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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Libero Rassegna Stampa
22.08.2025 Un giornalista palestinese non sta con Hamas. L’appello di Davide Romano
Commento di Claudia Osmetti

Testata: Libero
Data: 22 agosto 2025
Pagina: 9
Autore: Claudia Osmetti
Titolo: «Giornalista dimenticato a Gaza perché non sta con Hamas»

Riprendiamo da LIBERO del 20/08/2025, a pag. 17, con il titolo "Giornalista dimenticato a Gaza perché non sta con Hamas" il commento di Claudia Osmetti. 

Claudia Osmetti
Claudia Osmetti

Il giornalista Omar Abd Rabou non è un apologeta di Hamas, fa cronaca da Gaza. E per questo sta subendo una persecuzione durissima. Ogni giorno che resta a Gaza rischia di essere ammazzato. Apello di Davide Romano al ministro Tajani perché salvi una voce libera fra i palestinesi. 

Ma dove sono i commenti indignati? Dove sono i talk scandalizzati, i social sdegnati, i comunicati risentiti? Quei titoloni inorriditi (uno su tutti, è ancora presente on-line: “Con Anas al-Sharif è morto il giornalismo”, Internazionale), quei post infiniti sul fatto che non-si-tocca-chi-fa-informazione, quelle trasmissioni in prima serata usate solo per dire che Israele è antidemocratico perché uccide chi sulla pettorina porta la scritta “press” e se ne frega del diritto alla cronaca. Dove sono, adesso, con Omar Abd Rabou, che è a Gaza ed è palestinese e fa il reporter e rischia pure lui la pelle ma perché Hamas vuole toglierlo di mezzo, dove sono tutte le anime belle che la settimana scorsa facevano a gara a piangere la morte del videomaker di Al Jazeera la cui pagina su X è ancora piena di selfie con quel tagliagole di Yahya Sinwar?
Viene da chiederselo e no, non è una provocazione: è proprio una domanda di cui conosciamo in anticipo la risposta, non sono da nessuna parte. Non si arrabbia nessuno, non si sconcerta nessuno quando Abd Rabou usa la stessa piattaforma digitale per denunciare: «Tutti coloro che hanno cercato di aiutarmi a lasciare Gaza hanno fallito. Ho la sensazione che nessuno voglia salvarmi dalla morte, qui è invivibile. Ho sofferto sia perla guerra che per Hamas, non posso garantire la mia vita» (16 agosto).
Non manifesta nessuno se aggiunge: «Corro il rischio concreto di essere nuovamente attaccato o ucciso da Hamas. Continuano a minacciarmi e non vogliono restituirmi i miei beni confiscati. Non so cosa fare. Restare qui è come morire» (15 agosto). Non si muove, non segnala, non accusa pubblicamente ancora nessuno mentre lui specifica che «Hamas ha sequestrato tutti i miei iPhone e i miei computer portatili durante i raid, accerchiandomi come se volesse scoprire un crimine segreto. Parlo e scrivo liberamente, senza ordini, senza finanziamenti e senza padrone. Qualunque cosa facciano loro non la farò anche io» (13 agosto).
Due storie parallele se non per un piccolo particolare (Anas al-Sharif è morto in un raid delle Idf, Omar Abd Rabou è un perseguitato dai terroristi di Hamas), due reazioni in Occidente completamente diverse. La prima, quella per al-Sharif, che ha riempito giornali e telegiornali, che ha commosso opinionisti e politici (quasi sempre di sinistra) nonostante i suoi, di interventi sui social, fossero del tenore: «Nove ore e gli eroi stanno ancora uccidendo e catturando, Dio, come siete grandi» (il 7 ottobre del 2023). La seconda, quella per Abd Rabou, passata sotto silenzio perché lui è tra le poche voci libere della Striscia che hanno il coraggio di dire che il regime di Teheran è «la fonte del male in Medio Oriente», perché è stato aggredito dai miliziani armati di spranghe di ferro almeno due volte, una l’8 giugno e l’altra il 24 luglio scorsi, perché si è fatto sentire alla Commissione indipendente per i diritti umani di Gaza, ha detto qui-è-l’inferno-di-Hamas, e non ha ricevuto neanche una pacca sulla spalla.
O quasi. In realtà qualcuno che difende Abd Rabou c’è. È il direttore del Museo della Brigata Ebraica di Milano Davide Romano, che nelle scorse ore si è fatto promotore di un appello a suo favore rivolto al ministro degli Esteri Antonio Tajani. Curioso.
È il mondo ebraico che si mobilita per un palestinese dimenticato dai pacifisti a senso unico della propaganda from the river to the sea: qualcosa significherà. «Visto il regime islamofascista che c’è a Gaza», spiega Romano, «c’è bisogno di pensare al futuro. Dopo la guerra serviranno personalità non compromesse con il regime: Omar Abd Rabou fa parte di quelli che ad Hamas si sono opposti in in tempi non sospetti. Sono i “Matteotti palestinesi” che bisogna salvare prima che sia troppo tardi. Solo da loro potrà partire una Gaza tollerante, non certo dai giochi delle grandi potenze che imporranno i capi-bastone che faranno loro comodo sulle teste dei civili».
Sta tutto lì. Ma sta tutto anche nell’ipocrisia di chi si sloga la mascella a furia di ripetere i soliti slogan propal in piazza, su internet e in televisione e, poi, non vede l’evidenza di ciò che accade sul serio. Si volta dall’altra parte, non interviene, non muove un dito se il palestinese sotto tiro è una vittima di Hamas e non accusa Israele come principale responsabile della guerra che sta lacerando la Striscia.
Stare dalla parte della giustizia e della pace (quella vera) vuol dire anche smascherare queste doppiezze.

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