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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Giornale Rassegna Stampa
19.06.2025 Il tempo delle scelte definitive
Commento di Fiamma Nirenstein

Testata: Il Giornale
Data: 19 giugno 2025
Pagina: 12
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «Il tempo delle scelte definitive. Quei piani pronti da dicembre. Poi Bibi da Trump a febbraio. Venerdì la svolta con l'attacco»

Riprendiamo da IL GIORNALE di oggi 19/06/2025 a pag. 12 il commento di Fiamma Nirenstein dal titolo: "Il tempo delle scelte definitive. Quei piani pronti da dicembre. Poi Bibi da Trump a febbraio. Venerdì la svolta con l'attacco".


Fiamma Nirenstein

Trump sta seguendo Netanyahu nella guerra contro l'Iran. Un intervento americano diretto costituirebbe una svolta mondiale. Inizialmente scettico, Trump è stato convinto da Netanyahu, nel corso dei mesi ed è sempre più determinato da quando ha potuto osservare il clamoroso successo israeliano.

Trump ha cominciato a prendere decisioni definitive quando, da venerdì scorso, le notizie delle azioni di Israele nella guerra intrapresa contro l’Iran si sono disegnate come uno stupefacente successo a fronte del potere più abominevole del mondo. E’ qui che Trump, al di là della sua indubbia simpatia per Israele, ha cominciato a connettere la sua determinazione a costruire con la sua presidenza una nuova condizione mondiale segnata da una pax americana, con la scelta israeliana di liberarsi dall’atomica e dall’aggressività patologica degli iraniani. E’ rivelatore che nella breve conversazione di ieri coi giornalisti Trump abbia pronunciato la frase che caratterizzò la decisione degli Alleati di fronteggiare il nazifascismo: dall’Asse, dissero, nient’altro che una “resa incondizionata”, lasciare le armi e il potere. Per Khamenei, dunque, rinunciare all’egemonia atomica e ideologica, abbandonare la minaccia di distruggere Israele e il potere con cui schiaccia il popolo iraniano. 

L’attesa è grande, la decisione non è ancora presa: le bombe di profondità americane potrebbero risolvere il problema della più profonda, articolata e sofisticata centrale nucleare, quella di Fordow. Gli israeliani, si discute, potrebbero anche risolvere da soli con soluzioni speciali, con un funambolismo eroico che resterà nei libri di storia, come la battaglia di Maratona o le imprese garibaldine. E’ realistico anche pensare che comunque adesso che il regime sia agli sgoccioli: i suoi uomini, il cerchio del potere di Khamenei stesso, e i suoi militari e le Guardie della Rioluzione quasi distrutti, i suoi missili per il 90 per cento a pezzi per terra per i bombardamenti o, per strada verso Tel Aviv dal sistema di difesa israeliano, Trump sta valutando il valore generale, nel mondo, di quanto questo significhi un’innovazione assoluta. Si tratta di risorse energetiche, del porto di Bandar Abbas, della Russia, la Cina, persino la Corea del Nord che ora minaccia di intervenire. 

Trump da venerdì probabilmente ha cominciato a immaginare che la sconfitta iraniana può essere la grande occasione per la svolta mondiale cui ambisce con l’eliminazione del pericolo nucleare e dell’ossessiva strategia antioccidentale innestata nella religione che impone la violazione dei diritti umani in cui noi crediamo. I piani di Israele si definirono a dicembre, e a febbraio Bibi porta a Washington le notizie sulla nuova rincorsa al nucleare ormai irreversibile se non bloccandola. Trump incarica Witkoff per verificare la possibilità di un accordo, e insiste, e manda persino una lettera a Khamenei sul suo desiderio di pace. Mai, però, come avrebbero voluto tante testate anche italiane, il tentativo di Trump si è disegnato come fastidio o rifiuto nei confronti di Israele. Trump ha sempre lasciato la porta aperta all’idea che forse fosse impossibile trattare con gli iraniani: mentre ci prova e ci riprova, l’8 giugno a Camp David, informato dalla Cia sulle intenzioni immediate di Israele, lascia aperta la porta. Dopo una lunga telefonata fra Bibi e Trump alla fine il presidente dice ai suoi amici: “Forse lo dovrò aiutare”.

Khamenei il 4 giugno aveva ancora una volta rifiutato la condizione essenziale dei negoziati: cessare di arricchire l’uranio. Anche ieri Khamenei ha seguitato a minacciare, insieme, Netanyahu anche il presidente Trump. Forse in questo momento non è stata per lui una buona idea. Ma più di ogni altra cosa, si capisce quel che accadrà se si mettono in fila la lunghissima resilienza del popolo di Israele contro Hamas e per salvare gli ostaggi, la vicenda dei beeper e l’eliminazione di Nasrallah, come Israele controlla i confini siriani e come si tuffa oggi nella più spericolata e inaspettata fra tutte le imprese. Chi, come Trump, coltiva il sogno di un’impresa eccezionale, di fronte a quel che fa Israele per vivere non può che trasecolare. Il suo ambasciatore Huckabee gli ha twittato: “Nessun presidente nella storia si è trovato nella tua posizione. Nessuno, fuorché Truman nel 1945. Non mi spingo a cercare di persuaderti. Solo a incoraggiarti. Credo che ascolterai il Cielo, e quella voce è molto più importante della mia o di chiunque”. Romantico? Messianico? Comunque, molto significativo. Trump l’ha ritwittato.  

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