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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Riformista Rassegna Stampa
21.06.2025 L'Iran può scatenare una guerra globale
Analisi di Luca Longo

Testata: Il Riformista
Data: 21 giugno 2025
Pagina: 4
Autore: Luca Longo
Titolo: «Oltre 400 chili di uranio arricchito al 60%, l’Iran può scatenare una guerra globale: Netanyahu ha seguito la dottrina del principio di Begin»

Riprendiamo dal RIFORMISTA, l'analisi di Luca Longo, dal titolo: "Oltre 400 chili di uranio arricchito al 60%, l’Iran può scatenare una guerra globale: Netanyahu ha seguito la dottrina del principio di Begin"

L'ex presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad aveva dato una forte accelerazione al programma nucleare e non faceva mistero di voler annientare Israele. Israele ha deciso di colpire prima che fosse troppo tardi, conformemente alla dottrina Begin, il premier che distrusse il reattore nucleare iracheno nel 1981.

Tutto il mondo si sta chiedendo perché proprio ora? Perché Israele ha deciso di scatenare un attacco preventivo sull’Iran proprio in questi giorni, mentre è impegnato in combattimento con tutti i suoi proxy, mentre gli ostaggi soffrono nelle prigioni di Hamas, mentre sono in corso trattative con gli Stati Uniti proprio con l’obiettivo di neutralizzare il programma nucleare degli Ayatollah? 

La risposta è molto semplice, ed era sotto gli occhi di tutti i governi dal 31 maggio. Quel giorno, l’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (IAEA) ha diffuso il rapporto GOV/2025/24 – “Verification and monitoring in the Islamic Republic of Iran in light of United Nations Security Council resolution 2231 (2015)”; poi desecretato l’11 giugno. Qui, per la prima volta in 20 anni, l’agenzia ONU dimostra l’esistenza di un programma nucleare militare iraniano e prova scientificamente che l’Iran possiede 408,6 kg di Uranio arricchito al 60%. Quantità adatta – previa ulteriore raffinazione – per realizzare almeno dieci testate nucleari: più che sufficienti per vetrificare la terra di Israele e renderla completamente inabitabile da chiunque. Tutta Israele, “dal fiume al mare”, ma anche i territori circostanti, con buona pace dei vari luoghi sacri e delle ambizioni di conquista di tutti i suoi vicini di casa.

Dall’“Atoms for Peace” alla Guerra con l’Iraq

La storia del nucleare iraniano affonda le radici negli anni Cinquanta. Nel 1957, sotto lo Scià Mohammad Reza Pahlavi, l’Iran avvia un programma di sviluppo dell’energia atomica civile con il sostegno diretto degli Stati Uniti, nell’ambito dell’iniziativa “Atoms for Peace” promossa dal presidente Dwight Eisenhower. Gli Stati Uniti forniscono a Teheran il primo reattore di ricerca e combustibile nucleare, mentre negli anni Settanta la Germania Ovest inizia la costruzione della centrale di Bushehr, sul Golfo Persico.

Questo scenario cambia radicalmente nel 1979, con la Rivoluzione islamica che porta al potere l’Ayatollah Khomeini. Il nuovo regime interrompe ogni collaborazione con l’Occidente. La guerra Iran-Iraq (1980–1988) compromette ulteriormente le infrastrutture nucleari e interrompe il programma.

Ma questo venne ripreso negli anni Novanta con l’aiuto della Russia, che realizza il reattore di Bushehr, un VVER russo da un Gigawatt collegato alla rete elettrica nazionale nel 2011. Intanto, sotto sotto, l’Iran avvia, con Pakistan e Corea del Nord, un parallelo sviluppo atomico militare nascondendolo agli ispettori dell’IAEA.

Nel 2002, gruppi di opposizione iraniani in esilio rivelano l’esistenza di due impianti nucleari segreti: il centro di arricchimento dell’uranio di Natanz (lo stesso colpito da Israele il 13 giugno) e il reattore ad acqua pesante di Arak. È la prova dell’esistenza di un programma iraniano per l’atomo militare: una brutta storia che attraversa i decenni successivi fino ai giorni nostri.

Sanzioni e accordi: dal JCPOA alla rottura

A seguito della scoperta dei siti segreti, la comunità internazionale impone sanzioni economiche sempre più dure che colpiscono profondamente l’economia iraniana. Nel 2013, con l’elezione del presidente Hassan Rouhani, Teheran apre a una stagione diplomatica che culmina nel 2015 con la firma del Joint Comprehensive Plan of Action (JCPOA). L’accordo, sottoscritto da Iran, Stati Uniti, Regno Unito, Francia, Germania, Russia e Cina, prevede una drastica riduzione (del 98%) delle riserve di uranio arricchito e lo smantellamento di migliaia di centrifughe in cambio dell’alleggerimento delle sanzioni.

L’intesa sembra funzionare, ma nel 2018 la prima amministrazione Trump esce unilateralmente dall’accordo – ritenuto troppo permissivo – e reintroduce pesanti sanzioni. L’Iran risponde facendo carta straccia dei limiti imposti dal JCPOA: nel 2025, secondo le stime più recenti, le sue scorte di uranio arricchito superano di oltre 25 volte i limiti previsti dall’accordo del 2015.

L’impasse dei negoziati e il ritorno alla tensione

Nell’aprile 2025, con la rielezione di Donald Trump alla Casa Bianca, riprendono i negoziati con Teheran, ma non producono risultati concreti. La Guida Suprema Ali Khamenei ha rifiutato l’ipotesi di interrompere completamente l’arricchimento dell’uranio, mantenendo una posizione inflessibile.

Nonostante oltre vent’anni di sforzi diplomatici, il programma nucleare iraniano era, fino alla settimana scorsa, tra i più avanzati al mondo. Un percorso che ha trasformato l’Iran da partner dell’Occidente a rischio esistenziale non solo per Israele e per gli USA, ma per l’intero pianeta. La questione iraniana, ancora una volta, si conferma come uno dei principali focolai geopolitici del Medio Oriente e dell’intero sistema internazionale.

Il principio non negoziabile di Begin

In questi giorni, la pavida comunità internazionale sta lavandosi la coscienza criticando aspramente Netanyahu. E lo critica mentre nasconde un sospiro di sollievo perché, anche stavolta, è Israele che fa il lavoro sporco per tutti. Ma questa volta non è colpa o merito di Bibi: il premier israeliano si è limitato a dare applicazione concreta al Principio di Begin.

Per capire in cosa consiste, riavvolgiamo il nastro fino al 7 giugno 1981. Quel giorno, Menachem Begin ordinò l’Operazione Babilonia: un audace attacco aereo su Osirak, a pochi km da Baghdad, per annientare il reattore dove gli scienziati di Saddam Hussein stavano realizzando la bomba atomica irakena. Il premier si accollò la responsabilità completa della decisione, tenendo all’oscuro anche i suoi ministri fino a poche ore prima. E quando l’operazione ebbe un pieno e definitivo successo, ricevette – indovinate – la dura condanna dell’intera comunità internazionale, oltre a una lettera di congratulazioni firmata dall’intero parlamento israeliano, per la prima volta unito dai sostenitori del governo fino alle frange di opposizione più estreme.

In una conferenza stampa poche ore dopo l’eliminazione della minaccia esistenziale, Menachem scandì che “Non permetteremo a nessun nemico di realizzare armi di distruzione di massa”…“e che questo attacco costituisca un precedente per ogni futuro governo in Israele. Ogni futuro premier, in simili circostanze, dovrà agire nello stesso modo”.

Le cronache ricordano che, poco dopo, ai giornalisti che gli elencavano le dure critiche giunte da tutto il mondo, rispose semplicemente: “Devo proprio essere un ragazzaccio”. E uscì.

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