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Storia
Sionismo e razzismo: la disputa irrisolta
Di Giovanni Matteo Quer

Introduzione

Il 10 novembre 1975, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adotta la Risoluzione n. 3379, nella quale si afferma che il Sionismo è una forma di razzismo. Come si è giunti all’adozione di un simile documento? Successivamente, il documento è stato revocato nel 1991, dalla Risoluzione dell’Assemblea Generale n. 86, ma il Sionismo e’ ancota considerato una forma di razzismo. L’articolo analizza come si sia sviluppata la corrente antiisraliana sia presso le Nazioni Unite e come essa si sia trasformata nelle sfera internazionale.
Il Sionismo e’ un movemento nazionalista sviluppatosi nel tardo XIX secolo in Europa. Tra I movimenti culturali e filantropici nasce ben presto un progetto politco, con l’intento di costruire un focolare nazionale ebraico in Palestina, tradizionalmente, storicamente e religiosamente legata alla coscienza ebraica. Tale progetto si concretizza con l’acquisto di terre nei territorî del circondario amministrativo ottomano della Siria e di Gerusalemme vendute da prorpietarî perlopiù disinteressati ai loro possedimenti a notabili ebrei e ad associazioni caritatevoli ebraiche. La presenza ebraica in Palestina non fu mai accettata dagli Arabi, che si organizzarono in rivolte contro gli Ebrei, causate anche dallacontroversa politica Britannica durante il Mandato in Palestina. Gli Stati arabi hanno ripetutamente rifiutato le occasioni di spartizione della Palestina (nel 1917 e nel 1936 per opera doplomatica britannica, e nel 1947 in sede ONU), preferendo perseguire politiche pan-arabiste sull’onda dei sogni imperialisti di Siria, Giordania ed Egitto.
Nel 1945, gli Stati arabi constiuirono un blocco all’ONU, che in seguito si associò alla corrente dei non allineati, finendo per perseguire dei compromessi filosovietici in campo internazionale. La principale figura politica del secondo dopoguerra è Gamal Nasser, alla guida dell’Egitto dopo il colpo di stato del 1952. Assieme agli altri leader naizonalisti arabi, Nasser ha mosso Guerra ad Israele nel 1967 e nel 1973, entrambe vinte da Israele. Dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967, Israele ha occupato i territorî sotto controllo Giordano e egiziano (rispettivamente, la Cisgiordania, Gaza e la penisola del Sinai), dandosi negi anni successive alla miope politica di costruzione di insediamenti per nuovi residenti ebrei.
La via militare alla Guerra contro Israele si dimostrò chiaramente fallimentare, pertanto la lotta contro il nemico si spostò sul piano diplomatico, con la delegittimazione dello stato ebraico in campo internazionale. Israele, conosciuta nel mondo arabo ed islamico come l’entità sionista, da sempre è stata alleata dell’Occidente: la formazione pre-statale si alleò con gli inglesi durante la seconda Guerra mondiale, in seguito alla formazione dello Stato ebraico, gli israeliani si allearono con i francesi durante la crisi di Suez negli annia Cinquanta, ed infine trovarono negli Stati Uniti il migliore alleato — ragione sufficiente per scatenare le avversità sovietiche per tutto il periodo della Guerra fredda. Successivamente, all’epoca della deconolizzazione, la maggior parte degli Stati da poco indipendenti erano ostili con Israele per la questione degli insediamenti costruiti nei territorî, che causava l’identificazione di Israele con uno stato coloniale ed imperialista. Queste forze, cioè gli Stati arabi e musulmani, i Paesi non-allineati, l’Unione Sovietica ed i suoi satelliti votarono a favore della risoluzione che equiparava Sionismo a razzismo.
Dopo la fine della Guerra fredda nel 1991, il già blocco sovietico votò a favore della revoca della risoluzione, così come la maggioranza degli Stati non-allineati che negli anni avevano costruito solide relazioni con Israele. Ciononostante, l’equazione Sionismo uguale razzismo è ancora vivida nel linguaggio internazionale, penetrando nella gramatica del discorso sui diritti umani. La Carta Araba dei Diritti Umani del 1991 predica l’eliminazioe di ogni forma di razzismo, Sionismo e colonialismo. Nel 2001 alla Conferenza mondiale ocntro il Razzismo a Durban, Sudafrica, si propose addirittura la riadozione della risoluzione del 1975. Il blocco arabo/islamico continua ad influenzare le attività dell’ONU e dei suoi organi. Per esempio il neo-nato Consiglio dei Diritti Umani in poco meno di un anno al primo mandato ha approvato tredici risoluzioni di cui dodici contro Israele, inoltre una significativa influenza è esercitata presso l’Assemblea generale, dove Israele è esclusa da qualsiasi gruppo regionale. L’attuale demonizzazione di Israele come stato razzista e come regime di apartheid è la conseguenza della non accettazione dell’esistenza di Israele da parte degli Stati arabi e islamici, che la percepiscono e dipingono come una declinazione del colonialismo e del razzismo

Il Sionismo e gli Arabi

Il sionismo può esser defnito un movimento di liberazione nazionale, preordinato alla costituzione di uno stato dove gli ebrei potessero vivere in pace. Gli ebrei europei sono sempre stati considerati cittadini di seocnda classe anche dopo i tentative di integrazione ed assimilazione successive alla Rivoluzione francese. Non solo erano discriminati, ma particolarmente odiati in quanto considerati la serpe in seno agli stati europei, accusati di slealtà per la loro imperdonabile caratteristica di essere in qualche modo diversi dagli altri cittadini europei. Dai pogrom dell’Impero Russo al caso Dreyfus, gli ebrei non hanno mai potuto trovare una dimora stabile e pacifica. Per questa ragione nuove idee incominciarono a formarsi tra i circoli ebraici per il rinnovamento dell’identità ebraica, prima come popolo e quindi come nazione. Il sionismo è nato dapprima come movimento culturale, che si è concretizzato nella rinascita della lingua ebraica , che fino all’Ottocento era relegata a lingua liturgica, e nella considerazione della Palestina quale patria spirituale del popolo ebraico. La più nota corrente del Sionismo è quella poltica, la cui figura prominente è Theodor Herzel giornalista ebreo ungherese di cultura tedesca, che per primo ha sviluppato l’idea di uno stato per gli ebrei.
Lo stato ebraico è nato da una comuntà ebraica che godeva di una certa autonomia durante il Mandato Britannico in Palestina, detta Yishuv, verso cui immigravano ebrei provenienti dall’Europa, America e dal mondo arabo, per coltivare la terra, fondare scuole, università, accademie e costruire nuove città. Durante il dominio ottomano prima, e durante il mandato britannico poi, i sentimenti arabi verso gli ebrei erano di sospetto e sfiducia, se non di vero e proprio odio per l’associazione dei nuovi immigrati agli stranieri occidentali che controllavano l’area. Gli arabi combatterono contro l’Impero Ottomano per la conquista dell’indipendenza. Durante la rivoluzione dei Giovani Turchi, movimenti naizonalisti arabi e pan-arabisti reclamavno l’indipendenza, quale riflesso locale delle ideologie naizonaliste che si stavano espandendo nel mondo intero. Nonostante le potenze europee avessero promesso l’appoggio ai movimenti indipendentisti, gli arabi si sentirono traditi dopo la prima Guerra Mondiale da Francia e Gran Bretagna, che invece di appoggiare la loro indpendenza, perseguirono i loro scopi nello scenario mediorientale. Le potenze europee divisero il territorio dell’Impero Ottomano spesso arbitrariamente, fondando entità statali che esulavano dal senso dientitario della popolazione e verso i quali spesso non nutrivano alcun tipo di lealtà. In più l’influenza occidentale era aggravata dalla continua presenza militare in suolo arabo, con l’eclatante caso del mandato sulla Palestina quale prova degli scopi colonizzatori ed imperialistici europei.
Gli ebrei proveninano per la maggior parte dall’Europa, recando con sé in Palestina la cultura europea, ideologie europee e costumi europei. Erano pertanto di gran lunga più simili agli inglesi che agli arabi. Man nonostante gli ebrei non agissero nell’interesse di uno stato straniero, non avessero forza militare, e non fossero affiliati agli inglesi, ciononostante erano percepiti come agenti coloniali. Dopo decenni di rinnovamento dell’antisemitismo politico radicato nella tradizione islamica da parte degli arabi cristiani che assumevano formule antismite proprie della tradizione europea, la prima rivolta araba contro gli ebrei si manifestò all’indomani della dichiarazione Balfour. Nel 1917 l’impero britannico si impegnò a promuovere la costituzioe di un focolare nazionale ebraico in Palestina. L’impegno fu sottoscritto come dichiarazione effettuata dal ministro degli estero britannico Arthur James Balfour in una lettera indirizzata a Lord Rothshild e successivamente incorporata nel trattato di pace di Sèvres con la Turchia dopo la prima Guerra Mondiale e poi incorporata anche nel Mandanto sulla Palestina conferito dalla Lega delle Nazioni alla Gran Bretagna. La dichiarazione trovò anche un certo consenso tra le alte sfere della dirigenza araba, che si manifestarono negli Accorid Faisal-Weizman del 1919, che stabilirono principî di mutua cooperazione tra i due popoli, l’impegno ad una pacifica risoluzione delle controversie e la futura negoziazione per una soluzione bistatale da parte di una commissione che sarebbe stata composta equamente da arabi, ebrei e inglesi. Quali potesseo essere i buoni ufficî tra i rappresentanti dei due popoli, gli arabi comunque rifiutarono l’idea di spartire la Palestina, dapprima organizzaznodsi in commissioni miste cristiano-musulmane rivendicando la loro apprtenenza alla Siria, poi brandendo le armi contro i villaggi e le cittadine ebraici. Le rivolte continuarono per nove anni, finché nel 1929 gli inglesi riuscirono a fermare le violenze. Questo fu il primo peisodio di scontro tra le ideologie arabe pan-arabista e nazionalista contro il Sionismo, alle quali si sarebbe poi aggiunto anche il radicalismo islamico. Durante i primi anni del Mandato, la presenza ebraica in Palestina portò sviluppo economico e culturale della regione le cui condizioni economiche fiorenti attraevano lavoratori da tutto il mondo arabo. Ad ogni modo, il giogo britannico, l’estraneità ebraica, e il disinteresse ebraico verso i vicini arabi fecero sì che il vincolo apparente tra britannici ed ebrei si rafforzasse ancor più finendo per esser considerati la medesima cosa, vale a dire espressioni del potere colonialista occidentale. È in quest’atmosfera che si consolidò la formazione dell’identità nazionalista araba, includendo nel processo di consolidamento identitario anche elementi religiosi. In Palestina, il leader carismatico degli islamisti era Haj Amin al-Husseini e la figura principale dei nazionalisti, rivale di Husseini, era Regheb Bey al-Nashashibi, entrambi impegnati nella causa contro i britannci e gli ebrei, ma con differenti scopi e differenti visioni ideologiche. Entrambi organizzarono rivolte dal 1936 al 1939, dopo la proposta di spartizione della Palestina tra arabi ed ebrei contenuta nella relazione della Commissione Reale Peel. Le rivolte furono soffocate nel sangue dall’intervento del’esercito britannico e la pubblicazione del Libro Bianco nel 1939 che limitò l’immigrazione ebraica in Palestina negli stessi anni in cui la Germania nazista stava preparando metà Europa all’annichilimento degli ebrei. Queste rivolte rappresentavano una doppia lotta. Da una parte, rappresentavano la lotta degli arabi contro il nemico colonialista, cioè gli ebrei e i britannici; dall’altra, rappresentavano la lotta tra arabi nazionalisti e arabi pan-arabisti contro l’Islam politico, rappresentato da Husseini, il gran mufti di Gerusalemme.
A quel tempo l’Islam politico inizio’ ad esser attivo in Palestina ed ottenne l’apporggio internazionale delle forze naziste. L’ideologia razzista del nazismo offrì l’aiuto necessario alla corrente araba islamista per la lotta contro gli ebrei che erano al contrario alleati dei britannici, nonostante la loro politica controversa in Palestina. Gli ebrei parteciparono alla Guerra di Liberazione a fianco degli Alleati con una brigata ebraica che gli inglesi hanno fortemente ostacolato fino al 1944. Dopo la perdita della Guerra da parte dell’Asse e dei suoi alleati arabi, gli ebrei ancora non furono favoriti dale politiche inglesi in Palestina, in più il nesso tra ebrei e colonizzatori nell stampa e nella politica araba era più forte che mai proprio in quanto alleati nella Guerra Mondiale. Le proteste arabe successive al 1945 influenzarono l’autorità Britannica così tanto da indurli ad accettare limitazioni significative all’immigrazione ebraica in Palestina fortemente volute dall’intellighenzia araba. Gli arabi temevano che la costernazione mondiale di fornte ai crimini nazisti e alla Shoah avrebbero aumentato le simpatie per la causa sionista — il che effettivamente avvenne in seno all’ONU che votò in favore della partizione della Palestina in due Stati, uno per gli ebrei e uno per gli arabi, il 29 novembre 1947. Le grandi potenze erano unanimi nella decisione circa la partizione: la Gran Bretagna avrebbe abbandonato il fardello del Mandato, che le causò più problemi di quanto si aspettasse; gli Stati Uniti sostenevano il diritto all’auto-determinazione dei popoli; mentre l’Unione Sovietica si batteva contro il colonialismo, e quindi per la fine del mandato britannico. La decisione ONU causò la violenta reazione degli stati arabi che continuarono a perpetuare ostitlità ai proprî confini sfociando poi nella Guerra 1948-1949, scoppiata successivamente alla dichiarazione di Indipendenza di Israele da parte dell’establishment sionista il 14 marzo 1948. Questa Guerra fu la prima di altri Quattro scontri armati architettati contro lo stato ebraico dopo la seconda Guerra mondiale che rappresentano il tentativo arabo di distruggere per via armata Israele, la cui esistenza non fu accetatta in quanto percepita come una fittizia creaizone delle potenze coloniali.

Le Guerre: 1956-1967-1973

Israele fu fondata del 1948, ma non fu riconosciuta dagli Stati arabi che nell’immediato dopoguerra costituirono un blocco alle Nazioni Unite, che rispecchiava l’organizzazione regionale fondata nel 1945, la Lega Araba. Le maggiori correnti ideologiche diffuse nel mondo arabo erano il nazionalismo arabo, il pan-arabismo ed il radicalismo islamico, che in un certo qual modo curarono le ferite inferte al mondo arabo dal colonialismo, dando alla comunita’ dei popoli arabo una nuova raison d’être in campo internazionale in materia di auto-determinazionee autonomia dall’occidente. In ciò giace la principale ragione per cui gli stati arabi appoggiarono l’influenza sovietica in Medioriente. La nazione trainante del blocco arabo era l’Egitto, culturalmente, politicamente ed economicamente superiore al resto del mondo arabo. Durante il regno di Farouk, l’Egitto riuscì ad occupare Gaza nella Guerra di Indipendenza, che amministrò militarmente sino al 1967. Ciononostante il nazionalismo arabo chiedeva la completa indipendenza dell’Egitto da ogni interferenza inglese. Il leader del movimento nazionalista era Gamal Abdel Nasser, che diventò il presidente dell’Egitto dopo il putsch del 1952. La sua politica ideologica si basava su elementi socialisti, in funzione anti-britannica, mescolati al nazionalismo e ad elementi di pan-arabismo. Gli orientamenti anti-colonialisti e la progressiva instaurazione di una capitalismo di stato fecero avvicinare l’Egitto all’Unione Sovietica, benché non ne sia mai diventato satellite. Negli anni ‘50 Nasser incomincio’ la sua politica di nazionalizzazione delle grandi imprese che terminò con la nazionalizzazione del canale di Suez, che causò la Guerra di Suez.
Nel luglio 1956, Nasser annunciò la nazionalizzazione del Canale di Suez, alla quale seguì una serie di provvedimenti che isolavano le navi israeliane e limitavano l’importazione di prodotti stranieri. La mossa politica aveva due scopi: da una parte Nasser mirava ad isolare Israele dal contetso mediorientale per impedirle di avere rapporti commerciali nell’area perfino nei porti neutrali; dall’altra Nasser mirava ad impedire alla Gran Bretagna di perseguire le porprie politiche nella regione. La Gran Bretagna era strettamente alleata ai regni hashemiti di Giordania ed Iraq e stava tentando di condurre nella propria sfera di influenza anche Siria e Libano. Nasser tentava chiaramente di interrompere la politica di affiliazione Britannica, preferendo l’appoggio sovietico, che gli garantiva supporto militare attraverso la Cecoslovacchia e la Bulgaria. In ottobre, Gran Bretagna, Francia ed Israele decisero di muovere guerra all’Egitto, terminando le ostilità in dicembre per le pressioni diplomatiche degli Stati Uniti e di molti altri memebri NATO, che temevano una reazione sovietica ed un conseguente confronto militare su vasta scala nella regione ed in Europa. Nonostante il successo della campagna militare in sé, le potenze occidentali dovettero ritirarsi, dando all’Egitto l’impressione di esser state sconfitte. Le conseguenze furono principalemnte due: sul piano interno dell’Egitto, Nasser era considerato un liberatore, che ha respinto l’attacco imeprialista; sul piano internazionale dell’area mediorientale, Israele fu definitivamente tacciata di colonialismo in quanto colpevole di connivenza col nemico occidentale. Successivamente, Egitto ed altri stati arabi ingaggiarono altre due guerre per la distruzione di Israele.
La seconda occasione di distruzione di Israele fu la Guerra dei Sei Giorni, il cui casus belli fu la chiusura dello stretto di Tiran il 22 maggio 1967. In realtà le ostitlità militari ebbero inizio mesi prima sia la confine siriano sia al confine girodano. Il 30 maggio, la Giordania firmò un accordo di collaborazione militare con l’Egitto, completamente soggiogato dall’ideologia pan-arabista, e le tensioni tra Israele e gli stati confinanti si intensificarono notevolmente. Il 5 giugno Israele colpì di sorpresa la flotta aerea egiziana e distruggendo gran parte degli armamenti. In sei giorni l’esercito israeliano sconfisse Siria, Giordania, Iraq ed Egitto, uniti contro lo stato ebraico ed occupò Gaza ed il Sinai sotto amministrazione egiziana, la Cisgiordania, sotto amministrazione giordana e le alture del Golan parte del territorio siriano. La Guerra fu una sconfitta totale e vergognosa che incise sul senso d’onore dei popoli arabi. Nonostante la chiara superiorità militare di Israele, gli Stati arabi erano uniti nel persistente disconoscimento dell’esistenza di Israele: al summit della Lega Araba a Khartoum tra l’agosto ed il settembre 1967, la linea politica stabilita fu costellata da tre NO e un SI: no al riconoscimento di Israele, no alle negoziazioni, no alla pace; sì ad uno stato palestinese. Per riprendersi dalla sconfitta gli stati arabi incominciarono con la propaganda ideologica contro Israele basata perlopiù sulla retorica anticoloniale, vista l’allora nascente politica di insediamento di cittadini israeliani nei territorî occupati. Denigrare Israele era una chiara strategia diplomatica accolta dopo che alle catastrofi militari seguirono le simpatie di molti stati occidentali verso Israele, precipuamente degli Stati Uniti. La Guerra ed i suoi risultati ebbero conseguenze rilevanti anche per la questione palestinese, che emerse proprio in quegli anni. L’organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) ed il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (PFLP), fondati nel 1960 come emanazione dell’ideologia nasserista, si staccarono dal movimento ideologico pan-arabista in quanto capirono che gli stati arabi erano in fondo poco interessati nella causa palestinese in sé e per sé considerata, quanto invece la sfruttavano per il perseguimento di politiche nazionalistiche. Le organizzazioni incominciarono ad compiere atti terrorstici contro in territorio israeliano e contro obiettivi israeliani ed ebraici nel mondo, internazionalizzando il conflitto attraverso il terrorismo. Comunque, la causa palestinese è sempre stata considerata necessaria alla retorica araba, in quanto carica di immagini che evocavano la lotta degli oppressi contro il colonialismo e il dominio straniero. Negli stessi anni, l’Algeria assisteva alle rivolte dell’FLN e la successiva sconfitta dei francesi, il che diede al resto del mondo arabo un esempio di come si potesse raggiungere l’ndipendenza. La Guerra contro Israele fu in questi anni presentata al mondo come una declinazione della lotta contro l’imperalismo, cioè la lotta dei palestinesi contro l’oppressore israeliano. Un ultimo tentativo militare di distruggere Israele fu compiuto negli anni successive, mentre la Guerra diplomatica si nutriva della logica della Guerra Fredda. Il successore di Nasser, Anwar Sadat, seguì la politica internaizonale del predecessore per i soli primi anni di governo, per poi cambiare completamete l’assetto dell’equilibrio di alleanze egiziano. Sadat aveva precise idee riguardo le alleanze e le relazioni internazionali, ma doveva prima guadagnare la credibilità delle masse egiziane ed arabe. Il grade atto che poteva portarlo alla fama era una Guerra contro il grande nemico, cioè Israele. Per tale ragione l’Egitto dichiarò una Guerra contro Israele nel 1973, che si rivelò una disfatta da entrambi i lati: l’Egitto non riuscì a liberare il Sinai ed Israele contò in pochi giorni molte casualità. La rivoluzione di Sadat si caratterizzò per due aspetti: in primo luogo per il rinnovamento del nazionalismo egiziano purgato di elementi pan-arabisti, in secondo luogo l’instaurazione di relazioni amichevoli con l’Occidente, in particular modo con gli Stati Uniti. Ma per poter affrontare appieno la rivoluzione “filo-occidentale” l’Egitto necessitava di normalizzare i rapporti con Israele. Dopo cinque anni, l’Egitto firmò un accordo di pace con Israele per diventare poi il secondo alleato degli Stati Uniti nel Medio Oriente, ed abbandonando il sostegno alla causa palestinese che avrebbe portato disordini interni come in Giordania ed in Libano. Ciononostante la campagna di demonizzazione cotro Israele era già approdata alle Nazioni Unite, trovando espressione in un documento che condannava Israele come Stato razzista.

Adozione e Revoca della Risoluzione

Dopo Quattro guerre e Quattro sconfitte, il mondo arabo pianificò la più grande vittoria contro lo stato ebraico all’Assemblea delle Nazioni Unite. La Risoluzione 3379 del Novembre 1975 equiparò il Sionismo al razzismo. Il documento segnò significative modifiche nelle relazioni arabo-israeliane. Il nemico non fu quindi identificato con lo stato, la cui ostinata esistenza era ormai un dato di fatto, bensì l’identificazione del nemico slittò alla base ideological dello Stato ebraico. Come si è trattato nel secondo paragrafo, Israele è frutto del Sionismo come movimento nazionale, quindi minare la stessa base ideologica sulla quale Israele è nata e dalla quale Israele trae la propria esistenza equivale ad attaccare la stessa esistenza dello stato ebraico. Poiché gli attacchi militari frontali ad Israele non sortirono alcun effetto, allora la Guerra cambiò strategia adottando la demonizzazione come arma privilegiata.
Una analisi dei voti è necessaria per capire come la risoluzione sia il frutto di un determinato quadro ideologico che dev’esser collegato alla Guerra fredda, ai suoi schemi e ai suoi equilibri. Votarono a favore 72 Stati, contro 32, mentre gli astenuti furono 35. Tra la prima cateoria si possono essere individuati almeno tre blocchi: gli Stati arabi ed islamici, l’Unione Sovietica ed i suoi satelliti, e la stragrande maggioranza dei Paesi del terzo Mondo; nella seconda categoria si enumerano solo stati occidentali; mentre nella terza categoria si enumerano paesi del Terzo Mondo ed altri stati occidentali. Per ogni blocco si possono trovare delle ragioni di voto.
Il blocco arabo era parte del movimento dei non-allineati fin dalla nascita a Bandung, come parte della politica estera nasserista. Gli stati non-allineati volevano promuovere una alternativa ai due blocchi che dominavano la Guerra Fredda riaffermando fermamente la loro indipendenza e le loro inclinazioni anti-colonialiste. Così diventarono i promotori del terzomondismo come corrente ideologica e culturale contro gli stati coloniali. Gli stati arabi volevano combattere il residuo coloniale cono ogni mezzo, e poiché Israele è da sempre stata percepita come una presenza coloniale, è normale che questa visione si sia espansa in tutto il terzo mondo, sensibile fin dagli anni ’70 alle questioni di indipendenza e auto-determinazione. In più la stessa visione era condivisa dagli stati islamici nei quali si stava sviluppando una certa letteratura islamica orientata all’interpretazione della storia come una serie di attacchi dell’Occidente contro l’Islam. Secondo la visione storica islamica, Israele era una creazione dei Crociati, che continuavano ad invadere le terre islamiche.
Per quanto attiene al blocco sovietico, è chiaro come il Sionismo fosse intrinsecamente incompatibile con l’ideologia comunista sovietica che non poteva accettare che alcun nazionalismo si sviluppasse tra i propri confini. Lo scopo delle ideologie sovietiche era di annullare le differenze nazionali per poter realizzare l’ideale creazione dell’homo sovieticus. Peraltro molti ebrei sovietici erano entusiasti delle vittorie israeliane e simpatetici con la causa sionista, che portò ad una violenta repressione degli attivisti sionisti durante gli anni ’60 e ’70, in modo da scoraggiare gli ebrei ad abbracciare cause contro-rivoluzionarie. L’Unione Sovietica doveva poi combattere una guerra contro gli Stati Uniti che nel Medio Oriente contava Israele come il miglior alleato; infine era evidentemente naturale per i sovietici votare una risoluzione contro Israele. La mozione per la votazione della risoluzione fu proposta dagli Stati arabi, che scelsero di esprimere il sionismo in termini di razzismo, mentre il discorso politico sul sionismo si focalizzava sulla sua portata colonialista. Poiché il tentative era quello di denigrare Israele tra le nazioni, si è incominciato a screditare le sue basi ideologiche. Il colonialismo non ha prodotto solo sfruttamento economico, ma anche la disintegrazione dell’identità culturale indigena attraverso pratiche di discriminazione culturale e razziale. Per tale ragione nel periodo della decolonizzazione, i nuovi stati indipendenti si focalizzarono sull’importanza dell’identità. Questo approccio era il migliore per gettare discredito su Israele quale prodotto del colonialismo e, di conseguenza, quale espressione del razzismo contro gli arabi. Questo approccio fu spesso adottato in sede ONU, percui molte altre risoluzioni successive a quella del 1975 richiamavano i legami tra sionismo e razzismo tanto da avvicinare le attività e l’essenza politica di Israele a quella del Sudafrica dell’apartheid.
La rezione di Israele fu tale da considerare la risluzione un mero pezzo di carta: il rappresentante di Israele alle Nazioni Unite, per tutta risposta all’adozione della risoluzione, ha simbolicamente strappato il foglio sula quale era stampata di fornte all’assemblea. Negli anni successive la situazione politica di Israele cambiò considerevolmente. Lo stato ebraico instaurò relazioni amichevoli con molti paesi del terzo mondo, soprattutto africani e sudamericani ed anche con l’Unione Sovietica, ma la risoluzione rimase in vigore fino alla fine della Guerra fredda.
Nel 1991 il mondo cambiò. L’Impero Sovietico era al collasso, lo spirito di Bandung finito da un pezzo, l’Egitto aveva da tempo riconosciuta Israele e la Giordania si preparaval grande passo della pace, ed infine il terzomondismo caratterizzava ormai solo il neonato business delle ONG e degli attivisti dei diritti umani. Pertanto un nuovo equilibrio alle Naizoni Unite rese possible l’approvazione della risoluzione 86, il 16 dicembre di quell’anno, documento che revocava la risoluzione del 1975. I Paesi del blocco sovietico e del terzo mondo che votarono allora in favore della risoluzione, nel 1991 votarono in favore della revoca — 104 voti a favore (tra i quali la quasi totalità degli stati africani e sudamericani), 25 voti contro, 15 astensioni (tra cui l’Egitto).
La durata in vigore di undici anni della risoluzione rappresenta un dardo ideologico scagliato ocntro lo Stato di Israele nell’ambito di una lotta diplomatica che pare continuare ancor oggi. E’ ontologicamente differente dalle altre risoluzioni e posizioni approvate in seno all’ONU contro il Sudafrica dell’apartheid in quanto stato razzista e segregaizonsita in quanto Israele non ha mai né istituzionalizzato né politicizzato pratiche di segregazione o discrimnazione razziale ed in secondo luogo la comunità internazzionale era unita nel condannare il Sudafrica. Israele è stata attaccata ideologicamente solo da alcuni stati che hanno avuto successo nello sfruttare lo scontro politico tra i due poli della Guerra fredda. La risoluzione, infine, rappresenta il punto di partenza della lotta ideologica del mondo arabo e islamico contro Israele in quanto maggiore sostanziazione della retorica araba contro Israele come risultato del colonialismo e come più grande e concreta manifestazione del discorso politico anti-israeliano. La lotta ideologica non finì con la revoca della risoluzione, ma continuò per tutti gli ani ’90 spostandosi dal fronte del dibattito ideologico a quello dei diritti umani. Verso la riadozione della risoluzione La risoluzione è stata da tempo revocata ma gli stati arabi ancora affermano la loro posizione sul Sionismo quale forma di razzismo, utilizzando la grammatica dei diritti umani come principale mezzo di comunicazione. Questa posizione sembra esser accettata da molte organizzazioni per i diritti civili che addirittura auspicano una riadozione della risoluzione.
Il 15 Settembre 1994 al summit della Lega Araba al Cairo fu adottata la Carta Araba dei Diritti Umani, nella quale il Sionismo è non solo equiparato ad una forma di razzismo, bensì anche considerato come una minaccia alla pace mondiale. La Carta entrò in vigore il 30 gennaio 2008 e fu seguita da aspre critiche dell’Alto Commissario ONU per i diritti umani. Tra le varie incmpatibilità della Carta con gli standard internazionali, il Commissario trovò che la riaffermazione del sionismo come forma di razzismo on sia ocnforme alla risoluzione 46/86. Nonostante la revoca della risoluzione del 1975, e nonostante la posizione dela Commissario per i Diritti Umani, la Carta non è stata modificata.
La posizione degli stati arabi, come dimosra la Carta, è la ripetizione della solita equazione sionismo è razzismo, ma in nuovi termini. Se il primo tentativo di denigrare Israele fu inquadrato nella logica della Guerra Fredda e espresso in termini di terzomondismo, ora la stessa posizione è convogliata in termini di diritti umani ed inquadrata in una logica di pace mondiale. Alle Nazioni Unite non ci potrebbe esser di nuovo lo stesso fortunato equilibrio di alleanze che portò all’approvazione della risoluzione del 1975, pertanto il campo di battaglia si è spostato sul discorso dei diritti umani, al quale l’intera comunità internazionale è sempre più sensibile.
All’inizio del settembre 2001, a Durban, Sudafrica, fu organizzata sotto il patrocinio delle Nazioni Unite la Conferenza Mondiale contro il Razzismo, la Discrimnazione Razziale, la Xenofobia, e l’Intolleranza Correlata. Per contro si risolse in una tragicommedia di intolleraza e discriminazione. I partecipanti israeliani e le organizzazioni ebraiche furono esclusi dai lavori preparatori in Teheran nel settembre del 2000. Persino i partecipanti Bahai e Curdi non furona ammessi all’eventi e così quei paesi che saorno rivoltarsi contro l’oltraggioso comportamento delle autorità iraniane: Australia, Nuova Zelanda e Stati Uniti. Lo stesso trattamento spettò alle organizzazioni israeliane, ebraiche, curde e bahai l’anno successivo a Durban. Ciò che più turba è che in entrambi gli eventi circolarono molte vignette antisemite, senz’alcuna rimostranza da parte di nesusn partecipante né di altri rappresentant ONU. In quest’atmosfera esacerbata dalla seconda intifada si fece strada l’idea di riadottare la risoluzione antisionista. I documenti finali della Conferenza di Durban sanciscono che il sionismo è una pratica razzista e auspicano la riadozione della risoluzione. La strategia araba ed islamica ha cambiato il campo di battagli, ma sostanzialmente rimane la stessa. Lo scopo è la denigrazione di Israele, ma i modi della battaglia cambiano con il cambiare del mondo per abbracciare oggi il discorso sui diritti umani. Durban è il risultato più evidente dell’abuso ideologico della retorica antidiscriminatoria. La lotta ideologica contro Israele si muove verso il discorso sui diritti umani, ormai parte della cultura occidentale dal secondo dopoguerra, per poter attaccare le basi ideologiche dello stato ebraico. L’equiparazione del sionismo al razzismo è un’arma assai potente da utilizzare allo scopo di escludere Israele dalla comunità internzionale, in quanto equivale a sostenere che Israele è un regime razzista per evocare le immagini del noto caso sudafricano auspicando un simile isolamento. L’odierna attenzione ai diritti umani non è relegata alle azioni di qualche organizzazione, bensì ha effetti anche sulle relaizoni internaizonali. E’ per questo che la guerra anti-israeliana ora si serve della retorica dei diritti umani, per raggiungere l’auspicato effetto di totale estraniazione di Israele dalla comunità mondiale.

 Conclusione

Gli stati arabi non hanno mai accettato l’esistenza di Israele. Dopo aver ostacolato l’immigrazione ebraica in Palestina ed aver attaccato la popolazione ebraica nella Palestina mandataria in quanto percepita come mandataria di politiche colonialiste britanniche, la lotta contro gli ebrei si concentrò su Israele, lo stato ebraico nato dalle attività politiche sioniste. La guearra contro Israele incominciò come guerra armata che si concretizzò in quattro episodî storici di guerra diretti a distruggere Israele. Negli anni 70, il blocco arabo era solidamente alleato all’Unione Sovietica e parte del movimento dei paesi non allineati; questo equilibrio nella comunità internazionale permise agli stati arabi di dichiarare una guerra diplomatica contro Israele, la cui vittoria principale è rintracciabile nell’approvazione della risoluzione ONU che equiparava Sionismo a razzismo. La guerra diplomatica è preordinata alla denigrazione di Israele e della sua nase ideologica fondante. La scelta di violenza politica rimane dominio di molte organizzazioni terroristiche palestinesi e non-palestinesi, mentre sul piano ideologico la lotta antiisraeliana si è spostata dal campo diplomatico al regno dei diritti umani. Dopo la fine della guerra fredda la lotta contro l’eredita’ coloniale ha instaurato un nuovo quadro di comprensione del terzomondismo, che ora è confluito nell’aura ideologica dei movimenti per i diritti umani. È in questo campo che rivive la lotta araba ed islamica contro Israele, attraverso la considerazione del Sionismo come una forma di razzismo. L’equazione anti-sionista non solo delegittiam Israele tra le nazioni, ma la demonizza di fornte alla comunita’ mondiale, il cui valore primo è la pace. L’attuale demonizzazione di Israele quale stato razzista in quanto fondato sul sionismo è il risultato della non-accettazione di Israele da parte degl istati arabi e la principale espressione della lotta diplomatica contro lo stato ebraico che utilizza e sfrutta strutture proprie della gramatica dei diritti umani. Permettere ad organizzazione governative e non-governative di denigrare Israele attraverso l’utilizzo di pacchetti retorici che hanno snaturato i concetti e principî basilari dei diritti umani e della giustizia internazionale, significa combattere la guerra a fianco degli stati arabi contro Israele. Gli standard morali ed etici che la comunità internazionale si propone di difendere sono in realtà stati da tempo corrotti per far posto ad una visione delle relazioni internazionali che segue le necessità ideologiche degli stati arabi. Non partecipare a Durban 2 signica riappropriarsi di quel senso originario dei diritti umani, del valore primigenio della giustizia tra i popoli.


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