Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
La morte del militare? Più rabbia che tristezza Commento di Daniele Capezzone
Testata: Libero Data: 13 giugno 2025 Pagina: 1/13 Autore: Daniele Capezzone Titolo: «La morte del militare? Più rabbia che tristezza»
Riprendiamo da LIBERO di oggi 13/06/2025, a pag. 1/13, con il titolo "La morte del militare? Più rabbia che tristezza", il commento di Daniele Capezzone.
Daniele Capezzone
Carlo Legrottaglie, carabiniere assassinato da due rapinatori, durante un inseguimento in provincia di Brindisi. Ora anche da sinistra arrivano lacrime da coccodrillo, ma il problema è l'odio alimentato in tutto l'anno contro le forze dell'ordine.
L’unica buona notizia della giornata è la sorte del duo di rapinatori (poi divenuti assassini) che hanno colpito nel Brindisino: uno morto, l’altro catturato. Bene così.
Non sentiremo la mancanza - per motivi diversi - di nessuno dei due.
Il resto è tragedia pura: la morte di un Carabiniere e l’atroce beffa di perdere la vita nell’ultimo giorno di servizio. Tutti ieri ci siamo immedesimati credo - in quel povero e coraggioso Brigadiere: sveglia all’alba, magari un saluto particolarmente affettuoso con i familiari e con qualche collega, un rapido pensiero (chissà, temendo la noia o forse la nostalgia del lavoro) a come sarebbero state le sue giornate future, dall’indomani in poi. E invece no: la chiamata, l’inseguimento, fino all’epilogo nel sangue.
C’è materia per un romanzo o un film commovente, certo. Ma qui a Libero ci siamo sentiti tutti più arrabbiati che emozionati.
Perché questo delitto non è casuale. Non lo è perché ci ricorda ciò che gli uomini e le donne in divisa rischiano ogni giorno, per lo stipendio non certo stellare che percepiscono. E perché da tempo, per una ragione o per l’altra, mentre possono contare sull’affetto sincero delle persone comuni, non sempre hanno avvertito il sostegno di certa politica e di certi media.
Ripensate agli ultimi sei-sette mesi. A fine novembre, il caso Ramy: un giovane egiziano sfugge a un posto di blocco, scatena un inseguimento per le strade di Milano, e infine si schianta. Poi, questa primavera, l’altra storiaccia di Momo, un amico di Ramy: pure qui il giovane nordafricano perde la vita contro un semaforo.
Due casi, due vittime: ma non di un incidente stradale, bensì della loro atroce scelta di fuggire davanti a una pattuglia.
Qualche settimana fa, un primo terribile salto di qualità, con una vittima innocente in provincia di Bologna: un uomo in auto con sua moglie travolto dalla macchina con a bordo tre sciagurati. E ieri - culmine di questo orrendo climax - l’assassinio di un Carabiniere nel Brindisino.
Qui si tratta di una vera e propria esecuzione, con i rapinatori in fuga che non si limitano a scappare o a causare un incidente, ma sparano a sangue freddo. Per uccidere.
È il caso di dire che non è stato un “episodio” né una “tragica fatalità”. I casi citati sono tutti certamente diversi (posto di blocco e successivo inseguimento, fuga da una pattuglia o invece rapina come ieri), ma al centro ci sono due elementi comuni. Primo: il livello di rischio che un inseguimento comporta (e quanti hanno invece sdottoreggiato nei mesi scorsi, stando comodamente seduti in poltrona...). Si fa presto, in tv e nelle redazioni, a fare i fenomeni: poi il colpo di pistola se lo prende il Carabiniere, come si è visto ieri. Secondo: l’ostilità contro le forze dell’ordine.
E qui sta il cuore del problema, ben al di là delle responsabilità criminali dei colpevoli. Esiste anche - distinta, ovviamente non penale, tutta politica e culturale – la responsabilità di chi per mesi, da sinistra, ha per un verso giustificato chiunque, al solo apparire di un poliziotto o di un carabiniere, sentisse l’esigenza di fuggire. E per altro verso ha legittimato una campagna - a volte esplicita, a volte strisciante, a volte gridata, a volte imbarazzata per attaccare le forze dell’ordine, per creare su di loro un clima di sospetto e delegittimazione.
Pensateci: ad ogni episodio anche soltanto dubbio, sono sempre state create ombre e accuse verso poliziotti e carabinieri. I più cauti e furbi, in questi casi (pensate alla faccenda scaturita dalla morte di Ramy), tendono a parlare di indagini come “atto dovuto”. E il cosiddetto “atto dovuto” si traduce in spese immediate per l’agente per la sua difesa, blocco di qualunque promozione, più una temibile quanto scontata aggressione mediatica.
Direte? Ma cosa c’entra con il caso del Carabiniere ucciso ieri?
C’entra eccome: perché molti fra coloro che ieri hanno versato lacrime di coccodrillo sulla sparatoria nel Brindisino sono gli stessi che nei talk-show e sui giornali, nelle prime occasioni citate, si erano esibiti oscenamente contro gli uomini in divisa.
In un paese civile dovrebbe esserci (e infatti tra le persone comuni c’è, diversamente dalle solite élites) un sentimento e direi un pregiudizio a favore degli uomini e delle donne in divisa. Poi per carità - gli agenti possono anche sbagliare, può succedere anche questo: ma è incredibile che su di loro gravi un clima di sospetto e delegittimazione.
Tutte queste morti, a partire da quella atroce di ieri, dovrebbero pesare anche sulla coscienza di chi ha irresponsabilmente parlato a vanvera.
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