Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
Onu impantanata della diplomazia, invece Israele agisce Intervista di David Sayn
Testata: Il Riformista Data: 19 luglio 2025 Pagina: 4 Autore: David Sayn Titolo: «Onu impantanata della diplomazia, invece Israele agisce. L’attivista Osman: «Parole insufficienti a fermare i missili»»
Riprendiamo dal RIFORMISTA di oggi, 19/07/2025, l'intervista di David Sayn a Rawan Osman dal titolo "Onu impantanata della diplomazia, invece Israele agisce. L’attivista Osman: «Parole insufficienti a fermare i missili»".
Rawan Osman
Nata a Damasco da famiglia siro-libanese, Rawan Osman si impegna da anni nella sensibilizzazione del mondo arabo al tema dell’antisemitismo. La sua ferma condanna degli eventi del 7 ottobre l’ha divisa da molti amici e familiari. Oggi, il conflitto interno alla Siria, acuitosi negli scontri fra drusi e beduini sunniti e nelle violenze perpetrate ai danni dei primi – ma anche di alawiti e cristiani – da milizie jihadiste e paragovernative, la tocca nel profondo. Mentre l’Unione Europea e l’ONU restano ancorate a una diplomazia forse superata, quando non compiacente, Israele agisce: lo ha fatto in Iran, ora anche in Siria. Eppure, la condanna di entrambi gli interventi è stata pressoché universale, mentre i rituali di umiliazione, le scene dei massacri, sovente documentati da video girati dagli stessi carnefici secondo un copione già visto, hanno suscitato meno indignazione dei mirati bombardamenti di Israele sul Ministero della difesa di Damasco.
«L’Occidente fatica a comprendere appieno l’urgenza e la posta in gioco in Medio Oriente, sottovalutando gli usi e le realtà, anche brutali, della regione. La diplomazia ha fallito ripetutamente. Non è riuscita a dissuadere Hezbollah, che ha lanciato razzi su Israele per quasi un anno, né a fermare le ambizioni nucleari iraniane. Israele, invece, sa che le parole non bastano a fermare né i missili né gli estremisti. Per questo ha agito, non solo in legittima difesa, ma anche per un dovere morale verso i propri cittadini e quelle minoranze che confi dano in esso, inclusi i drusi israeliani. Le critiche a questi interventi ignorano questo calcolo morale e insieme strategico».
Secondo alcuni analisti, la minoranza drusa, che in Siria conta circa ottocentomila persone, sarebbe spaccata: chi sosteneva Assad, chi è oggi vicino ad Israele, chi cerca un’intesa con la nuova amministrazione.
«Sì, lo è: non soltanto sul piano politico, ma anche esistenziale. Alcuni rifiutano categoricamente Al-Jolani – ex jihadista dalle mani tutt’altro che pulite – soprattutto per il suo ruolo nella persecuzione condotta nel nord-ovest del Paese. Altri, invece, hanno assunto una posizione più pragmatica. Di fronte al peggioramento della situazione e all’assenza di alternative praticabili, sono disposti a correre un rischio calcolato – un salto di fede – sperando di preservare ciò che resta delle loro comunità. Non è un allineamento ideologico. Nel caos siriano post-Assad, perfi no chi diffi da nel profondo di Al-Jolani riconosce che un compromesso potrebbe essere l’unica strada rimasta».
Questa settimana abbiamo visto centinaia, forse migliaia di giovani drusi lasciare un rifugio sicuro in Israele e attraversare il confi ne, scavalcando il fi lo spinato per inoltrarsi nel deserto, correndo – letteralmente – in difesa dei loro fratelli in Siria.
«Credo che in Occidente l’idea di recarsi di persona su un campo di battaglia per difendere i propri cari appaia quasi inconcepibile. Ma in Medio Oriente le realtà tribali, famigliari rimangono fondamentali. Anche per i drusi dell’IDF la situazione tocca corde intime. Da ufficiali, si sono impegnati a difendere lo Stato ebraico, e a loro volta si aspettano – con ragione – che questo sia al loro fianco nel momento del bisogno. Si tratta di un legame culturale fondato sulla lealtà, sull’onore e sul sacrifi cio condiviso. Quello delle centinaia di giovani drusi partiti per aiutare la loro gente non è stato un gesto propagandistico, ma la testimonianza viva di cosa ancora s’intende per ‘solidarietà’ in questa parte del mondo».
Al-Jolani ha de facto controllato il nord-ovest siriano, soprattutto Idlib, per quasi quindici anni, cercando di cancellare le minoranze presenti nella regione. Eppure, tutto sembra dimenticato. In nome di cosa?
«La geopolitica richiede accomodamenti anche difficili. Quando scalzare il regime di Assad – alleato chiave dell’Iran e cardine nelle rotte di rifornimento da Teheran a Hezbollah – è diventato una priorità assoluta, Al-Jolani è emerso come la soluzione meno destabilizzante. Si è trattato di una scommessa tattica di svariati attori politici, non certo di un avvallo morale. Ed è stato sostenuto, direi addirittura selezionato, tramite accordi regionali. Ma la situazione resta altamente volatile: molti suoi ex combattenti – jihadisti stranieri e locali – non rispondono più ai suoi ordini».
È sbagliato pensare che molte tensioni regionali in Medio Oriente siano legate al persistente fascino di un colonialismo ancora connaturato al mondo islamico?
«Alla radice delle instabilità che stiamo attraversando c’è una convinzione teologico-politica di supremazia islamica – la visione dell’Islam come un sistema da diffondere su scala globale. Ogni governo non musulmano, specialmente se li riguarda da vicino, è considerato illegittimo. Non è una questione meramente politica, ma anche escatologica. L’approccio occidentale trascura spesso questo fattore ideologico, in particolare gli impulsi autoritari ed espansionisti, che è invece necessario riconoscere per affrontare in modo consapevole questa tragedia senza fine».
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