioni per mezzo di trattative pacifiche (.) sono in contrasto con le idealità del ”. Idealità che comprendono anche le premurose preoccupazioni per l’infanzia. Infatti, è scritto, “come allevare e educare i bambini alle prescrizioni e ai valori dell’Islam”? E’ semplice, attraverso “l’educazione religiosa dei bambini come preparazione alla Guerra Santa che li attende”. Commovente. Infine, e siamo all’articolo 22, un solenne avvertimento: “Sottrarsi alla lotta contro Israele è un atto di alto tradimento e la maledizione ricadrà sui peccatori”. Che cari ragazzi. Esce in Vaticano il Nuovo Catechismo. Non sembra molto più aperto al dialogo del precedente. “Cristo è la Parola unica perfetta e non ci sarà altra parola che quella”. “Al di fuori della croce non vi è altra scala per salire al Cielo”. “La Chiesa considera tutto ciò che di buono e di vero si trova nelle altre religioni come una preparazione al Vangelo”. “Il deposito della fede contenuto nelle Sacre Scritture è stato affidato alla totalità della Chiesa”. E allora che c’è più da dialogare? E con chi? Il 13 settembre fotografia “storica” (ma quante cose “storiche” nella Storia!) con Rabin e Arafat che si stringono la mano mentre dall’alto Clinton è benedicente. A dire il vero le premesse per una pace vera ci sono tutte. Israele ottiene il riconoscimento al suo “diritto all’esistenza”, il ripudio del terrorismo, l’annullamento di parti della Carta OLP, quelle dove si santifica l’obiettivo di distruggere Israele. Arafat dal canto suo è riconosciuto da Israele come legittimo rappresentante del popolo palestinese, mentre si configurala nascita di uno Stato palestinese… Davvero hanno meritato il Nobel per la pace, perché la pace sembra proprio dietro l’angolo. Non lo sarà più quando qualche anno dopo lo stesso Arafat rifiuterà la firma ad un accordo finale nel quale Israele accoglieva il 95% delle richieste palestinesi. Forse Arafat non se la sentiva di farsi ammazzare dagli estremisti di casa sua.

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