Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Quella notte di vent'anni fa in cui Sharon sacrificò Gaza per una pace impossibile Commento di Fiamma Nirenstein
Testata: Il Giornale Data: 15 agosto 2025 Pagina: 12 Autore: Fiamma Nirenstein Titolo: «Quella notte di vent'anni fa in cui Sharon sacrificò Gaza per una pace impossibile»
Riprendiamo da IL GIORNALE di oggi 15/08/2025 a pag. 12 il commento di Fiamma Nirenstein dal titolo: "Quella notte di vent'anni fa in cui Sharon sacrificò Gaza per una pace impossibile".
Fiamma Nirenstein
Ariel Sharon, quando era premier, ordinò il ritiro unilaterale da Gaza, lasciando pieno autogoverno all'Autorità Palestinese, pensando che quello sarebbe stato il primo passo verso la pace. Fu invece il primo passo verso la guerra perenne con Hamas che prese il potere subito dopo il ritiro. Migliaia di ebrei che abitavano nella Striscia di Gaza vennero trasferiti con la forza, il loro fu un sacrificio inutile. Da non ripetere.
L'ultima notte nel Gush Katif il 14 agosto fu nera, umida, stupefatta, inadeguata. Così mi apparve quando nel 2005 coprivo lo sgombero col mio stringer Shlomo Blass. Con tanti giornalisti passai qualche ora fuori della sabbia di Gaza a respirare nel kibbutz di Nir Oz, che il 7 ottobre diventò una delle macellerie di Hamas. Poi, si andò. Il check point di Kissufim, venne chiuso agli ebrei. A mezzanotte cominciarono a entrare i soldati e i poliziotti, 50mila, per sgomberare 8000 persone disperate. Da mesi avevano legato quel nastro arancione ovunque, pendeva e ventolava da auto, pali, alberi a esprimere paura e resistenza, 3000 giovani facevano gli spavaldi, venuti a rinforzare gli abitanti ma poi seppero solo farsi trascinare giù dai tetti. I soldati avevano provato per mesi a resistere al pianto delle donne e dei bambini, alla resistenza fisica, a recitare il discorsetto di scusa per chiedere di uscire a Netzarim, Neve Dekalim, Kfar Daron, Alei Sinai… La gente dopo l’ordine del primo ministro Ariel Sharon digiunò come per Tisha be Av, quando gli ebrei sconfitti da Tito persero Gerusalemme col suo Tempio fra fiamme e crocifissioni.
Sharon era sempre stato un padre benevolo: Israele è un sogno a rischio, il popolo d’Israele deve difendersi. I grandi, tutti, l’hanno ripetuto: Ben Gurion come Begin, Rabin, Peres, anche se tanto diversi. Vincitori e pacifisti. Sharon aveva vinto la guerra perdente del ‘73, Golda Meir poteva ringraziare lui se l’Egitto era stato fermato; aveva sgominato la seconda Intifada, un sette di ottobre durato anni, quasi 1500 morti, bambini nelle pizzerie, ragazzi nelle discoteche, famiglie nei supermarket. Sharon era entrato coi carri armati nelle città dei terroristi con l’operazione Muro di Difesa. Però gli pesava indicibilmente, me ne sono accorta nelle interviste, il linciaggio cui era stato sottoposto per Sabra e Chatila, la strage compiuta dai maroniti appiccicatagli addosso. Forse è stato questo, forse l’onda della vittoria della guerra americana contro Saddam e il desiderio di imporre al mondo insieme a Bush la fine del terrorismo piegandosi al destino di avere questi cugini scomodi, carichi di odio. Sharon ha deciso di lasciare Gaza, demograficamente esplosiva, feroce nell’uccidere i soldati. Netanyahu è saltato giù dal voto all’ultimo.
Adesso i camion carichi escono, Hamas avanza, Abu Mazen è già sconfitto: i suoi uomini una volta che gli ebrei saranno fuori, saranno trucidati e buttati giù dai tetti da Hamas. Il primo insediamento è Morag: i ragazzi ebrei sono asserragliati sui tetti, hanno per armi frasche verdi, le donne gridano “soldato disubbidisci, vigliacco, un ebreo non deporta un ebreo”. In un giardino d’infanzia i bambini sguazzano nudi e paffuti, le soldatesse li prendono in braccio, li baciano, una madre a Neve Dkalim porge la sua bimba ai soldati: “Ecco tutta la mia vita, portatela via”. Una madre coi bambini mutilati dagli attentati mi racconta la sua storia e non capisce, non capisce… come ha potuto Sharon? Ai ragazzi di leva di diciotto anni dicono: “Quanti amici ho perduto per difenderti, per restare qui”. “Sei mio fratello, non mi toccare”. Quelli che pregano ormai urlano insieme una preghiera diretta e cruda “Adonai Adonai, Dio Dio”, come se all’improvviso Dio dovesse svegliarsi e salvare chi piange disperato. Ci si oppone ma si ubbidisce ai soldati: è un miracolo di decenza democratica.
In una villetta con due acacie fiorite vivono i genitori del soldato Jonathan Hillberg ucciso dai palestinesi nel ‘97, la madre Broide siede per terra, gli occhi azzurri lampeggianti identici a quelli del figlio seppellito nella Striscia dove dovrà lasciarlo, e canta su una chitarra le sue canzoni. Un ragazzo-ufficiale le parla “Noi l’amiamo molto di più di quanto creda”. I bus escono coi materassi e il cibo da campo, le case-roulotte promesse ritarderanno, una famigliola lascia la capanna di legno sulla spiaggia col pianoforte. Come si fa a portarlo via? I terribili settler ubbidiscono. Sharon ha ancora una volta praticato la conceptia, l’aspirazione sicura e sbagliata, tipica di Oslo, che per gli ebrei alla fine non ci sia che la pace perché ne incarnano l’essenza filosofica, anche se sono costretti a combattere. Intanto già piovono missili sulla costa; le serre di pomodori e fiori, ogni struttura, case e sinagoghe, vengono fatte a pezzi, piccoli pezzi, saccheggiate, divelte. Hamas dà il via ai piani per fare di Gaza la sua fortezza sotterranea: così userà gli aiuti, armi e gallerie.
Il mio amico palestinese Khaled Abu Toameh, con cui ho coperto tanto terrorismo, mi mostra una gara di poesia di quei giorni “Sorgi soldato arabo, la terra ha bisogno dei tuoi cavalieri! La terra desidera i nipoti di Saladino e degli Ottomani che con le spade fondarono gli stati” così Fida Awni. E Ibitisam Mustafa: “O brigate state pronte, Gaza è tornata nostra! Oh Hamas libera Gerusalemme con la forza dei tuoi soldati e dei tuoi razzi”. Da quei giorni in cui Israele per l’ennesima volta celebrava l’ineluttabilità morale della pace, nessun palestinese ha scritto una canzone di assenso.
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