martedi` 24 giugno 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



Clicca qui






Il Giornale Rassegna Stampa
18.06.2025 La guerra per la libertà di Israele
Commento di Fiamma Nirenstein

Testata: Il Giornale
Data: 18 giugno 2025
Pagina: 5
Autore: Fiamma Nirenstein
Titolo: «La guerra per la libertà di Israele»

Riprendiamo da IL GIORNALE di oggi 18/06/2025 a pag. 5 il commento di Fiamma Nirenstein dal titolo: "Parigi: gli stand israeliani oscurati".


Fiamma Nirenstein

Obiettivi chiari sin da subito: Netanyahu ha sempre indicato nel regime iraniano il nemico principale. In questo anno e mezzo di guerra ha smantellato la sua rete di terroristi nel Medio Oriente e ora attacca la sua testa.

L’obiettivo Iran era nel titolo di testa della sua elezione al 37esimo governo di Israele, giovedì 29 dicembre 2022; era nei suoi pensieri da sempre, nel Dna stesso dell’educazione ricevuta dal padre, lo storico Ben Tzion Netanyahu, intrecciata col concetto di libertà dalla minaccia esistenziale sempre in agguato per il popolo ebraico. “Netanyahu torna, mette l’Iran al primo posto” diceva il titolo del Jerusalem Post. E adesso, è il momento del dovere, la “finest hour” la chiamava Churchill. La verità che essa contiene, qualcuno la capisce e altri la rifiutano, c’è chi vede come un travestimento politico la sua dottrina politica, la sua determinazione personale. Ma in questi giorni Israele la capisce bene, invece, perché non è più solo di Netanyahu: è di tutti, o quasi. Cioè, si combatte per completare la fondazione stessa dello Stato libero di Israele, si combatte la minaccia permanente scegliendo da soli quando farlo, e il nemico principale è evidente: la battaglia l’ha dichiarata dal 1979 il regime iraniano contro lo Stato Ebraico e contro l’intero Occidente.
 
Per quattro volte Netanyahu, quindi più di ogni altro leader mondiale, ha parlato al Congresso americano, l’ultima volta il 24 luglio del 2024, dopo il 7 di ottobre. Non ha portato lamentele e richieste, ma promesse di rivincita. Con lui c’erano soldati mutilati in guerra che volevano tornare al fronte e parenti dei rapiti. Bibi ha ripetuto la denuncia per la quale era diventato impossibile il suo rapporto con Obama che voleva un accordo con gli ayatollah, e difficile quello con Biden, che cercava di recuperare l’accordo sacrificando il destino di Israele. Bibi, nelle carte sottratte all’Iran, ha trovato le prove che gli ayatollah mentivano al mondo sulle loro reali intenzioni: la bomba atomica destinata alla distruzione di Israele era per strada e con essa una gigantesca batteria di missili balistici. Senza mai rompere con gli alleati americani, alla fine è andato.

Dal 7 di ottobre si è preparato: qualche giorno di shock totale, di timore e tremore, il viso bianco e gonfio, la richiesta di andarsene e la contestazione abituale della sua persona moltiplicata per mille, niente sonno, due volte all’ospedale, e poi Netanyahu ha fatto quello che doveva fare. Ha saputo che eravamo a un passo dalla bomba iraniana, e ha giurato che Israele non aveva perduto la deterrenza Entebbe. Suo fratello Yoni era morto a proprio lì, e lui, da Gaza in avanti, in suo nome avrebbe combattuto, come disse a Blinken “con le unghie, se smetterete di darci le munizioni”, quando il ministro americano gli disse: basta, smettete, fuori da Rafah, fuori da Gaza, o non vi diamo più niente. Netanyahu adesso è davvero sé stesso: la sua battaglia col male è frontale, in questi giorni l’immagine in tv, sul campo coi soldati, alle conferenze stampa, fra le rovine delle case colpite dagli iraniani, testimonia umore quieto ed energia. Le accuse invidiose che sono state mosse contro di lui in questi anni sono tutte tecnicamente legittime, e insieme del tutto prive di ogni consistenza fattuale: l’alleanza nel governo conservatore che ne consente la sopravvivenza non ha mai dato segni di “messianismo” né di annessionismo… se Ben Gvir chiacchera, Bibi non lo fa mai e aspetta che taccia senza dargli niente; il suo processo sta andando in pezzi, champagne e sigari si sfaldano o scorrono inconsistenti; le accuse di genocidio e di pulizia etnica, e quindi di massima crudeltà, sono un costruzione miliardaria che già si sfalda sulla verità di una guerra condotta, invece, al minimo del danno per i civili, sudditi di Hamas, dei mostri che li hanno sacrificati legandoli alle loro basi terroristiche e ai lanciamissili, senza mai decidere di dare indietro i rapiti, cosa che avrebbe subito fermato la guerra.
 
Netanyahu ha preso la strada maestra sin dall’inizio: ha individuato l’anello di acciaio creato dall’Iran puntando su Hamas e Hezbollah, e ha puntato tutto sulla funambolica determinazione a vivere di Israele, con l’attacco dei beeper del 17 settembre 2024 e poi quello ancora più incredibile dell’eliminazione di Nasrallah il 27 settembre dello scorso anno. Intanto, fra mille divieti, i soldati israeliani, pagando con la vita, con valore inenarrabile e contro ogni previsione, bloccavano Hamas e distruggevano gli Hezbollah. Poi, Netanyahu ha scelto la strada di rifiutare l’appeasement che avrebbe riportato Gaza in mano ai macellai del 7 ottobre, anche in avvertimento ai siriani appena liberati da Assad. Anche il fronte degli Houti è stato affrontato. Non c’è nessuna hybris in tutto questo: c’è una quieta, decisa determinazione a completare la fondazione dello Stato d’Israele come stato sovrano del popolo ebraico. Bibi ha spiegato più volte come quando i Paesi arabi, specie coi patti di Abramo da lui perseguiti in un disegno di pace che solo gli stolti negano, hanno cessato di assemblare eserciti per cacciare gli ebrei dalla loro terra, l’Iran ne ha sostituito il disegno assassino puntando sul valore egemonico islamista di quella posizione.
 
Aveva ragione fino a che Netanyahu e il popolo di Israele non hanno deciso di dargli battaglia fino in fondo. Adesso non solo due terzi degli israeliani considerano eccellente la conduzione della guerra da parte di Bibi, ma si comincia anche a capire molto meglio, molto più a fondo, come la tela nera iraniana fosse stata tessuta da insopportabili decenni della macelleria degli attacchi di Hamas, di migliaia di morti fatti dagli Hezbollah in tutto il mondo, dal terrorismo eccitato che ne è sempre risultato. Il messaggio è semplice: la costruzione di Israele deve essere completata, e quel completamento si chiama: “Israele vuole vivere senza la minaccia continua dei macellai che ne programmano la sparizione”. Difficile? Sembra di sì. Ci voleva un leader come Netanyahu per affrontare, da solo, il tema vero, dopo tanti infingimenti che hanno disegnato accordi fasulli, piani irrealizzabili. 

Per inviare la propria opinione al Giornale, telefonare: 02/85661, oppure cliccare sulla e-mail sottostante


segreteria@ilgiornale.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT