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Luciano Tas
Le storie raccontate
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1976: l'anno di Entebbe
 Il 12 gennaio si riunisce il Consiglio di Sicurezza, ma la risoluzione presentata sul problema mediorientale da sei paesi, Benin, Guyana, Pakistan, Panama, Romania e Tanzania, viene respinta con il veto, determinante, degli Stati Uniti.

La risoluzione affermava

a) che il popolo palestinese dovrà essere messo in grado di esercitare il suo inalienabile diritto nazionale di autodeterminazione, incluso il diritto di stabilire uno Stato indipendente in Palestina (…)

b) il diritto dei profughi palestinesi che vogliono tornare alle loro case (.) di farlo (,,,)

c) che Israele deve ritirarsi da tutti i territori occupati dal 1967,

Si sono astenuti Gran Bretagna, Italia, Svezia. Hanno votato a favore, oltre ai sei presentatori, Francia, Giappone, URSS. Non hanno partecipato al voto Cina e Libia perché la risoluzione proposta era “troppo favorevole a Israele”. Ma anche l’OLP non sembra troppo felice e commenta che “noi vogliamo recuperare tutta la regione, ogni campo, ogni piazza e ogni casa che in passato erano nostri (…) La legge naturale è dalla nostra parte”-

Il PCI lamenta che l’Italia non abbia votato a favore, e la stessa posizione è assunta dal PSI. La Gran Bretagna rileva che la Risoluzione 242 prescrive che Israele si ritiri, ma da territori occupati (from occupied territories secondo il testo inglese) e non dai, come invece sostengono i francesi (des territoires occupés).

A marzo si chiude a Mosca il XXV Congresso del Partito Comunista. Breznev (una figura opaca di burocrate ottuso che finirà anni dopo in pieno Alzheimer e sarà tenuto in vita con gli spilli in attesa di trovare un possibile sostituto) è confermato Segretario.

Sempre a marzo nasce una piuttosto fantomatica “Repubblica araba democratica sahariana”, dove al solito la contraddizione è già nella parola “democratica”, che naturalmente nasce e si spegnerà nel sangue.

Le cose da noi non vanno benissimo. Precipita il valore della lira che in meno di tre mesi passa da 690 per dollaro a 880.

Meno bene in Argentina dove uno dei consueti golpe rovescia la Presidentessa Isabelita Peron, seconda moglie (la prima era la bella Evita, morta giovane e già da viva diventata l’icona idolatrata di tutta l’Argentina) del dittatore Juan Domingo Peron, morto due anni prima.

A maggio violento terremoto in Friuli con grandi distruzioni e più di mille morti. La gente friulana riuscirà in pochissimi anni a risorgere e ricostruire, soprattutto con i propri mezzi e la propria fatica.

Intanto c’è gran traffico nello spazio. Mentre due sonde americane, la Viking e la Viking 2 danno un’occhiata su Marte, quella sovietica, Luna 24, fa ritorno dalla Luna dopo avere prelevato campioni.

Non nello spazio ma da sottoterra, nello Shansi, in Cina, vengono alla luce migliaia di statue di guerrieri e cavalli a grandezza naturale, risalenti al III secolo a.C., regnante l’Imperatore Ch’in.

In autunno morirà Mao Zedong, formalmente ancora idolatrato in Cina, ma concretamente ripudiato anche per avere ritardato di vent’anni (nel sangue, sulle orme di Stalin) il progresso del suo grande Paese..

In Unione Sovietica il comunismo continua a paralizzare l’economia e non solo. L’antisionismo è ormai la maschera di un antisemitismo che solo la morte di Stalin nel 1953 impedisce altre tragedie.

Anche la scienza è infettata in URSS. Il 19 febbraio all’Istituto scientifico di Ricerca dell’Industria della Gomma il professor V.I. Emelianov tiene una conferenza su “Giudaismo e sionismo”. Dopo avere citato Marx che diceva “il dio denaro è il dio degli ebrei”, Emelianov afferma che gli ebrei (quindi non i “sionisti” o gli “israeliani”) “proclamano di essere stati i primi a scoprire il dio unico, ma questa è una sciocchezza, sono stati pagani e hanno avuto molti dèi, solo più tardi hanno preso il dio unico dai cristiani”. Che per un docente universitario non è poco.

Ma è a giugno/luglio l’evento più pregnante del 1976 ed ha un nome: Entebbe, dove gli ebrei ricordano che “sulle ali delle aquile verrà la salvezza”.

Domenica 27 giugno. Un airbus dell’Air France parte da Lod, Israele, diretto a Parigi. Sull’aereo vi sono 243 passeggeri di varie nazionalità e 12 membri dell’equipaggio.

Dopo lo scalo ad Atene, pochi secondi dopo il decollo – sono le 12.10 – il dirottamento. Tre uomini e una donna (di cui tre tedeschi) annunciano attraverso l’intercom che l’aereo è sotto il controllo del gruppo “Che Guevara” e dell’unità operativa “Gaza” del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina. Da quel momento, dice il capo dei dirottatori, il nome dell’aereo sarà “Haifa”.

Alle 17 l’airbus atterra a Bengasi e alle 17.15 vengono raccolti i passaporti dei passeggeri diventati ostaggi.

E’ la giovane donna tedesca ad assumere gli atteggiamenti più duri: urla, insulta i passeggeri, impedisce di recarsi alla toilette.

Alle 21.30 l’aereo dell’Air France riparte. All’alba del 28 giugno i passeggeri scorgono un grande lago, ma non si rendono conto che si tratta del Vittoria  e il Paese che si affaccia su quella parte del lago è l’Uganda, dove il velivolo atterra all’aeroporto di Entebbe, interamente costruito dalla Salel Boneh, la grande impresa edilizia di proprietà dell’Histadrut, il sindacato israeliano.

A mezzogiorno i passeggeri vengono fatti scendere e avviati in una vecchia sala dll’aeroporto.

La sala viene subito circondata da reparti di paracadutisti ugandesi.

Alle 17.20 si presenta il corpulento Presidente dell’Uganda, autonominatosi “dottore”, nonché feld-maresciallo. In realtà Idi Amin detto Dada era stato sergente cuoco dell’esercito inglese al tempo del dominio coloniale di Londra.

Idi Amin vorrebbe farsi credere un mediatore neutrale (ma le truppe che sorvegliano i passeggeri e l’aeroporto sono ugandesi, mentre stanno arrivando, con il consenso del “feld-maresciallo”, altri terroristi del FPLP a dar man forte ai loro amici tedeschi).

Idi Amin racconta agli ostaggi che mentre tutti i paesi hanno accettato le richieste dei terroristi, solo Israele le ha respinte, perciò sono soltanto sue le responsabilità di quanto potrà accadere.

E accade questo. Mercoledì 29 giugno, mentre sembra che la situazione sia stabile e piuttosto calma, alle 19 due dei tre terroristi tedeschi incominciano la selezione.

I passeggeri non ebrei vengono liberati. Gli ebrei, israeliani, francesi, statunitensi, inglesi o altro,  rimangono ostaggi. Il comandante dell’aereo e l’equipaggio rifiutano di abbandonare i passeggeri rimasti e restano con loro.

La decisione di selezionare gli ostaggi (e per mano tedesca!) fa il giro del mondo ed è traumatica. Israele, che non aveva affatto rifiutato di prendere in considerazione le richieste dei terroristi (la liberazione di 53 palestinesi detenuti in Israele, Svizzera, Germania e Kenya), s’irrigidisce. Tra parentesi va ricordato che in Kenya non erano detenuti terroristi palestinesi, ma cinque ugandesi, oppositori di Idi Amin, che avrebbe così voluto farseli consegnare per trucidarli.

Amin, la cui complicità con i dirottatori è ormai più che palese a tutti, fa la spola tra la capitale Kampala e la vicina Entebbe, e spiega agli ostaggi che è tutta colpa d’Israele. Chiede perciò che gli ostaggi scrivano un messaggio al governo di Gerusalemme perché ceda al ricatto, ma si scontra con il rifiuto della maggior parte di loro, compreso il comandante dell’aereo.

Giovedì 1° luglio si sparge però la voce che Israele abbia effettivamente ceduto. Intanto i terroristi si divertono a fare continui appelli, e chi non è pronto ad alzare la mano quando sente il suo nome, viene investito da una serie di contumelie e da qualche colpo (chi tra i terroristi fa questo “gioco”non può essere che nazista, di qualunque colore sia ora la sua camicia).

Ma infine la conferma: Israele ha accettato le richieste dei terroristi.

Venerdì 2 luglio. Amin torna a Entebbe per dire che invece no, non è vero che Israele ha accettato le richieste dei terroristi (e sarà un’altra delle sue menzogne).

Sabato 3 luglio. Tra gli ostaggi qualcuno incomincia a stare male. Le condizioni igienico.sanitarie sono spaventose.

Torna Amin con l’ennesima divisa comprensiva di medaglie. Ma questa volta la divisa è diversa, è una divisa dell’aviazione israeliana. Infatti Amin aveva ottenuto il brevetto di pilota da istruttori israeliani.

Ma è sera e Amin torna a Kampala.

Sono le 23,44.

E’ tempo di fare un piccolo passo indietro.

Israele, quando giunge la notizia della selektzia, decide un piano.

L’operazione che prepara dalla notte del 1° luglio è un capolavoro assoluto di organizzazione e di gestione.

Il responsabile del piano è il brigadier generale Don Shomron, 39 anni e veterano di tre guerre. Sul campo il comando è affidato al colonnello Nethaniahu, anche lui, come 28 anni prima il colonnello Marcus, è di origine americana, entrambi di New York.

L’azione è provata in Israele e dura 55 minuti ( nella realtà ne durerà 53).

Sabato 3 luglio, a un’ora imprecisata, si levano in volo tre Hercules C-130 e un Boeing 707 della compagnia di bandiera EL AL.

La carovana aerea attraversa l’Africa, sorvola il Kenya, con la tacita complicità delle autorità kenyote, entra in territorio ugandese volando a quota bassissima per eludere i radar e atterra a Entebbe. Un volo di 4000 chilometri.

La sorpresa è totale. Un degli Hercules porta con sé una Mercedes nera, del tutto uguale a quella che usa Idi Amin, e due Land Rover uguali a quelle in dotazione alle 12 guardie del corpo palestinesi di Amin. Un ufficiale israeliano grande e grosso, più o meno come Amin, e come Amin truccato con una fantasiosa divisa piena di decorazioni e con il volto tinto di nero, prende posto sulla Mercedes. Dietro la quale avanzano i commandos israeliani su jeeps e carri armati leggeri. Sono in possesso delle carte dell’aeroporto fornite dall’impresa che l’ha costruito.

Nessuno nemmeno immaginava che Israele potesse organizzare e realizzare in poche ore un piano così audace e fantasioso.
I militari ugandesi, che non erano mai stati impegnati in combattimento  e sono colti di sorpresa, hanno rapidamente la peggio.

Alle 23,45 nella sala dove sono rinchiusi gli ostaggi si sentono degli spari, ma nessuno fa in tempo a ragionarci sopra perché entrano di corsa i commandos israeliani gridando in francese e in ebraico di stendersi a terra. Poi cominciano a sparare a tutto quello che si muove. E chi si muove  sono i terroristi che restano fulminati.

Gli ostaggi vengono portati sul Boeing e dodici ore dopo arrivano a Lod. Muore nel breve combattimento il colonnello Nethaniahu (il fratello del futuro Premier), muore all’ospedale di Kampala, assassinata, un’anziana signora inglese che vi era stata ricoverata per le sue condizioni di salute.

Tutti gli altri sono salvi.

In 53 minuti la salvezza è proprio venuta “sulle ali delle aquile”.

Si dirà che le selezioni di Auschwitz sono finite a Entebbe.

L’Unità invece emette un “giudizio di drastica condanna per la spietata condotta del governo israeliano” che ha compiuto “un cinico atto di aggressione cui nessuna norma del consorzio dei popoli offre giustificazione”. Ipse dixit.

Luciano Tas


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