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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Libero Rassegna Stampa
12.06.2025 Trump e Musk fanno pace
Commento di Giovanni Sallusti

Testata: Libero
Data: 12 giugno 2025
Pagina: 1/18
Autore: Giovanni Sallusti
Titolo: «Trump e Musk fanno pace, per fare guerra al woke»

Riprendiamo da LIBERO di oggi, 12/06/2025, a pag. 1/18 con il titolo "Trump e Musk fanno pace, per fare guerra al woke" il commento di Giovanni Sallusti.

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Giovanni Sallusti

Dopo che son volati gli stracci, in pubblico, a colpi di commenti insultanti sui social network, è di nuovo pace fra Trump e Musk. Perché hanno troppi nemici in comune per combattersi fra loro. Ma quanto durerà?

Ci piace vincere facile, e anticipare qui la spiegazione che il Giornalista Collettivo darà del riavvicinamento tra Elon Musk e Donald Trump: squilibri umorali, con allusioni moralistiche al consumo di sostanze da parte del primo. Per chi volesse oltrepassare questo grado zero dell’analisi, ribadiamo l’ovvio: il rapporto tra il presidente degli Stati Uniti e l’uomo più ricco del pianeta attecchisce in un groviglio di potere politico, forza economica, visioni condivise, interessi reciproci. Poiché ognuna di queste variabili è allo stesso tempo significativa e parziale, conviene seguire il filo della cronaca.
Il primo passo lo fa colui che aveva strappato violentemente, Elon Musk. Ovviamente, su X: «Mi rammarico per alcuni miei post sul presidente Donald Trump. Sono andati troppo oltre».
Per qualcuno con la sua consapevolezza di sé, è un atto clamoroso. Qui conta perfino poco la profondità del “pentimento” nel foro interiore, la relazione Trump-Musk è per sua natura pubblica e ultrapolitica, decisiva per la polis americana. E quello che oggi è fuori dallo Studio Ovale si è probabilmente rammentato del motivo per cui si è (e ha) tanto speso per riportarci dentro l’altro. L’adesione di Musk al trumpismo (e anche il tentativo in parte velleitario di indirizzarlo) poggia anzitutto su quella che per l’imprenditore-visionario è una necessità epocale della civiltà americana (e occidentale). Con sintesi estrema: farla finita con l’abbaglio suicida Woke («ho giurato di distruggere il virus mentale Woke», ha proclamato più volte l’ex Doge). Attenzione: per lui è allo stesso tempo una necessità di business e di idee. Corrisponde a un trauma dell’esistenza, quello del figlio Xavier che ha ultimato un percorso di transizione farmacologico e chirurgico per diventare Vivien (secondo Musk condizionato precocemente dall’ideologia della fluidità di genere). E s’incardina in una problematica aziendale: Tesla si è trasferita in Texas per la iper-regolamentazione e la iper-tassazione californiane, funzionali ad alimentare l’apparato assistenzialista politicamente corretto a favore delle “minoranze” più disparate.
Dal punto di vista di Musk, il Wokismo è una minaccia esiziale all’essenza stessa del sogno americano: la libertà dell’individuo di autodeterminarsi, senza la quale non esistono nemmeno l’impresa, il mercato, la ricchezza, la corsa prometeica allo spazio. Se questa è la battaglia delle battaglie, Musk sa che politicamente il cavallo-Trump è senza ritorno. Non ce n’è un altro pronto all’uso, visto che The Donald è esattamente il ruggito dell’America profonda (l’“elegia” cantata da JD Vance) contro la follia wokista costiera, ingegneristica, tutta dem.
Allora, una riconciliazione almeno parziale tra i due sta nelle cose, nella “verità effettuale” machiavelliana, nei fatturati e nei valori. Lo sa bene anche Trump, che in un forum sul New York Post ha dichiarato: «Non provo alcun rancore» e «penso di potermi riconciliare».
Anche al presidente conviene non spezzare il legame con la potenza finanziaria, tecnologica, comunicativa che rappresenta il creatore di SpaceX. Una convivenza, o quantomeno una non belligeranza, che poggia sul permanere delle differenze.
Il tecno-libertarismo antistatalista di Musk non può sovrapporsi perfettamente all’agenda di Trump, che è anzitutto l’agenda della working class americana, nuovo blocco sociale del nuovo Partito Repubblicano, quindi l’agenda della re-industrializzazione anche forzata e interventista.
Ma il nemico è lo stesso, è quello che stava uccidendo il sogno, e senza il sogno non esistono né le fabbriche della Rust Belt né le astronavi per Marte.

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