Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Kiev non ha perso la guerra. Ma solo la forza fermerà gli appetiti di Putin Analisi di Bernard-Henri Lévy
Testata: La Stampa Data: 25 agosto 2025 Pagina: 6 Autore: Bernard-Henri Lévy Titolo: «Kiev non ha perso la guerra. Ma solo la forza fermerà gli appetiti di Vladimir»
Riprendiamo da LA STAMPA del 24/08/2025, a pag. 6, il reportage dal titolo "Kiev non ha perso la guerra. Ma solo la forza fermerà gli appetiti di Vladimir" di Bernard-Henri Lévy.
Bernard-Henri Lévy
L'Ucraina non ha perso la guerra, il fronte tiene. Potrebbe essere costretta a cedere territori in cui tuttora resiste solo se gli Usa di Trump la obbligassero a farla. Ad Anchorage, infatti, l'incontro fra Trump e Putin è stato fatto sulla pelle degli ucraini, peggio di Monaco 1938. Serve invece fermezza per fermare Putin e i suoi appetiti imperiali.
E meno male che La Stampa pubblica almeno gli ottimi articoli di Bernard-Henri Lévy, altrimenti sarebbe persa nei commenti di Anna Foa che criminalizza Israele e Netanyahu (proprio una pagina prima di Lévy) e le paginate di propaganda di Rula Jebreal. Alla Stampa auguriamo perda lettori!
La prima cosa certa è che l'Ucraina non ha perso la guerra.
In futuro, potrebbe vedersi costretta a firmare una brutta pace o, peggio ancora, una capitolazione. Se gli Stati Uniti l'abbandoneranno, potrebbe vedersi obbligata a lasciare i territori per i quali ha accettato tanti sacrifici.
Ma io conosco bene quella terra. A marzo e aprile ho girato documentari nelle zone di Pokrovsk e Sumy e, prima ancora, a Bakhmut o Chasiv Yar, alcune delle località che il Cremlino rivendica, mattina e sera, di aver preso con aspri combattimenti. In verità, quand'anche le prende, lo fa con conquiste irrisorie, insignificanti. Nella maggior parte dei casi, non le conquista nemmeno, ma si accontenta di mandarvi, per il tempo necessario a scattare una fotografia da satellite, un'unità motorizzata di una decina di uomini che l'esercito ucraino poi allontana.
Non c'è una reale penetrazione russa, questa è la verità. Non c'è nemmeno una ritirata dell'esercito di Zelensky né, tanto meno, la sua disgregazione. I suoi comandanti sono stremati, è indubbio, ma lo sono meno rispetto ai comandanti che si trovano di fronte. Inoltre, il 20 per cento dei territori che la Russia occupa oggi erano già sotto il suo controllo, in buona parte, prima ancora che l'invasione su grande scala avesse inizio.
È dunque possibile cedere per via diplomatica a Putin quello che Putin non è riuscito a conquistare militarmente? È ammissibile chiedere a uomini che si sono battuti con così grande tenacia e così tanto eroismo di deporre le armi - quando in tre anni e mezzo la linea del fronte non si è quasi mai spostata? È quello che auspicano alcuni, ma sarebbe la prima volta nella Storia moderna. E sarebbe un'infamia.
La seconda certezza è che ad Anchorage, in Alaska, è accaduto qualcosa di simile a ciò che accadde a Monaco, ma in peggio.
A Monaco, di fatto, non si sapeva ancora di che cosa fosse capace Hitler. Se ne aveva sentore, certo. I nostri anziani più perspicaci avevano compreso che avrebbe innescato una catastrofe mondiale, imminente e senza precedenti. Ma era il 1938 e suppongo che lo si potesse prendere ancora in parola, quando sosteneva che il suo appetito di conquista si sarebbe fermato ai Sudeti, alla Cecoslovacchia o, forse, all'Austria.
Nel 2025, invece, tutte le carte sono in tavola. Nessuno ignora chi è Putin (il capo di uno Stato terrorista) e di quali crimini si è già reso colpevole (tre anni e mezzo di bombardamenti incessanti sulle città ucraine e le loro popolazioni civili). Bisogna essere ciechi o ingenui o in malafede per credere anche solo per un momento che l'immensa Russia (il Paese più grande del mondo) abbia scatenato questo cataclisma (devastante, anche per sé) con l'unica ambizione di impadronirsi del minuscolo Donbass (corrispondente ad appena pochi millesimi della sua superficie complessiva).
Lo scopo della guerra di Putin, lo sanno tutti, è l'Ucraina. La sua ossessione, a stento malcelata, è la destabilizzazione di un'Europa la cui espansione democratica è considerata da Putin una minaccia esistenziale. La battaglia della sua vita - lo dice e lo ripete ogni anno nel suo discorso al Club Valdai?, la micro-Davos russa – è umiliare un'America che egli ritiene colpevole della disintegrazione, trentacinque anni fa, della sua amata Unione Sovietica. Questo è l'uomo a cui Trump ha dato il benvenuto. Questo è l'uomo a cui Trump ha battuto le mani quando è sceso dall'aereo. Ed è per questo uomo che i soldati americani hanno srotolato in ginocchio il tappeto rosso.
Sì, è vero, forse il clima sta per cambiare.
Lo si deve a Zelensky, che mantiene la sua rotta con una risolutezza meritevole una volta di più di ammirazione? Lo si deve ai suoi alleati che lunedì 18 agosto, con Macron in testa, si sono imposti al summit di Washington e hanno dimostrato la loro volontà di prendere una buona volta sul serio la questione della loro stessa difesa? Lo si deve alla volubilità di Trump?
Sarà la Storia a dircelo. Ma una cosa è chiara, in ogni caso. C'è un uomo che, al contrario, non è affatto volubile e di sicuro non è cambiato. Si chiama Vladimir Putin e non ci sarà che un unico modo - durante i negoziati che, secondo Trump, richiederanno "una o due settimane" - per farlo entrare in un gioco le cui regole sembrano essere state fissate dal fronte occidentale ricostituito.
Sarà necessario continuare a esercitare pressioni sulla sua economia.
È necessario, fin da oggi, minacciarlo di "beautiful tariffs", come i dazi inflitti all'Europa.
È necessario estendere le sanzioni finanziarie ai suoi complici e ai suoi partner, come Cina e Corea del Nord.
È necessario dare attuazione alle bills and acts di sostegno all'Ucraina e al suo esercito approvate dalle due Camere all'inizio dell'estate.
Sarà necessario rammentare a Trump che l'accordo sulle terre rare che lui stesso ha firmato con Kiev fa della sicurezza dell'Ucraina una questione di sicurezza nazionale americana. Negoziare la pace è magnifico. Tuttavia, non bisogna assolutamente dimenticare che la Russia putiniana capisce soltanto i rapporti di forza. Questa è la chiave. Peace through strength. Pace attraverso la forza: questa è stata la formula di Ronald Reagan. Per garantire la difesa dei loro popoli e quella dei loro valori, la geopolitica americana e quella del mondo libero non hanno trovato di meglio.
(Traduzione di Anna Bissanti)
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