Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Israele non deve sottostare ai continui ricatti di Hamas Editoriale del Jerusalem Post
Testata: israele.net Data: 20 agosto 2025 Pagina: 1 Autore: Redazione del Jerusalem Post Titolo: «Israele non deve più sottostare al gioco di Hamas dei continui rilanci a spizzichi e bocconi. D’ora in poi la posizione deve essere semplice, morale e irremovibile: basta accordi parziali, rilascio di tutti gli ostaggi in una volta. Niente di meno»
Riprendiamo dal sito www.israele.net - diretto da Marco Paganoni - la traduzione dell'editoriale del Jerusalem Post, dal titolo: "Israele non deve più sottostare al gioco di Hamas dei continui rilanci a spizzichi e bocconi. D’ora in poi la posizione deve essere semplice, morale e irremovibile: basta accordi parziali, rilascio di tutti gli ostaggi in una volta. Niente di meno".
50 ostaggi ancora nelle mani dei terroristi palestinesi a Gaza
Sotto ogni punto di vista, la nuova posizione di Israele nei negoziati con Hamas – la posizione secondo cui qualsiasi accordo deve includere il rilascio immediato di tutti gli ostaggi – è quella giusta.
È giusta strategicamente, politicamente e, soprattutto, moralmente.
Per quasi due anni Israele ha sopportato l’insopportabile realtà dei suoi figli e delle sue figlie trattenuti sottoterra a Gaza. Per quasi due anni, le famiglie delle persone rapite il 7 ottobre hanno vissuto un tormento infinito, senza sapere se i loro cari sarebbero mai tornati.
E per quasi due anni, il governo israeliano si è trovato alle prese con la straziante questione di come riportarli a casa senza dare potere a quello stesso nemico che li aveva barbaramente strappati alle loro famiglie.
Finora, la formula è stata quella degli accordi graduali. Qualche ostaggio qui, qualche ostaggio là in cambio di tregue temporanee, scarcerazione di detenuti o concessioni umanitarie.
Ogni accordo parziale ha portato sollievo ad alcune famiglie, con momenti di indescrivibile gioia quando si sono riunite ai loro cari. Ma ogni accordo ha lasciato decine di persone ancora intrappolate a Gaza.
Ogni accordo ha lasciato nelle mani di Hamas altre pedine da giocare nel ricatto. E ogni accordo ha tenuto l’intera società israeliana in ostaggio delle ciniche manovre di Hamas.
Quel modello deve finire. Il passaggio a un approccio “tutto o niente” non è solo una tattica negoziale. È un necessario riassetto strategico su più fronti.
Perché Israele deve passare a un approccio tutto o niente?
In primo luogo, gli accordi parziali non hanno fatto altro che prolungare l’incubo. Ogni volta che Israele ha accettato un rilascio graduale, Hamas si è intascata i guadagni e ha chiesto sempre di più. Più tempo, più potere, più detenuti da scarcerare, più pressione per fermare le operazioni militari.
Questo processo frammentario ha servito perfettamente gli interessi di Hamas: costringere Israele ad aspettare, tenere il mondo fermo a guardare, dividere le famiglie, permettere che fosse l’organizzazione terroristica a tirare le redini.
Richiedere tutti gli ostaggi in una volta sola nega a Hamas questo vantaggio.
In secondo luogo, l’approccio precedente creava una gerarchia crudele. Il figlio di quali genitori torna a casa prima? Quali genitori rimangono indietro? A chi tocca soffrire più a lungo?
Insistendo sul fatto che tutti debbano essere liberati insieme, Israele afferma una verità morale fondamentale: ogni ostaggio ha lo stesso valore.
Nessuna vita è sacrificabile, nessuna angoscia familiare è meno impellente.
Terzo: la deterrenza presuppone chiarezza. Finché Hamas ha potuto calcolare che rapire israeliani avrebbe generato ripetute concessioni, il sequestro di ostaggi rimaneva una strategia praticabile ed efficace.
Esigere il rilascio immediato di tutti gli ostaggi è il messaggio più chiaro possibile: questa tattica non vi procurerà ulteriori dividendi. L’unica via d’uscita è lasciarli andare tutti.
Quarto: gli accordi graduali corrodono la coesione nazionale, prolungano l’intero trauma e scatenano aspre proteste e recriminazioni interne.
La nuova posizione ripristina equità e unità: o tutti tornano a casa, o Israele andrà avanti così finché non tornano.
Questo non solo è giusto in sé, ma ridurrà anche gli attriti all’interno di una società logorata da quasi due anni di guerra, lutti e disordini politici.
Quinto: il nuovo approccio blocca la guerra psicologica di Hamas. Il gruppo terroristico non ha mai considerato gli ostaggi in termini puramente militari: sono strumenti di guerra cognitiva progettati per spaccare la società israeliana, erodere il morale, frantumare la coesione.
Rilasciandone alcuni e trattenendone altri, Hamas ha deliberatamente seminato discordia e un trauma interminabile.
Esigere tutti gli ostaggi contemporaneamente chiude questo fronte, negando a Hamas la sua arma psicologica più efficace.
Sesto: il nuovo approccio è in linea con gli obiettivi militari e politici più ampi di Israele. La guerra mira a smantellare Hamas come entità governativa e militare e a privarla del potere che deteneva il 7 ottobre.
Gli accordi graduali sul rilascio degli ostaggi compromettono tale obiettivo, prolungando la sopravvivenza del gruppo terroristico come organizzazione.
La richiesta di liberare tutti gli ostaggi in un colpo solo è coerente con la visione strategica più ampia: l’autorità di Hamas deve avere fine.
Nel complesso, queste ragioni mostrano chiaramente che il vecchio modello dei rilasci parziali ha fatto il suo tempo: ha prolungato l’incubo, ha rafforzato Hamas e ha indebolito l’unità di Israele.
La nuova posizione, al contrario, chiude le vie della strumentalizzazione, rafforza la deterrenza e riafferma il principio secondo cui ogni vita conta allo stesso modo.
Viene naturale aggrapparsi a qualsiasi accordo che prometta un sollievo parziale. Ma la storia dimostra che il sollievo parziale arrivava sempre al prezzo carissimo di perpetuare proprio quella prigionia a cui si voleva porre fine.
Non si tratta solo di una nuova formula negoziale: si tratta di una riaffermazione della determinazione nazionale. Israele non giocherà più al gioco di Hamas dei continui rilanci a spizzichi e bocconi.
La richiesta è semplice, è morale ed è irremovibile: tutti gli ostaggi, tutti in una volta. Niente di meno.
(Da: Jerusalem Post. 19.8.25)
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