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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Il Riformista Rassegna Stampa
17.08.2025 Israele accusata di genocidio. Una riflessione biblica
Commento di Marco Ottolenghi

Testata: Il Riformista
Data: 17 agosto 2025
Pagina: 5
Autore: Marco Ottolenghi
Titolo: «Israele accusata di genocidio. Una riflessione biblica»

Riprendiamo dal RIFORMISTA, del 15/08/2025 a pagina 5 il commento di Marco Ottolenghi dal titolo "Israele accusata di genocidio. Una riflessione biblica".

L'accusa a Israele di genocidio, mossa anche da intellettuali ebrei come Anna Foa, parte da una cattiva lettura della Bibbia. Secondo un pregiudizio duro a morire, infatti, il Dio degli ebrei è vendicativo e legittimerebbe il genocidio. Ma non è vero. Serve un vero ripasso della Bibbia e capire che, in ogni caso, le accuse di genocidio, non supportate da prove, non hanno alcun senso.

L’accusa più recente allo Stato d’Israele e al popolo ebraico è di perpetrare un “genocidio” a Gaza su ispirazione di un dettame biblico del libro del Deuteronomio.
Scrive Mancuso sulla Stampa del 13 Luglio: “Nel libro del Deuteronomio vi è una ideologia del potere e dell’oppressione nazionalista e razzista verso altri popoli”.
Aggiunge ancora Mancuso che “secondo l’ideologia Deuteronomistica l’elezione divina comporta l’amore per Israele e contemporaneamente l’odio per gli altri popoli.
Questa ideologia vorace e generatrice di ingiustizia e di violenza è la base dell’azione politica che ai nostri giorni in Israele guida l’attuale governo nella guerra di sterminio contro la popolazione di Gaza”.
Sulla Stampa del 14/07 gli fa eco Anna Foa che scrive: “È possibile interpretare quanto succede a Gaza solo in termini di religione, leggerlo come l’espressione non di tutto l’ebraismo ma di una sua parte importante, di un suo filone imprescindibile con forti radici nel testo biblico?
Dico ‘solo’ perché sono assolutamente convinta, come Vito Mancuso nel suo discorso essenzialmente teologico, che il messianismo aggressivo e fanatico dei coloni e dei partiti religiosi estremisti di Israele non sia un velo che copre altre motivazioni – politiche, economiche che siano – ma il movente assolutamente primario di chi crede non solo di agire in nome di Dio ma anche che il suo Dio gli consenta di compiere atti terribili che non è fuori luogo chiamare ‘genocidari’”.
In altre parole Mancuso e Foa ritengono di aver trovato nella Bibbia il movente assolutamente primario della tragica guerra in corso tra Israele e Hamas.
A riprova di questa teoria Mancuso cita alcuni versetti del capitolo 7 del Deuteronomio e delibera per conto suo che in tali versetti troviamo un precetto programmatico rivolto al popolo ebraico di tutte le generazioni.
Eureka!
Ecco la prova che tutti stavano cercando da mesi per confermare che Israele sta perpetrando un genocidio.
Infatti, come ogni giurista principiante dovrebbe sapere, non può sussistere il crimine di genocidio senza che ci sia l’intento specifico (dolus specialis) di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo etnico, nazionale o religioso.
Essendo impossibile, per la realtà dei fatti, attribuire una tale intenzionalità allo Stato di Israele (un esempio fra gli altri, la prassi, unica al mondo, praticata dall’esercito israeliano di avvisare sempre in anticipo quali saranno le zone colpite dai bombardamenti) ecco spuntare in alternativa la fonte biblica come movente primario e come prova che Israele stia commettendo un genocidio.
Peccato, però, che né Mancuso né Foa siano in grado di comprendere il testo della Bibbia, dal momento che sarebbe stato sufficiente mettere a confronto passi diversi di uno stesso libro, il Deuteronomio, per evitare di giungere a conclusioni affrettate ed errate, basate sulla scelta di alcuni versetti estrapolati dal contesto.
È noto che nella religione ebraica le regole di comportamento (Halachà) non si deducono automaticamente dal testo della Bibbia (la Torà scritta) ma sono state elaborate e interpretate nel corso dei secoli attraverso la Torà Orale.
Non pretendo certo che Mancuso e Foa conoscano e siano esperti della Torà Orale a tal punto da comprendere che non esiste alcun precetto di genocidio nella religione ebraica, ciononostante mi sembra doveroso per un teologo e anche per una storica, avere cura perlomeno di confrontare passi diversi di uno stesso libro, il Deuteronomio, prima di formulare giudizi avventati.
In ogni caso, per sostenere la sua tesi, Mancuso cita alcuni versetti del capitolo 7 del Deuteronomio in cui si parla della guerra totale da condurre contro i sette popoli della terra di Kenaan.
Non presta però abbastanza attenzione al fatto che questi popoli sono nominati uno ad uno, proprio per sottolineare che questa norma, sicuramente problematica, riguarda solamente ed esclusivamente i popoli menzionati.
In altre parole questa disposizione è l’eccezione che conferma la regola.
Il trattamento sistematico delle regole riguardanti la guerra lo troviamo nel capitolo 20 del Deuteronomio a partire del versetto 10: “Quando ti avvicinerai ad una città per combattere contro di essa per prima cosa dovrai offrirle la pace”.
Il testo prosegue dicendo che qualora la proposta di pace non venisse accettata solo allora si potrà iniziare la guerra.
Nel versetto 14 è scritto chiaramente il divieto di uccidere nel corso della guerra sia le donne sia i bambini.
Nel verso 19 si presta attenzione anche all’ambiente: “Quando assedierai una città per molto tempo, combattendo contro di essa per occuparla, non distruggere i suoi alberi colpendoli con la scure, i suoi frutti potrai mangiare, ma l’albero non lo dovrai tagliare: forse che l’albero del campo è come un uomo che possa rifugiarsi nella città assediata?”.
Nel versetto 16 del cap. 20 ritroviamo quanto scritto riguardo ai sette popoli idolatri del cap. 7 del Deuteronomio con l’incipit letterale “rak”, che in ebraico vuol dire “solamente”, a indicare che si tratta di una eccezione alle regole generali sulla guerra.
Un caso eccezionale già nel periodo biblico e disposizione sicuramente non più praticabile in futuro.
È importante sottolineare che la Bibbia stessa, nel libro dei Giudici e nei Salmi (106:34), narra che non ci fu uno sterminio totale dei sette popoli.
Le motivazioni sono diverse, non ultima l’interpretazione data dalla Torà orale al cap. 20 del Deuteronomio, e in seguito codificata dal Maimonide (1138-1204) quando ancora imperversavano le Crociate, secondo cui prima di iniziare qualsiasi guerra, compresa quindi anche la guerra ai sette popoli, è obbligatorio offrire una proposta di pace.
Del resto tutto il contesto della guerra contro i sette popoli idolatri testimonia che ci troviamo di fronte a una disposizione unica e irripetibile similmente a tutte le regole particolari date al popolo ebraico alla vigilia dell’uscita dall’Egitto.
Proprio riguardo alla liberazione dall’Egitto la tradizione ebraica fa distinzione fra due feste di Pesach: la prima – la Pasqua d’Egitto, unica e irripetibile; la seconda – la Pasqua delle generazioni future con precetti diversi e validi per sempre.
Allo stesso modo nel cap. 20 del Deuteronomio troviamo quasi tutte le regole relative a una situazione bellica mentre la guerra contro i sette popoli idolatri rimane un evento unico e assolutamente irripetibile.
Ma soffermiamoci ancora un po’ sulle parole del testo che parla della distruzione dei sette popoli idolatri che occupavano la terra di Kenaan.
Mancuso traduce la parola “herem” come “sterminio totale” e in un altro articolo sulla Stampa del 18/07 porta a sostegno della sua traduzione lo studioso Mario Liverani: “La pratica del ‘herem’ è del tutto funzionale al progetto del totale rimpiazzo dei popoli stranieri da parte del popolo eletto”.
In altre parole il ”herem” spiegherebbe benissimo la tesi di Mancuso riguardo a ciò che chiama “Israelismo”, cioè un fenomeno nazionalista suprematista e razzista ante litteram che vede nello sterminio dei nemici il fondamento della sua politica e della sua religione.
Purtroppo Mancuso si è dimenticato di leggere sempre nello stesso libro del Deuteronomio il cap. 13 dal versetto 13 al 19.
Qui la Bibbia tratta di un caso ipotetico (mai avvenuto secondo la Torà Orale e la tradizione ebraica) qualora una intera città del popolo ebraico si abbandonasse all’abominio dell’idolatria.
Le misure drastiche ivi menzionate da prendere nei confronti di quella città di ebrei sono del tutto analoghe a quelle rivolte ai sette popoli idolatri e anche in questo caso la parola espressa nella Bibbia è “herem”.
E allora?
Dove è l’elemento razzista?
Dove sarebbe questa supremazia ebraica?!
Con una maggiore attenzione al testo della Bibbia, senza pregiudizi, e perfino senza dover scomodare la Torà Orale emerge chiaro che il messaggio del Deuteronomio è etico e teologico: ogni forma di idolatria è fermamente condannata, non per motivi razziali, o nazionali, ma per il suo contenuto disumano, ingannevole e corrosivo.
Mancuso però si spinge oltre il concetto di suprematismo e aggiunge: “L’elezione divina comporta l’amore per Israele e contemporaneamente l’odio per gli altri popoli”.
Ancora una volta, si appoggia ai versetti del capitolo 7, ignaro del fatto che si tratta di un caso eccezionale che merita sicuramente un approfondimento ad hoc in altra sede, e comunque palesemente limitato ad una congiuntura specifica.
Quale è invece la condotta generale da adottare verso le tutte le altre popolazioni che viene richiesta al popolo ebraico nella Bibbia in generale e più specificatamente nel Deuteronomio?
Leggiamo nel cap. 2 del Deuteronomio, versetti 4 e 5, le disposizioni di Dio a Mosè: Comanda al popolo dicendo: Voi passate per il territorio dei vostri fratelli figli di Esau che abitano in Se’ir, essi avranno paura di voi, ma state molto attenti a non provocarli.
Non fate loro guerra perché Io non vi darò del loro territorio neppure quanto ne copre la pianta di un piede, poiché Io ho dato il monte di Se’ir come possesso ereditario a Esau”.
Le stesse disposizioni vengono ripetute per le popolazioni di Moav e Ammon (versetti 9 e 19).
Sorpresa!
La Provvidenza Divina pur eleggendo Israele non comanda di odiare gli altri popoli ma anzi concede anche a loro territori specifici come eredità particolare e ammonisce il popolo ebraico di non osare combattere contro di essi.
Lo stesso messaggio viene ripetuto più volte nei libri dei Profeti come ad esempio in Isaia cap. 19, versetti 24-25: “In quel giorno Israele sarà terzo all’Egitto e all’Assiria, benedizione in mezzo alla terra.
Il Signore delle Schiere li benedirà dicendo: Benedetto l’Egitto mio popolo, e l’Assiria opera delle mie mani e Israele mia eredità”.
Pur avendo eletto Israele, la Provvidenza Divina sembra avere abbastanza amore da conferire a tutti i popoli della terra e non esiste un comandamento di odiare gli altri popoli se non nell’ermeneutica peculiare di Vito Mancuso.
Inoltre al cap. 23, versetto 8, sempre del Deuteronomio leggiamo: “Non odiare l’Idumeo perché è tuo fratello e non odiare l’Egiziano perché sei stato straniero nei suo paese”.
Il Rabbino Jonathan Sacks fa notare in una sua analisi letteraria del testo biblico che la radice del verbo amare (a-h-v) appare due volte nel libro dell’Esodo, due volte nel libro del Levitico, non compare affatto nel libro dei Numeri ma compare ben 23 volte nel libro del Deuteronomio.
Viene da chiedersi quale libro abbia letto Mancuso per arrivare a definire il Deuteronomio un libro con “una ideologia tra le più settarie e più violente della letteratura biblica e in genere del mondo antico”.
Perfino il ministro Ben Gvir, personaggio rozzo e di cultura medio-bassa, cresciuto nel partito razzista di Meir Kahane (messo fuori legge negli anni ‘80), non ha mai fatto riferimento al capitolo 7 del Deuteronomio per giustificare le sue proposte politiche e le sue dichiarazioni estremiste di destra.
Nello stesso saggio il Rabbino Sacks riporta le parole del filosofo Simon May dal suo libro “Love: a History” (Yale University Press 2011, pp. 19-20):
La diffusa convinzione che la Bibbia ebraica parli soltanto di vendetta, mentre i Vangeli avrebbero inventato l’amore come valore incondizionato e universale, deve quindi essere considerata uno dei più straordinari fraintendimenti della storia occidentale.
Infatti, la Bibbia ebraica è la fonte non solo dei due comandamenti dell’amore (verso il prossimo e verso Dio), ma anche di una più ampia visione morale ispirata dalla meraviglia per la potenza dell’amore.

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