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Luciano Tas
Le storie raccontate
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1972: la quinta parte di "Quaranta e li dimostra" 30/10/2008

A marzo il Congresso del PCI elegge Segretario Enrico Berlinguer. Luigi Longo è relegato alla Presidenza. E’ il primo prudente passo verso una revisione della politica del PCI in Italia, con qualche dissenso, espresso al Congresso con vari accenti, nei confronti dell’Unione Sovietica, il cui brutale intervento in Cecoslovacchia non è stato digerito.

Nel mondo però si svolgono eventi ben più gravi, come la guerra in Vietnam, dove gli americani effettuano massicci bombardamenti che non conseguono i risultati voluti, tanto da indurre il Presidente Richard Nixon a ordinarne la sospensione e ad avviarsi verso una soluzione politica, la cessione delle ostilità e il ritiro dei militari USA. Una pagina dolorosa per gli Stati Uniti che lamentano la morte di cinquantamila soldati.

E’ curioso come l’Europa avesse assunto a simbolo il Presidente John Kennedy, le cui responsabilità nella guerra del Vietnam erano state pesanti, e viceversa avesse tenuto in antipatia Nixon che quella guerra aveva fatto finire. Ma le antipatie e l’odio per gli USA da parte degli europei attengono più al campo della psichiatria che della politica.

Esce in documento di Lev Trotzkj sulla “questione ebraica”. Si tratta di un suo scritto redatto in Turchia, una delle sue tappe d’esilio (l’ultima sarà in Messico, dove verrà brutalmente assassinato dai killer di Stalin che lo avevano seguito ovunque si recasse).

La data del documento è il 1929. In esso Trotzkj scrive dello shtetl (così si chiamavano le cittadelle ebraiche dell’impero russo) in cui era nato, nel distretto di Cherson in Ucraina. T. non imparò mai lo yiddish, ma studiò i cinque libri della Torà.

<Tra i miei sentimenti – scriveva – la coscienza nazionale (ebraica) non occupava alcun posto particolare> ma <questo non significa che io abbia il diritto di essere cieco d fronte al problema ebraico, che esiste e richiede un soluzione>.

In quegli anni T. credeva ad un Birobigian (la regione ufficialmente ebraica dell’URSS) internazionale, garantito da “adeguate misure da parte di una federazione mondiale degli Stati dei lavoratori>. Ovviamente per comprensibile sfiducia in Stalin.

Molti anni dopo, nel 1938, T. scriveva a un suo amico statunitense per esporgli la sua preoccupazione. <Aumenta senza sosta il numero dei paesi che espellono gli ebrei, mentre diminuisce quello dei paesi disposti ad accettarli>.

Con acuta preveggenza T. osservava che <non è difficile immaginare quel che accadrà all’inizio del prossimo inevitabile conflitto>.

Alcuni mesi dopo lo scoppio della II guerra mondiale T. redasse un manifesto nel quale affermava che <essere buoni marxisti non è in contrasto col sentirsi ebrei a tutti gli effetti> e <col riconoscere agli ebrei in quanto popolo (e che gli ebrei costituiscano un popolo non è più discutibile alla luce dell’ultimo secolo di storia) il diritto di possedere uno Stato>.

Mark Slavin, israeliano, 18 anni, lottatore, impegnato nella sua disciplina sportiva alle Olimpiadi di Monaco di Baviera del 1972, non si presenta all’ora fissata per l’incontro dell’11 settembre (l’11 settembre…) e dopo l’attesa regolamentare viene dichiarato perdente.

L’attesa durerà per sempre- Mark Slain non si può presentare perché è stato assassinato,insieme ad altri atleti israeliani, da un gruppo di terroristi palestinesi che si fanno chiamare “Settembre nero” e rappresentano una costola del Fatah.

E’ la strage di Monaco. Sono spente le vite di undici atleti israeliani e quelle di un poliziotto e di un pilota tedeschi. Il mandante della strage, Yasser Arafat, futuro Premio Nobel per la pace, esprimerà il giorno dopo la sua condanna.

La Germania di Brandt aveva scelto proprio la città di Monaco come sede delle Olimpiadi per mostrare al mondo che le birrerie naziste del 1922 e lo scellerato mercato sulla pelle della Cecoslovacchia del 1938 erano definitivamente passate e sepolte. Ma ora l’ombra della strage su atleti ebrei oscurava non solo i giochi e rimandava a orrori non tanto ontani nel tempo.

Eppure, malgrado la (provvisoria) insipienza della polizia tedesca e la sottovalutazione del terrorismo palestinese (che avrebbe finito per partorire quello islamico), Monaco ’72 non è stata una Monaco ’38. Lo sfortunato blitz dei reparti speciali tedeschi colpiva cinque terroristi e provocava la morte, quasi per “fuoco amico”, degli ostaggi superstiti, ma il segnale tedesco era chiaro: non si cede mai al ricatto.

Altro discorso per i Giochi stessi. Mentre Israele ritirava la sua bandiera, nessuno pensava, nemmeno per un attimo, a sospendere le gare almeno per una giornata. Il lutto non si addiceva a Israele e lo spettacolo doveva continuare.

Ben presto però qui da noi si andava a distribuire le responsabilità della strage, scaricandole paradossalmente in gran parte su Israele.

Secondo la scrittrice Natalia Levi vedova Ginzburg, Israele avrebbe dovuto cedere al ricatto di “Settembre nero” (ma i terroristi avevano già ammazzato alcuni atleti israeliani prima di catturare gli altri). Ma per la scrittrice, che sarebbe stata folgorata anni dopo sulla via di Damasco, le colpe principali ricadevano sullo Stato ebraico.<Speravamo – scriveva – che sarebbero stati un piccolo paese inerme, raccolto, che ciascuno di loro conservasse la propria fisionomia gracile, amara, riflessiva e solitaria>. Insomma, che il “piccolo paese inerme” si gettasse da solo nelle camere a gas.

Invece nel corso degli anni ognuno degli autori della strage di Monaco veniva raggiunto e giustiziato. C’era un limite alla riflessività amara e gracile.

Per questo forse su buona parte della nostra stampa invalse l’uso di chiamare “terroristi” gli israeliani e “guerriglieri” i palestinesi. Come quando, il 17 ottobre, un dirigente del Fatah in servizio in Italia, Wael Zwaiter, veniva freddato a Roma, certamente da qualche agente israeliano. La notizia diventava un manifesto stradale nel quale si annunciava la morte di Zwaiter “caduto da martire della violenza nazi-israeliana”.

 Come tutti gli anni, il 16 ottobre veniva ricordata anche nel ’72 la retata nazista al Portico d’Ottavia a Roma in quel giorno del 1943, quando 1021 ebrei abitanti il vecchio ghetto venivano catturati, deportati e quasi tutti uccisi ad Auschwitz. (Altri mille  ebrei sarebbero stati catturati durante l’occupazione tedesca di Roma).

Un manifesto della sezione Regola Campitelli del PCI apparso quel giorno per le vie della città, diceva: <I fascisti e i nazisti effettuavano nel nostro Rione, a Portico Ottavia, un rastrellamento, deportando 2000 (in realtà quel giorno ne deportavano 1021) cittadini nei campi di sterminio>.

Chi fossero questi “cittadini” non si dice. Una delicatezza per non dire “ebrei”? Eppure quei cittadini erano tutti ebrei, e per questo venivano deportati e uccisi. Non erano “cittadini” rei di avere rubato della frutta.


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